Governo Economico Europeo e Sovranità Fiscale

Come l’Europa può uscire dalla crisi finanziaria

, di Guido Montani

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Governo Economico Europeo e Sovranità Fiscale

La crisi dell’Unione monetaria è a una svolta decisiva. Il 9 maggio, i governi europei hanno deciso di istituire un fondo di 750 miliardi di euro per evitare il collasso finanziario degli stati membri troppo indebitati. Tuttavia, queste misure rischiano di nuovo di essere insufficienti, perché Francia e Germania divergono su cosa si debba intendere per governo economico europeo.

D’altro canto, il Parlamento europeo, da tempo e ancora recentemente, con dichiarazioni comuni dei leaders dei quattro maggiori partiti (Popolari, Socialisti, Liberali e Verdi), ribadisce la necessità di ricorrere al “metodo comunitario”

..sbrogliare la matassa...

(che Jean Monnet definiva “federalista”) per risolvere la questione complessa della crisi economica e istituzionale in corso. In sostanza, il Parlamento europeo chiede che sia la Commissione a diventare il “governo economico”. Ma, a questa richiesta, il Presidente Sarkozy e la Cancelliera Merkel rispondono negativamente: è il Consiglio il governo economico dell’UE.

Per cercare di sbrogliare la matassa, è necessario tenere presente che la posta in gioco è la sovranità fiscale; governo economico e sovranità fiscale sono due aspetti di un solo problema.

Sovranità fiscale

Le radici dell’attuale crisi dell’UME vanno ricercate nel Trattato di Maastricht, che ha istituito con precisione l’Unione monetaria, con una propria Banca centrale, ma ha lasciato indeterminata l’Unione economica. Di fatto, il bilancio comunitario, lo strumento per le politiche dell’Unione a disposizione di Commissione e Parlamento europeo, si è progressivamente indebolito: è solo l’1% del PIL comunitario ed è finanziato al 90% da contributi nazionali. Il bilancio europeo non raggiunge un potenziale sufficiente per una politica economica europea. Per questo si dice che l’Unione europea non ha un governo economico.

Che la mancanza di risorse finanziarie proprie dell’UE sia la causa dell’attuale crisi è facilmente constatabile. Per quanto riguarda il rapporto tra deficit e PIL e tra debito pubblico e PIL, i paesi dall’area dell’euro hanno parametri migliori degli USA. La speculazione si è concentrata sull’anello più debole, la Grecia, perché l’Unione ha una fiscalità suddivisa in compartimenti stagni nazionali. Se gli USA non avessero un bilancio federale, ma solo 50 bilanci degli “states”, qualcuno di loro avrebbero certamente subito il medesimo attacco speculativo. In proposito, il Presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet, ha affermato con chiarezza: “Nous sommes une fédération monétaire. Nous avons maitenant besoin d’avoir l’équivalent d’une fédération budgetaire” (Le Monde, 1/6/10). Trichet ha ragione. Se l’UE diventasse anche una federazione fiscale – con una riforma simile a quella proposta da Delpa-von Weizsäcker, del centro Bruegel, cioè il consolidamento europeo del 60% del debito pubblico dei paesi membri, sostituito dall’emissione di Blue Bonds – il mercato finanziario europeo assumerebbe la dimensione di quello statunitense e diventerebbe ancora più attraente per gli investitori internazionali. Un’autonoma fiscalità europea rafforzerebbe l’euro come moneta mondiale.

A questa prospettiva, si oppone con forza la Germania che non vuole una “Unione di trasferimenti finanziari”. Le aspre polemiche tra i tedeschi, che non vogliono pagare per le cicale mediterranee, e i greci, che si sentono trattati come ladruncoli, sono il chiaro sintomo che occorre una soluzione che eviti il ripetersi di rigurgiti nazionalistici. La via maestra è il federalismo fiscale europeo, che consiste nell’assegnazione a ogni livello di governo di risorse fiscali “proprie”. L’Unione monetaria è consistita in un trasferimento di poteri monetari dalle nazioni all’UE, con la creazione della BCE. La sovranità fiscale è un problema più complesso: si tratta di decidere quanto debba essere assegnato

...istituzioni europee legittime ed autonome...

all’UE e quanto debba restare nazionale. Naturalmente, non si tratta di aumentare la pressione fiscale dei cittadini europei. E’, tuttavia, necessario che i cittadini diventino consapevoli che le risorse proprie europee, poche o tante che siano, devono essere assegnate dagli stessi cittadini a istituzioni europee “legittime e autonome”, cioè a una Commissione responsabile di fronte ad un Parlamento bicamerale (Parlamento europeo e Consiglio, che co-decidono). Oggi, i cittadini europei non sanno che l’1% del proprio reddito è speso dall’UE. La trasparenza sui finanziamenti pubblici rappresenta un passo in avanti decisivo per il superamento del deficit democratico europeo. Se la questione delle finanze dell’Unione viene considerata da questo punto di vista, scompare ogni pretesto di contrapposizione tra governi nazionali. I cittadini europei accetteranno certamente un minimo di solidarietà fiscale per finanziare politiche pubbliche che contribuiscono al benessere di tutti gli europei, siano essi tedeschi o greci. La difesa europea è un bene pubblico europeo. Il sistema satellitare Galileo è un bene pubblico europeo, e così via. Tutti possono usufruire di questi servizi, nessuno escluso. Per questo, è necessario individuare, come ha fatto il Parlamento europeo, alcune imposte che siano adatte al finanziamento del bilancio europeo. Probabilmente la miglior soluzione sarà un misto di tasse ecologiche, tasse sui capitali e una percentuale dell’IVA.

Il governo economico europeo

La proposta franco-tedesca di basare il governo economico europeo sul Consiglio presta il fianco a molte critiche. Di fatto, si forma un direttorio dei paesi forti. Questi effetti sono già visibili. La Germania sta imponendo una politica di austerità a tutti i paesi membri. Questo orientamento non è in sé sbagliato. Il risanamento dei bilanci nazionali è necessario. Ma è sbagliato pensare che questa sia l’unica politica di cui l’Europa ha bisogno ed è sbagliato che sia un governo a imporla agli altri. La Francia non ha torto quando cerca di ricordare che occorre puntare anche sulla crescita. Se non c’è crescita, ben presto le politiche di austerità in alcuni paesi (si pensi alla Grecia) diventeranno insostenibili, con rivolte sociali e politiche. Tuttavia, l’orientamento francese resta sterile, perché ben poco sviluppo si può ottenere in Europa se si punta a piani nazionali. Persino la grande Germania incontrerà difficoltà crescenti, poiché almeno metà delle sue esportazioni si dirigono verso gli altri paesi europei. O l’Unione riesce a lanciare un piano efficace, sostenuto dall’opinione pubblica, simile al piano “2020” proposto dalla Commissione, oppure la crisi si aggraverà.

Affinché la Commissione abbia i mezzi finanziari sufficienti per diventare un vero governo economico dell’Unione, non occorre trasferire all’Unione enormi risorse finanziarie. Il fondo d’emergenza appena creato è pari a circa la metà del bilancio europeo. Probabilmente con un bilancio pari al 2-2,50% del PIL europeo (come proponeva il Rapporto McDougall) si otterrebbe un buon livello di ripartizione tra risorse fiscali nazionali ed europee. Un bilancio comunitario adeguato potrebbe consentire notevoli risparmi fiscali ai cittadini europei, grazie alla realizzazione di economie di scala per la fornitura di beni pubblici essenziali, alla razionalizzazione delle spese e all’abbattimento dei tassi d’interesse. In effetti, l’emissione di Blue Bonds potrebbe avvenire a tassi inferiori a quelli dei Bund tedeschi, perché si potrebbero raccogliere capitali da un bacino d’investitori molto più ampio dell’attuale, come gli investitori globali che oggi preferiscono i titoli USA.

In definitiva, occorre abbandonare la speranza che l’Europa possa uscire dalla crisi con misure provvisorie come quelle proposte dal Consiglio. Il fondo di emergenza attuale è poco credibile agli occhi degli investitori internazionali perché si fonda ancora sulla capacità di bilancio dei governi nazionali. Ad esempio, si calcola che, se l’Italia dovesse mantenere interamente gli impegni assunti il 9 maggio, il debito pubblico italiano potrebbe salire dall’attuale 106% rispetto al PIL a oltre il 120%. La vera garanzia sul debito pubblico è data dalla fiducia dei cittadini nelle istituzioni pubbliche che lo emettono. Oggi, un governo europeo potrebbe riscuotere più fiducia di quella che resta ai governi nazionali.

La via da percorrere per uscire da questo groviglio di problemi non sarà facile, perché i problemi politici si intrecciano a quelli istituzionali. E’ necessario che il Parlamento europeo si assuma la responsabilità di porre il problema della sovranità fiscale senza tabù. Oggi, sono in cantiere due riforme parallele: la riforma del bilancio UE e un nuovo patto di stabilità. Le due riforme vanno unificate. Occorre un nuovo patto fiscale europeo. Vanno superati sia la sfiducia dei governi nazionali verso la Commissione europea e il Parlamento europeo, sia il residuo istinto nazionalista che impedisce di pensare a una

...riforma il bilancio europeo e un nuovo patto di stabilità...

fiscalità federale. Per questo, è necessario coinvolgere nel dibattito i cittadini e i loro rappresentati nel Parlamento europeo e nei parlamenti nazionali. E’ possibile che decisivi passi in avanti verso una fiscalità federale possano essere fatti senza una riforma del Trattato di Lisbona. Tuttavia, il Parlamento Europeo, se lo ritiene necessario, può chiedere la convocazione di una nuova Convenzione. Ciò che conta è che i rappresentanti dei cittadini europei siano coinvolti in una riforma che mette in discussione la sovranità fiscale. Ogni altra scappatoia, come la nomina di una speciale commissione d’esperti che dia consigli ai governi, sarebbe non solo antidemocratica, ma anche illusoria.

Fonte dell’immagine: World Wide Web L’articolo uscirà presto nella sua versione inglese su «Europe’s World».

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