Abolire la miseria (civile), rilanciare la Nobiltà

, di Simone Vannuccini

Tutte le versioni di questo articolo: [français] [italiano]

Abolire la miseria (civile), rilanciare la Nobiltà

Quando nel 2001 e poi ancora nel 2008 le elezioni politiche italiane hanno riproposto il risultato per certi versi “innovativo” del 1994, ho cercato di darmi una spiegazione del comportamento dei cittadini italiani che fosse diversa (ma complementare) rispetto alle solite idee che circolavano sui giornali, alle visioni un po’ miopi ancorate solo e solamente alla preminenza mediatica e al potere economico, ed ero giunto alla conclusione che per almeno metà del popolo italiano la diagnosi potesse essere riassunta come un caso colletivo di dissonanza cognitiva.

Ripescando fra i miei vecchi (ma poi non cosí tanto) appunti del corso di “democrazia e sviluppo” all’Università, «[…] questa teoria afferma che una persona la quale per l’una o l’altra ragione s’impegni ad agire in una maniera contraria alle sue convinzioni, o a quelle che crede essere le sue convinzioni, si trova in uno stato di dissonanza. Si tratta di uno stato sgradevole, e l’interessato tenterà di ridurre la dissonanza. Siccome il “comportamento discrepante” ha già avuto luogo, e non può esser disfatto, mentre le convinzioni possono esser cambiate, la riduzione della dissonanza può ottenersi principalmente modificando le proprie convinzioni nel senso di una maggiore armonia con le azioni».

Con un po’ di interpretazione analogica si potrebbe dire che per i cittadini del Belpaese era certamente piú facile accordare le proprie convinzioni alle grandi, favorevoli ma infondate visioni che venivano proposte, piuttosto che realizzare lo scarto fra le speranze ed una realtà complessa, sfaccettata e ormai segnata dagli effetti di una rivoluzione di portata mondiale nei modi di produrre, di consumare, di intendere la cultura, la collettività e l’impegno civile, la guerra e la pace, e l’idea stessa di integrazione e contaminazione fra quelle variegate “tribú” che compongono l’Umanità del villaggio globale. Un villaggio sempre più interconnesso, nonostante le asimmetrie di potere, la frammentarietà, ed i divide che caratterizzano un quadro istituzionale ancora anarchico e fondato prevalentemente sul diritto della forza, piuttosto che sulla forza del diritto.

Eppure, qualcosa sta cambiando. Forse la portata inedita dei problemi che i cittadini italiani si trovano ad affrontare ha rotto l’incantesimo, e ha ri-allineato le aspettative con la realtà: non si tratta della fine di un’altra ideologia, ma di un miraggio che svanisce e apre nuove e importanti finestre di opportunità per ricostruire dalle fondamenta la vita sociale e politica del nostro Paese. A questo punto è necessario essere più precisi, e anche più generali, non confinando la nostra analisi all’Italia: quali sono questi problemi, così rilevanti da far scendere giovani e non giovani indignati nelle piazze, così seri da prospettare la fine delle più importanti conquiste prodotte dall’integrazione europea (l’unità monetaria e la libera circolazione), così pressanti da togliere il sonno ai leader (almeno quelli non impegnati in attività alternative) del Vecchio continente, stretti nella morsa del fallimento dei debiti sovrani e del collasso economico? Suggerisco tre categorie interpretative, prese a prestito dal pensiero federalista europeo, che potrebbero risultarci utili: crisi, leadership, iniziativa.

Crisi. La spada di damocle che pende sulla testa dei governi europei ha rivelato finalmente anche alle intelligenze più conservatrici che l’Europa ha davanti a sé un’unica strada se vuole sopravvivere: quella dell’unione fiscale, e dunque dell’unità politica. Lo ha detto Trichet, chiedendo un Ministro dell’Economia europeo (il che, a rigor di logica, implicherebbe la necessità di un Tesoro europeo, dunque di un potere federale, a meno che – ovviamente – non si voglia ancora una volta temporeggiare con nuove soluzioni intergovernative inefficienti e parziali che i mercati non tarderanno a demolire), lo dicono perfino i giornali inglesi e americani più euroscettici: la soluzione della crisi a livello nazionale passa per austerità, aumento dell’imposizione fiscale, tagli al modello sociale europeo, cioè il fiore all’occhiello del continente, ciò che ci distingue come area ad alto sviluppo umano. E questo circolo vizioso è solamente condizione necessaria, ma non sufficiente, per scongiurare il collasso. La condizione sufficiente esiste, ma si trova a livello sovranazionale: pooling parziale del debito con emissione di Union bonds (elaborando al contempo meccanismi che evitino i potenziali problemi di moral hazard già rilevati da eserciti di economisti) per far respirare le economie, aumento del bilancio grazie ad una ristrutturazione federale della fiscalità a tutti i livelli (che comprenda tasse ambientali o, eventualmente, sulle tassazioni finanziarie), finanziamento di quelle politice fiscali per lo sviluppo che oggi sono impossibili nel contesto nazionale; non soltanto la “cura” contro la recessione, quindi, ma addirittura rilancio.

Leadership. Anche se in Italia è in corso il risveglio dallo stato di dissonanza cognitiva, ciò non corrisponde direttamente ad un cambiamento di atteggiamento del Governo; la confusione creata sul caso Draghi-BCE (e sua successione in Bankitalia, che riflette il braccio di ferro fra Premier e Ministro delle Finanze), l’assenta di un Ministro delle Politiche europee, la generale inconsistenza e mancanza di rilievo delle nostre posizioni in sede internazionale minano fortemente il processo di integrazione europea, che nell’Italia ha sempre trovato una sponta ad un motore. Certo, Francia e Germania non se la passano molto meglio, divise fra la necessità di accudire l’elettorato nazionale con pillole di populismo e visione-corta e quella di coccolare l’altro elettorato, il mercato europeo e mondiale, perché consapevoli degli strettissimi legami che intrecciano fra di loro i sistemi economici e bancari europei. Per uscire da questa empasse servono leader di grande caratura, servono la consapevolezza e la convinzione che realizzando l’Unità europea un Governo – ed i suoi membri – potrebbero fare la storia.

Iniziativa. A questo punto è giusto fare un chiarimento. La colpa della crisi economica non è della finanza. O almeno, non lo è in modo prevalente. La finanza ha acceso l’incendio, ma in Europa i pompieri non esistono, o meglio – a differenza di quanto accade nei grandi stati federali – sono così piccoli ed hanno così poca acqua che possono soltanto peggiorare la situazione. Il problema è dunque politico, non economico (certo, se all’economia “canaglia” sono offerti spazi d’azione, questa se li prende, dato che i mercati e le speculazioni rispondono al richiamo degli incentivi); ma l’incapacitá di andare oltre lo “sguardo nazionale” non si limita ai Governi, spesso criticati per la loro strenua conservazione del potere: è tutta la societá civile che ha il dovere di spostare lo sguardo dal dito alla luna, così da capire le – nemmeno tanto sottili – relazioni che potenzialmente potrebbero legare le ingenti risorse finanziarie di un’Unione fiscale e politica europea con il successo ed il riconoscimenti delle loro azioni ed obiettivi particolari. Se i sindacati hanno iniziato a parlare di negoziati globali e di Stati Uniti d’Europa, se Confindustria ricorda l’importanza dell’esito politico dell’unificazione europea come quadro privilegiato d’azione e riflessione, forse l’idea inizia a fare breccia. In vista della possibilità di lanciare nel 2012 una grande Iniziativa dei Cittadini Europei – cosí come previsto dalle norme del Trattato di Lisbona – proprio su questi temi, un grande schieramento di forze politiche, sociale e partitiche deve riunirsi e fare propria l’idea dell’Europa federale.

Dunque, ed in conclusione, considerate la crisi, la mancanza di leadership politica europea e la imprescindibile necessità di una nuova iniziativa – auspicabilmente dalle radici popolari – a sostegno di una sempre più stretta integrazione federale in Europa, possiamo affermare che è giunto il momento – parafrasando Ernesto Rossi – di abolire la Miseria. Miseria non soltanto economica, intesa come povertà, ma miseria culturale, creativa, civile. La società europea ha assoluto bisogno di grandi visioni, non di grandi illusioni, di progetti nobili, non di meschinità. Anche se l’illusione che governato negli ultimi anni in Italia sta per finire, uno sforzo piú grande ci è richiesto: rilanciare la nobiltà della Politica come governo della collettività, una collettività plurale e federale, dal quartiere al mondo, che trovi oltre i confini dello stato nazionale e nei principi del federalismo europeo le sue ragioni d’essere. Aboliamo la miseria intellettuale e culturale, restituiamo Nobiltà alla Politica!

Tuoi commenti
moderato a priori

Attenzione, il tuo messaggio sarà pubblicato solo dopo essere stato controllato ed approvato.

Chi sei?

Per mostrare qui il tuo avatar, registralo prima su gravatar.com (gratis e indolore). Non dimenticare di fornire il tuo indirizzo email.

Inserisci qui il tuo commento

Questo campo accetta scorciatoie SPIP {{gras}} {italique} -*liste [texte->url] <quote> <code> ed il codice HTML <q> <del> <ins>. Per creare paragrafi lasciare semplicemente delle righe vuote.

Segui i commenti: RSS 2.0 | Atom