Nel 1989 la caduta del Muro di Berlino apriva la strada all’illusione della fine della storia e dell’egemonia unipolare americana. In realtà il risultato concreto per gli europei era una rapida riunificazione tedesca – accettata dall’Europa occidentale in cambio dell’europeizzazione del marco tedesco, simbolo e strumento della potenza economica tedesca, attraverso l’unione monetaria – e ad una più graduale e parziale riunificazione dell’Europa, con l’ingresso nell’Unione Europea di buona parte dei Paesi dell’Europa centro-orientale. Il tutto nel quadro di un impegno a procedere verso l’Unione politica. Dal mancato rispetto di quell’impegno derivano in larga misura i mali che affliggono la società europea e italiana oggi.
Il Trattato di Maastricht fu il frutto di due conferenze intergovernative: una sull’unione economica e monetaria ed una sull’unione politica. Si decise di creare un’unione solo monetaria, lasciando al futuro di completare quella economica e politica. Fu soprattutto una scelta francese, per preservare ancora una parvenza di sovranità nazionale. Fu una scelta paradossale, perché ora gli Stati membri dell’eurozona sono soggetti a regole e vincoli più stringenti che in qualunque Stato federale, e senza poter contare su un bilancio, una politica economica e sociale, una solidarietà federale. Non abbiamo più la sovranità nazionale in campo economico, ma nemmeno quella federale. Siamo sempre in mezzo al guado, e con l’acqua che sale. Il ritorno alla prima richiederebbe la fine dell’euro e del mercato unico, che comporterebbe una catastrofe economica e sociale, come abbiamo visto quando la Grecia è stata vicina ad uscire. La creazione di una sovranità federale europea richiede uno scatto di lungimirante volontà e leadership politica.
Nel frattempo i benefici dell’unità europea si sono manifestati ampiamente. L’euro ha portato enormi benefici economici, soprattutto ai Paesi più indebitati, prima grazie al drastico abbassamento dei tassi di interesse, poi grazie all’azione di scudo della BCE. I Paesi dell’Europa centro-orientale hanno vissuto un boom economico analogo a quello dei Paesi occidentali all’avvio del Mercato Comune. Nel 1989 il reddito pro capite di Polonia e Ucraina era analogo. Oggi quello polacco è il doppio di quello ucraino. Questa è la differenza tra stare dentro o fuori dall’UE.
Ma la mancata unità politica rende l’UE incapace di rispondere in modo efficace e tempestivo alle richieste di sicurezza – politica, economica e sociale – dei cittadini in un contesto mondiale profondamente mutato. Così in assenza di una risposta concreta in termini di politiche – che nessuno Stato membro da solo è in grado di fornire – si afferma una risposta psicologica e identitaria: il mito del passato, il riemergere delle pulsioni alla chiusura, il rigurgito nazionalista, con l’illusione di un ritorno alla sovranità nazionale assoluta ottocentesca, che nasconde in realtà la tentazione di diventare il protettorato di una delle grandi potenze mondiale in competizione tra loro. Non a caso molti nazionalisti sono vittime di scandali per i loro rapporti con la Russia e/o l’estrema destra americana. Mentre i nazionalisti di estrema sinistra guardano alla Cina. L’alternativa essenziale è tra nazionalismo e unità europea.
È questo il contesto che permette il riemergere dell’odio. Per cui nel 2019 lo stato italiano è costretto a dare una scorta a Liliana Segre per le minacce di vita che riceve la senatrice a vita sopravvissuta al campo di concentramento di Auschwitz. Ciò testimonia il crescente antisemitismo - ma anche razzismo, islamofobia, omofobia, e in generale odio di qualunque minoranza o diversità socialmente stigmatizzabile - nel nostro paese. Come se la condizione delle minoranza religiose, linguistiche, culturali, ecc. non fosse uno dei segnali più rilevanti dello stato di salute di una democrazia liberale e dello stato di diritto.
Rispondere con la solidarietà verso Liliana Segre è doveroso, così come continuare a impegnarsi sulla Memoria dell’Olocausto. Ma non basta! È necessario capire che tutto questo è un segnale della crisi irreversibile dello stato nazionale, che nella sua putrefazione libera questi veleni e crea una situazione pre-fascista. L’unica risposta strutturale è l’unità politica dell’Europa, per ridare una sovranità effettiva ai cittadini – come ricorda Mario Draghi. Cioè una effettiva capacità democratica di affrontare i problemi e le grandi sfide, e rispondere alle esigenze dei cittadini in termini di sviluppo economico, di trasformazioni ambientali, di sicurezza. Solo così sarà possibile riportare sotto controllo queste pulsioni pre-fasciste che nella società esistono sempre in frange marginali, ma che oggi stanno diventando sempre più drammaticamente rilevanti in Italia, e addirittura rischiano di diventare mainstream, a causa di una sottovalutazione del pericolo e dell’efficacia della propaganda delle forze di estrema destra, come Lega e FdI, che di fatto su molti temi hanno fatto proprie le posizioni – e assorbito l’elettorato – di Forza Nuova, Casa Pound e la galassia neo-fascista.
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