Crimea, 160 anni dopo. Da questione italiana a “questione europea”

, di Francesco Pascuzzo

Crimea, 160 anni dopo. Da questione italiana a “questione europea”

Solo alcuni giorni fa uno dei più illustri quotidiani italiani, Il Corriere della Sera, dedicava uno speciale alla parentesi storica legata al conflitto russo-turco del 1854 per il controllo della Crimea. Rappresenta soltanto una penisola, un lembo di terra oggi politicamente parte dell’Ucraina. Non tutti ricorderanno, in ogni caso, il livello d’importanza che la Crimea riveste nella storia di noi italiani da oltre un secolo e mezzo. Quando nel 1854 si decise di scendere in campo in una guerra per molti assurda, quando ancora Italia non era ma si trattava del piccolo Stato del Regno di Sardegna, gli equilibri geopolitici europei erano ancora dominati dalla logica imperialista delle potenze dell’epoca.

Sembra strano ma, ancora oggi, ben 160 anni dopo quella guerra di Crimea che spinse Inghilterra, Francia, Savoia e Impero Ottomano alla discesa in campo per contrastare l’espansionismo russo nel Mediterraneo richiama un po’ quel che sta accadendo oggi in quella propaggine estrema di Ucraina nel bel mezzo del Mar Nero. Nessuno mai avrebbe immaginato che la Russia odierna, Repubblica federale caratterizzata dal “superpresidenzialismo accentratore” di Vladimir Putin, avrebbe potuto invadere militarmente quella penisola da molti ucraini vista come luogo di villeggiatura – dato il suo clima mediterraneo e mite. La Crimea rappresenta però, per la Russia, una base militare fondamentale dal punto di vista soprattutto navale.

Sebastopoli, teatro di una delle battaglie principali della guerra del 1854 quando ancora soggetta al dominio turco, è militarmente un punto strategico per la flotta del Cremlino. I rapporti tesissimi fra Mosca e Kiev, capitale ucraina in rivolta dopo le spinte europeiste frustrate dal leader filorusso Januckovic, hanno preso “in ostaggio” la città e l’intera Crimea da diverse settimane. Quasi un tentativo di ricatto nei confronti di uno Stato, l’Ucraina, al quale nel dopoguerra la penisola del Mar Nero venne ceduta dalla allora Urss, a cento anni precisi dal conflitto russo-turco per opera del presidente Nikita Khrushchev (1954) e poi proclamatasi regione autonoma nel 1992.

Una storia tormentata, dunque, quella della piccola penisola oggi ucraina ma ancora russa nel sangue, malgrado la separazione non volontaria dalla federazione che fa capo a Mosca. A distanza di 160 anni l’imperialismo russo permane, non trovando soluzione l’annosa questione del gas e degli approvvigionamenti energetici che coinvolge per motivi geografici Ucraina e Occidente.

Giocare sulle velleità di un popolo di tornare sotto il vecchio padrone potrebbe rivelarsi fondamentale per la Russia per tener ancora sotto controllo una ex repubblica figlia desiderosa di “fuggire” verso l’Europa.

Quanto premesso per dire cosa? Indubbiamente se 160 anni fa dalla piccola Crimea dipesero le sorti dell’Italia ancora da farsi e portate agli occhi dell’Europa con l’abilissima mossa del premier sabaudo Cavour con l’entrata in guerra, oggi le sorti e la credibilità della stessa idea di Europa passano per la Crimea. Corsi e ricorsi storici, citando Gianbattista Vico. Ma è così, poiché il parallelismo con l’Ottocento viene naturale se si pensa al ruolo che l’Unione Europea di oggi sta giocando nel braccio di ferro creatosi fra Russia e Occidente. La miccia di tutto, in Ucraina, è stata e rimane la volontà di aprirsi ad ovest entrando a far parte dell’Ue. L’ondata rivoluzionaria che ha costretto alla fuga da Kiev il moderno tiranno Januckovic si è rapidamente propagata in tutto il paese, ricordando un po’ le rivoluzioni post ’48. La lotta è per l’Europa, ma la stessa Europa ha nelle mani uno dei destini forse più incerti dell’est del continente, proprio alla luce del legame a doppio filo con l’ex madre Russia.

Importante sarà per Bruxelles non lasciarsi sfuggire di mano la situazione, soprattutto dal lato della guerra civile in atto in Ucraina. Ciò che sta accadendo a causa dell’europeismo ucraino evidenzia indirettamente la pochezza di mezzi dell’attuale Ue, mancando un esercito comune europeo (federale) che era alla base del fallito progetto di Comunità europea di Difesa (CED) seguente all’afflato federalista di Altiero Spinelli. C’è da chiedersi quanto e come una Federazione europea dotata di tutti i mezzi di un vero e proprio Stato – come gli Usa – avrebbe oggi potuto influire sulla probabilità di un intervento armato dei russi in Crimea.

La Crimea evidenzia ancor di più la necessità di una Federazione europea, che abbia più peso nelle decisioni politiche internazionali. Se nel 1854 si poneva sullo scacchiere politico continentale la “questione italiana” oggi in Crimea si pone una vera e propria “questione europea”, per due ordini di motivi. Prima di tutto perché la scintilla proviene dalla volontà di uno Stato di aderire all’UE così com’è; poi, soprattutto, perché oltre al sanzionarne la condanna morale dell’occupazione militare e dell’indizione di un referendum secessionista (anticostituzionale) ad opera di un “parlamentino” regionale sotto la supervisione russa i vertici UE non possono andare. I 28 Stati membri ne hanno discusso nei giorni scorsi con il presidente del Consiglio UE Van Rompuy, ma si fatica a trovare una rapida soluzione alla crisi ucraina.

Il 16 marzo prossimo è previsto il referendum nella capitale della regione autonoma di Crimea, Simferopoli. Uno strano caso della storia metterà i cittadini di Crimea di fronte ad una scelta. Mosca si fa forte del 70% e oltre di popolazione di lingua russa residente in quel territorio. Tutto per opera di una cessione bonaria, che viene oggi stesso rivendicata e posta sotto il ricatto del Cremlino, tenendo sotto scacco l’Europa intera e con gli Stati Uniti d’America in attesa del casus belli.

Quella che è chiamata da molti media “la seconda guerra fredda” – stando alla tensione creatasi fra Mosca e Washington – rischia di diventare una doccia fredda per l’Europa, mettendone a nudo le pecche dovute al suo impianto non federalista. Utilizzando un ossimoro, difetti di fabbricazione totalmente “disarmanti verso una soluzione di pace”.

Fonte immagine Wikipedia

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  • su 13 marzo 2014 a 23:52, di Francesco Franco In risposta a: Crimea, 160 anni dopo. Da questione italiana a “questione europea”

    Non va dimenticato che la storicamente in epoca medioevale (nel periodo che va dal 900 al 1242 d. C - l’ Ukraina fu Vikinga) svolse, grazie alle agili e piatte navi Vikinghe che potevano discendere e risalire il Dnepr, una funzione commerciale di acquisto a Bisanzio dei prodotti provenienti dall’ Oriente e rivendedita in Europa: (alla Norveglia, alla Polonia, alla Svezia, ed persino alla Francia). Funzione di ponte commerciale che declinò di pari passo alla perdita di potere di Bisanzio (fino alla sua caduta nel 1456). Già nel 907 grazie ad una incursione di 80.000 uomini e 2000 navi la Kiev Vikinga ottenne un trattato commerciale molto favorevole.

    Quindi storicamente e geograficamente il territorio Ukraino é legato allEuropa sia da interessi commerciali storici profondamente radicati nella popolazione residente sia grazie alla posizione e conformazione geografica del territorio La funzione del ponte Ukraino fu via via soppiantata anche dallo sviluppo delle  repubbliche marinare italiane, quali Genova e Venezia, che presero a commerciare direttamente con i Turchi che soppiantarono i bizantini, eredi dei romani doriente, a Costantinopoli.

    Di contro lUkraina, come la maggior parte delle repubbliche ex-sosvietiche, non ha radici nazionali paragonabili a quelle degli stati europei. L'Ukraina nelle sue frontiere del 1945 non era mai esistita come nazione, né tanto meno come stato indipendente: il sentimento nazionale ukraino, benché reale, aveva le sue più solide basi in Galizia e si affiovoliva progressivamente mano a mano che si scivolava verso lest (Kharkov et Donbass) o verso sud (Crimea e Odessa).

    Più grave ancora, partendo dal principio che occorre dividere per regnare, Stalin aveva proceduto a un disegno territoriale dei confini delle repubbliche sovietiche includendo in quasi tutte una minoranza etnica proveniente da quella vicina o confinante.

    Inoltre quasi tutte contavano anche una importante minoranza di origine russa, conseguenza dellindustrializzazione e di una deliberata politica di Mosca per diluire i particolarismi e poter contare sul posto su un gruppo significativo di persone che condividessero gli interessi degli uffici sovietici centrali. Per quanto riguarda la Crimea che, nellambito della citata politica, venne assegnata alla Ukraina, nel 1954, da Chruščev, tutta la politica estera russa (e non solo quella del periodo sovietico) fu sempre volta ad ottenere e mantenere un accesso a mari caldi, navigabili tutto l’anno perché sempre liberi dai ghiacci che impedivano o rendevano, al tempo, pericolosa la navigazione nei mari del nord dinverno. Paradossalmente ci sarebbe aspettati che le ragioni per un referendum in cui la popolazione di Crimea si esprimesse in merito al suo sentimento di appartenenza etnica o nazionale fossero manifestate nel 1954 allepoca cioè del trasferimento della Crimea dall`URSS alla Ukraina piuttosto che 60 anni più tardi.

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