Un primo, sparuto, passo verso l’unione bancaria

, di Jacopo Barbati

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Un primo, sparuto, passo verso l'unione bancaria

Dopo una riunione durata oltre 12 ore e protrattasi anche nel corso della notte, il Consiglio “Economia e finanza” (Economic and Financial Affairs Council, ECOFIN) del Consiglio dell’Unione Europea, formato dai Ministri dell’Economia degli Stati membri, ha raggiunto un accordo sul cosiddetto Single Resolution Mechanism (SRM).

Punti di vista e mediazioni

Il lungo incontro, iniziato nel tardo pomeriggio del 18 dicembre e conclusosi nella notte del 19, ha visto la negoziazione di diverse proposte (riassunte dalle lettere aperte inviati nei giorni scorsi dal Ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, e da quello italiano, Fabrizio Saccomanni) fino al raggiungimento di una “intesa di massima”. La linea italiana prevedeva la rapidità decisionale e la massima copertura finanziaria possibile, per essere credibili e tranquillizzare i mercati; mentre la proposta tedesca verteva più sulla necessità di attribuire eventuali perdite a creditori privati e di rivolgersi ai fondi del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) in ultima istanza. Questa linea, però, non eliminerebbe un eventuale coinvolgimento del debito sovrano nei processi di “salvataggio” delle banche. Saccomanni ha inoltre aggiunto che questo è solo un passo verso l’unione bancaria, che deve essere costruita lentamente e con criterio al fine di non cadere in errori causati dalla fretta. L’accordo dovrà passare per l’Europarlamento per poi tornare all’ECOFIN per l’approvazione definitiva.

Le proposte operative e relativi vantaggi

Gli Stati membri dell’UE condivideranno un fondo (detto “Fondo di Risoluzione” o Single Resolution Fund, SRF), inizialmente gestito a livello nazionale ma infine europeo entro 10 anni, che servirà a gestire eventuali fallimenti di banche (al fine di scongiurare il ripetersi di un caso “Lehman Brothers”, come sostenuto da Saccomanni). Questo fondo sarà finanziato da tassazioni nazionali alle banche e nella fase in cui sarà operativo a livello nazionale, saranno possibili prestiti tra i fondi. A pieno regime dovrebbe contenere circa 55 miliardi di Euro. Inoltre, verrà regolamentato (a partire dal 01/01/2016) il “bail-in”, un regime per il quale vengono ridotti gli introiti destinati agli obbligazionisti, azionisti e detentori di grossi depositi per fornire liquidità alla banca in difficoltà. In pratica, nella prima fase della crisi il finanziamento agli istituti avverrà con risorse ottenute dalle banche (quelli del fondo, fino al 5% degli asset della banca) e interni alla banca stessa (bail-in, fino all’8%). Solo in casi estremi si ricorrerà a finanziamenti elargiti dai Governi degli Stati membri e/o dal fondo del MES. Dal 01/01/2015, invece, dovrebbe entrare in vigore la procedura unificata sulla dichiarazione di fallimento di una banca (che verrà presa nell’arco di 24 ore), che sarà operata da una commissione formata da rappresentanti degli Stati membri. Questi avranno l’ultima parola nonostante il marginale coinvolgimento della Banca Centrale Europea (BCE) e la richiesta, per ora cassata, della Commissione di entrare in tale meccanismo. Ciò a dimostrare che la strada che porta a una “unione” vera e propria è ancora lunga. Questo piccolo passo, però, è già comunque sicuramente foriero di notevoli vantaggi per i cittadini: prima di tutto, eventuali crisi di istituti di credito non saranno riparate con fondi provenienti dai contribuenti, e la fine della frammentazione del mercato bancario dovrebbe evitare gli svantaggi per le Nazioni periferiche che si sono registrati durante l’attuale crisi, con frammentazione del credito e disomogeneità del costo del denaro.

L’eterna incompiuta

Detto questo, quali saranno i prossimi passi? L’istituzione di una istituzione europea di controllo delle principali banche (il Single Supervisory Mechanism, SSM)e la definizione del governo del già citato SRM. Chiaramente non si può dare torto a chi dice di preferire un percorso lento ma ponderato a uno rapido ma inefficiente, però i tempi sono maturi per accelerare un po’ (la crisi non aspetta e il malcontento generale cresce). È positivo il fatto che si sia palesata una volontà comune di procedere verso l’unione bancaria, ma questa non può prescindere dall’unione politica e fiscale, per non incorrere negli stessi problemi causati dall’avere la sola unione monetaria.

Foto di M.M.Minderhoud.

Tuoi commenti
  • su 26 dicembre 2013 a 01:17, di Nelson4 In risposta a: Un primo, sparuto, passo verso l’unione bancaria

    Dieci anni sono tanti, ma la decisione del consiglio mi pare molto positiva per questa semplice ragione: che il "fallimento” sia pure “ordinato” di una banca si ripercuota a livello locale nazionale con o senza senza mutualizzazione delle perdite è temo un fatto inevitabile perché la clientela privata di una banca commerciale resta locale (ed è formata per lo più da piccoli risparmiatori e piccoli depositanti) i quali di certo se abitano Milano non apriranno un conto a Francoforte perché là cè una banca meglio gestita. Ma il fatto che ora si sia formalizzato il principio che i primi ad essere colpiti ed a pagare siano i depositanti maggiori [quelli che oggi e domani sono in realtà i soli a poter realmente scegliere la banca a cui appoggiare la gestione del proprio patrimonio e spostarlo da una allaltra in pochi secondi indipendentemente dalla loro residenza] in luogo dei contribuenti nazionali è di per già di per sé un progresso molto importante.

    Sinceramente non vedo perché sarebbe invece preferibile permettere ad una banca che periclita per le sue proprie scelte sbagliate di acquisto ed investimento o per aver finanziato i rischiosi investimenti di “amici degli amici” di poter “mutualizzare” il proprio debito cioè, se capisco bene, scaricare le proprie perdite sul contribuente non più nazionale ma federale.

    Secondo me fin tanto che le grandi banche potranno contare sull`impunità (nazionale o federale non è questo il punto importante) dei propri errori, continueranno a finanziare solo le élite politiche dominanti (gli amici degli amici), estraendo risorse dal sistema economico in luogo di finanziare investimenti sensati in sviluppo e crescita economica sostenibile.

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