Come Mussolini a Salò

, di Antonio Longo

Come Mussolini a Salò

«Il ritorno del Cavaliere» fu il titolo di un mio articolo apparso nel luglio scorso su questo giornale. Lessi le dichiarazioni di Berlusconi sull’uscita dell’Italia dall’euro non come effetto di un colpo di sole estivo, bensì come un’anticipazione della sua voglia di un «ritornare in campo» facendo della battaglia contro l’euro il perno della sua futura campagna elettorale. Purtroppo non mi ero sbagliato.

La motivazione di fondo della sua esternazione, che indicai nello scorso luglio, vale anche oggi: la sua azione politica può “avere successo in Italia solo in un quadro di disgregazione dell’Eurozona, quindi di totale anarchia europea”. Nella sua lucida follia Berlusconi ha sempre correttamente percepito l’euro e l’unità europea come l’ostacolo reale al suo potere assoluto in Italia. Non lo furono certamente la questione morale o l’opposizione politica interna. Fu invece il ‘potere europeo di fatto’ a costringerlo alle dimissioni un anno fa (“L’Europa ha buttato giù Berlusconi”, in Eurobull, 9.11.2011).

Dobbiamo interrogarci su cosa lo spinge a combattere questa battaglia disperata. A volte, anzi spesso, le azioni degli uomini politici non sono dettate dalla razionalità in sé della scelta. Ci sono cose che sei costretto a fare per ciò che rappresenti, per ciò che sei stato, al di la di ciò che dice la ragione. Ad esempio, nel luglio del ‘43 Mussolini sapeva di aver perso dopo che il Gran Consiglio del Fascismo decretò la caduta del regime ed il suo arresto. Poteva imbarcarsi su un aereo ed andarsene in un Paese lontano. Ma il suo potente alleato lo costrinse a stare nel suo ruolo e a giocare una partita disperata, fino al suo tragico epilogo. Al prezzo di due anni di guerra e di tragedie umane nell’Italia di Salò.

Così oggi Berlusconi è costretto a ‘ritornare in campo’ perché il potente (ed oscuro) blocco sociale che lo sostiene non ha trovato un’alternativa. Un blocco sociale che per vent’anni si è espresso politicamente nella forma del plebiscito cesaristico non può certo inventarsi di colpo una procedura democratica per selezionare un nuovo ceto dirigente: il fallimento delle primarie del centro-destra ne è la prova più eloquente. E Marcello Dell’Utri ha interpretato in maniera plastica questo concetto: “le primarie nel centro-destra sono una cazzata”.

Per giungere ad una esperienza democratica del centro-destra in Italia occorre che quel blocco sociale che ha espresso per vent’anni Berlusconi prima si disgreghi socialmente e poi venga battuto politicamente. La crisi del debito sovrano, le ‘imposizioni’ della UE sul controllo del bilancio e sulla restrizione della spesa pubblica (vera e propria mammella per il blocco sociale berlusconiano) ed infine un anno di governo Monti (che ha reso palpabile che un’epoca storica era finita), hanno iniziato a disgregare quel blocco sociale, che non si vede più rappresentato politicamente. Quindi prossimo ad una sconfitta cocente nelle imminenti elezioni politiche.

La rinnovata candidatura del Cavaliere è, dunque, la manifestazione di una forzosa costrizione a giocare il ruolo di leader plebiscitario che il suo potente blocco sociale gli impone. Come Mussolini a Salò.

E, come allora, dobbiamo attenderci una campagna elettorale che avrà le caratteristiche di una ‘guerra’, fortunatamente solo ideologica rispetto all’altra. Il nemico è chiaramente già individuato: “l’Europa che ci impone i sacrifici, la Germania che comanda”, “le oscure potenze finanziarie che ci hanno tolto la sovranità”, “usciamo dall’euro per riconquistare la dignità nazionale”, “Monti come strumento di queste potenze straniere e la sinistra come serva sciocca che si presta al gioco”. Demagogia e populismo come strumenti di una campagna che cercherà di sfondare nel bacino elettorale del grillismo, eventualmente condita con qualche sapore di ‘socialità’ e di assistenzialismo per garantire il sistema del clientelismo locale. Bene, se il tema sarà l’Europa, vorrà dire che sull’Europa si comincia a prendere o a perdere i voti, quindi l’Europa diventa un fatto di potere. Così può nascere l’Europa politica, come nella lotta contro il fascismo nacque l’Italia democratica.

Occorre prepararsi, dunque. Non giocando sulla difensiva (giustificando l’Europa che c’è) o con semplici professioni di fede sugli Stati Uniti d’Europa, ma dicendo alcune verità decisive.

La prima verità è che l’Italia - e gli altri Paesi europei - non si reggono più in piedi se non nasce, a breve, un governo federale in campo economico e politico. E che compito di un’Italia democratica è quello di facilitare (e possibilmente accelerare) questo passaggio. Pertanto occorre che nella campagna elettorale del 2013 le forze democratiche si pronuncino chiaramente per l’Europa che vogliono veder nascere dalle elezioni europee del 2014. Se porranno con forza la prospettiva di un’Europa federale come orizzonte della loro battaglia anche in Italia, taglieranno le gambe al populismo ed alla demagogia e la vittoria sarà forte e chiara.

La seconda verità è che la mancanza di un governo federale europeo ci sta costando un’enormità, in termini finanziari, economici e sociali. La politica dell’austerità è la conseguenza del fatto che, non esistendo una finanza federale, non si trova di meglio che attuare pesanti interventi sul bilancio per raddrizzare la situazione finanziaria. Il fiscal compact è come i parametri di Maastricht: entrambi rappresentano la risposta dei governi nazionali alla loro non-volontà di procedere verso un governo federale in campo economico e politico. La mancata crescita è la conseguenza del fatto che, non esistendo un governo europeo, dotato delle risorse per effettuare investimenti massicci nell’innovazione e nella società della conoscenza, è illusorio pensare che i singoli governi nazionali, con le poche briciole a disposizione, possano fare qualcosa di serio. Le politiche nazionali in aree quali la difesa, gli esteri, la sicurezza, l’energia, le grandi infrastrutture ed altre ancora hanno un costo elevatissimo ed una resa bassa in termini di efficacia. Certi beni pubblici dovrebbero essere considerati europei, erogati a livello europeo con costi nettamente inferiori ed in forma molto più efficace. I risparmi sarebbe ingenti e potrebbero essere dirottati su R&S, istruzione, ambiente, welfare.

La terza verità è che la democrazia nazionale, senza la nascita di una democrazia europea, sta morendo. Un’Italia migliore non è pensabile se non nasce un’Europa democratica, dotata di solide istituzioni federali. È illusorio pensare di difendere la democrazia solo sul piano nazionale, contro il populismo e la demagogia, contro i rigurgiti del fascismo e dell’intolleranza, limitandosi a difendere istituzioni nazionali che non sono più in grado di dare una risposta a problemi che sono europei e mondiali. Le istituzioni nazionali possono essere difese se, accanto ad esse, nascono istituzioni politiche europee capaci di dare risposte ai problemi. In termini più concreti: se i problemi del debito e dei bilanci nazionali, se il tema della crescita e dello sviluppo compatibile, se il tema del modello sociale e dell’occupazione sono oramai problemi europei, occorre dire che ci vuole anche una democrazia europea.

Una campagna elettorale italiana che dicesse queste verità taglierebbe le gambe alla propaganda demagogica e qualunquista e manderebbe definitivamente in pensione il Cavaliere. Il paragone con Salò finisce qui.

Fonte immagine Flickr

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Tuoi commenti
  • su 11 dicembre 2012 a 05:51, di Patrizio In risposta a: Come Mussolini a Salò

    Nell’oscurita della notte,cercate!fiat lux:w gli stati uniti d’Europa.

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