L’autunno del sogno europeo

Il sonno dei progressisti genera mostri

, di Giulio Saputo

L'autunno del sogno europeo

Mentre ci concentriamo (anche giustamente) sul referendum costituzionale e il dibattito politico resta polarizzato in partigianerie di principio intorno a due sillabe, vorrei invitare i lettori a concentrare l’attenzione sulla tendenza politica generale che sta prendendo la democrazia occidentale. Quello che segue è solo un semplice ragionamento vincolato all’azione per chi, giorno dopo giorno, si impegna in politica cercando di cambiare le cose. Nessun tentativo di sintesi complessa, dunque, o di ricerca accademica approfondita.

In modo diverso, in Usa e nell’Ue, stanno avanzando le forze populiste e neonazionaliste. Dal referendum sulla Brexit, le forze di sistema non hanno più vinto una singola battaglia. Spesso ci troviamo a rappresentare la difesa dell’esistente con tentativi di mobilitazione tradizionale, conduciamo le nostre forze in campo in modo ormai desueto. Dall’altra parte della barricata, si organizzano sul piano sovranazionale dei movimenti che hanno una chiara visione della democrazia «di pancia» e che muovono forze fresche in continua evoluzione. Per comprendere quanto sia grave l’affermarsi di questa “internazionale nazionalista”, basti guardare la simpatia che provano per Donald Trump le forze populiste europee o i cospicui finanziamenti che queste ricevono da Mosca.

Obama nel suo ultimo viaggio ha dato un chiaro segnale all’Europa: o troverete il modo di reagire insieme o resterete da soli, divorati dai vostri stessi mostri. Da qui l’evidente endorsement del Presidente uscente degli Stati Uniti ad Angela Merkel, unico leader riconosciuto nell’Unione che ha la garanzia di sopravvivere alle prossime tornate elettorali.

Ma dobbiamo rassegnarci a una sconfitta dopo l’altra contro queste forze disgregatrici, oscurantiste, reazionarie e (spesso) fasciste?

Da convinto federalista, direi assolutamente di no. La risposta immediata è senz’altro quella di creare un argine, di forgiare un’alleanza con tutte le forze progressiste della società civile. Eppure forse non è più sufficiente. La stessa società civile che noi definiremmo “progressista” è spaccata e non ragiona in termini “spinelliani” ma spesso risponde ancora a vecchie dinamiche. Questo ci rende indubbiamente più deboli ed inefficaci rispetto a delle correnti che hanno come obiettivo il tentativo di piegare i valori democratici ad esigenze circostanziali o di gruppi ristretti. In Europa la situazione è ancora più difficile, perché l’Unione è stata negli ultimi anni un capro espiatorio della politica tradizionale ed è rimasta coperta da un pesante manto di silenzio: nelle scuole non se ne insegnano le radici, l’origine e il percorso; i media ne parlano poco e male e la politica la nomina quasi esclusivamente come “matrigna”. Oggi ereditiamo questa situazione disperata. Come spiegare ai cittadini che è nell’unione che si trova la soluzione di problemi altrimenti irrisolvibili sul piano nazionale? Gli europeisti spendono il doppio delle forze nel cercare di ricostituire un messaggio che possa essere di nuovo capace di coinvolgere le masse, dal momento che le forze centrifughe continuano costantemente l’attacco critico all’attuale sistema aggiungendo al canovaccio classico una rinnovata violenza giustificata dai problemi contingenti. Si innesta a questo punto una spirale perversa per cui sembra impossibile, da un lato, proseguire nel processo di integrazione mancando il pieno sostegno dei cittadini e, dall’altro, trovare soluzioni concrete alle crisi. Una situazione drammatica che avvicina ulteriormente gli europei alla propaganda populista e neonazionalista, creando un terreno fertile per il proliferare dell’odio e della xenofobia col combinarsi della crisi economica e del continuo flusso di migranti, dell’appiattimento del problema della sicurezza interna ed esterna con l’incapacità di agire contro le derive non democratiche degli stati membri (vedasi la situazione in Ungheria o Polonia) o dell’appaltare aree di policy ad agenzie tecniche (vedi il rischio di criminalizzazione/securitarizzazione del “problema” dell’immigrazione).

Per uscire da questa impasse, dobbiamo trovare il modo di tornare a parlare ai cittadini. Dobbiamo riuscire a dar loro risposte concrete per smontare le tesi del populismo dilagante. Ma non possiamo farlo da soli: le istituzioni e i media devono correggere il loro nazionalismo metodologico. Partendo da queste basi dovrebbe essere più facile far risorgere gli ideali e i sentimenti che caratterizzano il sogno di un’Europa federale che non vediamo rappresentato oggi dall’attuale Unione.

In ogni caso, non possiamo limitarci alla difesa dell’esistente. L’Unione europea gestisce in modo emergenziale dei settori della crisi sistemica che stiamo vivendo, andando contro tutta la narrazione dei valori che hanno anche avuto recentemente un’investitura ufficiale con la consegna del premio nobel per la pace. Come facciamo a farli coincidere nell’immaginario collettivo dei cittadini con una realtà così contraddittoria, incarnata ad esempio da piani per lo sviluppo inefficaci e il proliferare dell’inoccupazione e la disoccupazione? In questo periodo storico sono necessarie garanzie democratiche sovranazionali, non dei miopi sistemi di regole intergovernativi che vincolano gli stati senza risolvere efficacemente i problemi.

Che fare, dunque? Dobbiamo offrire una terza via che sia davvero rivoluzionaria, che esca dall’attuale assetto delle cose e che crei un’ondata capace di ribaltare l’attuale situazione di minoranza in cui ci troviamo. I progressisti possono essere l’avanguardia di un movimento che non si compone più soltanto di vecchie forze spesso sclerotiche, ma che trasmetta la consapevolezza di lottare per salvare l’attuale civiltà. Sono necessarie parole d’ordine chiare, un modo di fare propaganda non tradizionale e soprattutto occoronno conessioni con altre associazioni e con gruppi di interesse distinti non ancora politicizzati che abbiano però ben in mente il significato dei valori europei. Stiamo parlando di una mobilitazione di resistenza, il cui significato e il cui modus operandi deve ritrovarsi sia nell’alto contenuto morale e valoriale dei movimenti che unirono l’Europa nel momento di più oscura crisi della democrazia novecentesca, sia nell’esempio di azione concreta condotta risolutamente dal basso e non esclusivamente calata dall’alto. Il pericolo è davvero quello di tornare indietro di decenni; per questo dobbiamo rivolgerci ai cittadini.

La ricorrenza del 60° anniversario dei Trattati di Roma del prossimo marzo sarà l’occasione per trasformare una mera celebrazione in un manifesto d’intenti, nel lancio popolare di questa nuova autonarrazione che faranno di sé gli europei. Dobbiamo assecondare questa istanza, tenendo presente che un singolo evento di piazza non può essere sufficiente, anche perché con ogni probabilità non verranno prese decisioni chiave in quella giornata dall’alto significato simbolico. Il nostro compito sarà quello di creare fermento nella società, con i collegamenti di cui disponiamo, dando l’idea di un continuum di mobilitazione che rappresenti un’azione in divenire dalle parole d’ordine semplici e che veda al centro di nuovo il cittadino. Non movimenti, partiti, associazioni ma i cittadini che tornano protagonisti della battaglia per l’Europa unita, sfruttando la rete che la società civile può fornire riempiendola di nuova linfa. Non simboli, firme o “cappelli” ma il popolo europeo che si ritrova e parla di quel che fino a pochi anni fa era quasi un tabù: l’Europa. Riforgiamo una coscienza civica, facciamo sentir ai nostri concittadini la stessa crisi della civiltà di cui spesso si parla solo in accademia e allora non saremo più soli o un’avanguardia isolata.

Dobbiamo lavorare perché si crei questa scintilla che accenda l’unica speranza che abbiamo o rischieremo di non avere più nessuna possibilità contro la propaganda reazionaria e avremo perso sia i cittadini che la battaglia per l’Europa.

Fonte immagine Flickr

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