Secondo una recente indagine di eurobarometro pubblicata nel luglio 2006 il 45% degli europei è preoccupato per la disoccupazione, mentre il 24% teme l’insicurezza sociale e il crimine. È un fatto che i livelli di disoccupazione sono troppo alti in molti paesi europei. Economie stagnanti ed apertura del mercato del lavoro alla concorrenza internazionale sono percepiti come un pericolo, indipendentemente dal fatto che tali paure siano giustificate. Quindi, per quale motivo i leader europei preferiscono ancora concentrarsi sul rafforzamento dell’Unione europea come area di libertà, sicurezza e giustizia invece di occuparsi della sua dimensione sociale?
La costituzione è stata per decenni la sfortunata vittima di assalti diffamatori da parte degli stati membri. Come possono i cittadini sapere con chi prendersela per la disoccupazione dal momento che l’impalcatura istituzionale ed il processo decisionale risultano incomprensibili ed i politici inganno deliberatamente le persone scaricando sull’Europa tutte le colpe delle miserie che hanno prodotto?
Un altro fattore che ha affossato la costituzione non va sottovalutato. Il 56% dei francesi e il 54% degli olandesi era per una costituzione. Così, non appena hanno avuto per la prima volta la possibilità di esprimersi sull’integrazione europea hanno detto che vogliono più diritti sociali e lavoro e meno libera circolazione di merci e capitali: maggiori libertà positive piuttosto che libertà negative. Per ridare legittimità alla costituzione servono quindi azioni a livello europeo nel campo della politica sociale che colgano il sostegno dei cittadini necessario non solo per la costituzione, ma per l’intero progetto europeo.
Da dove viene l’idea di Unione europea?
«L’interdipendenza economica e la diminuita capacità degli stati nazione di fornire sicurezza e prosperità hanno reso necessaria la cooperazione internazionale, transnazionale e sopranazionale. L’integrazione ha aiutato a conservare la lealtà nazionale perché assicura il consenso della classe media, degli agricoltori e dei lavoratori. L’inclusione e il sostegno dei redditi agricoli tramite la politica agricola comune erano visti anche come necessari per garantire la lealtà di questo settore, sensibile a opzioni politiche estremiste e non democratiche». (Kees van Kersbergen)
Secondo alcuni teorici, l’Unione europea è solo un’estensione della politica dei governi nazionali. Un livello di governo creato solamente per comprare il silenzio di queste classi sociali, le quali sono particolarmente disposte a mettere in pericolo il consenso sociale, la pace e l’ordine. La Politica agricola comune (PAC) è un esempio classico di queste dinamiche e la sua importanza e peso nel bilancio europeo ne è la dimostrazione. Insistere con il sistema dei sussidi era l’unico modo per gli stati nazionali di preservare la pace sociale e contenere la disoccupazione, causa di turbolenze sociali. Questa è una delle ragioni per cui gli stati membri si aggrappano con forza alla PAC per tenerla così com’è. I costi politici, finanziari e sociali per invertire la rotta sono così alti che i governi preferiscono mantenere in vita artificialmente sistemi produttivi ormai inefficienti. Proprio la riforma del settore agricolo è una delle più grandi sfide che abbiamo di fronte. La presidenza finlandese ha in agenda la PAC, ma a causa di un sistema decisionale che impone l’unanimità, gli alti costi politici da pagare a livello nazionale uniti ad alti costi sociali, una riforma radicale è ancora lontana.
Perché le politiche sociali rimangono competenza dello stato e chi raccoglie i benefici?
«Il consenso nazionale è e rimane la fonte primaria del potere politico delle elite che guidano il processo di integrazione. Questo rapporto di dipendenza spiega perché la maggior parte delle politiche sociali è rimasta di esclusiva competenza dell’autorità nazionale e perché questo settore è così contestato a livello europeo». (Kees van Kersbergen)
Quando si comprese la necessità di cooperare nel campo della sicurezza sociale, i leader nazionali giocarono d’astuzia. Per conservare la loro dignità e una parvenza di sovranità in questa sfera di vitale importanza introdussero il cosiddetto “metodo aperto di coordinamento”. Giuridicamente non si tratta di un processo legislativo vincolante, ma produce un effetto di convergenza delle politiche sociali pari a quello del più stringente accordo vincolante. Il risultato è lo stesso, tranne che per il controllo democratico che viene così a mancare. Questa è una soluzione ideale per gli stati nazionali: sulla carta mantengono il controllo di un settore d’interesse vitale per il consenso elettorale, mentre dall’altra incassano i guadagni derivanti dalla cooperazione e dal coordinamento delle politiche sociali. Non stupisce che gli stati membri stiano raccogliendo i frutti scaricando sull’UE le colpe ogni volta che le cose vanno male. Nessuna meraviglia se i cittadini sono smarriti e sentono di non essere ascoltati perchè non sanno verso chi puntare il dito. La metà degli europei considera l’UE democratica, in particolare i cittadini dei nuovi paesi membri. Ma solo un terzo pensa di contare qualcosa, quando le decisioni sono prese a livello europeo. È chiaro che occorre introdurre un nuovo concetto di democrazia per far sentire partecipi le persone. La strada più giusta consiste nel trasformare la Commissione in un governo politicamente responsabile di fronte ad un Parlamento europeo composto di due camere di identico potere, abolire gli incontri intergovernativi a porte chiuse, rafforzare i partiti politici e stabilire strumenti e canali per una democrazia diretta e partecipativa.
La gente chiede un’Unione protagonista nel sociale
Come recenti sviluppi mostrano, l’integrazione del mercato produce anche effetti dannosi, ad esempio il dumping sociale, che gli stati membri da soli non possono affrontare con efficacia. Per questo, l’UE è necessaria per creare un autentico quadro legislativo europeo in materia di sicurezza sociale. Ciò garantirebbe il pieno sviluppo delle quattro libertà di circolazione, prevenendo l’uso da parte degli stati membri della legislazione nazionale per creare disparità nel movimento di persone, merci, servizi e capitali. Una divisione dei compiti combinata con istituzioni europee democratiche darebbe risultati migliori, rendendo chiaro ai cittadini chi fa cosa e chi è responsabile per il fallimento o il successo di una politica. Una divisione funzionale delle competenze tra paesi membri e livello europeo è, anche nel sociale, la chiave per una maggiore efficienza e la soluzione per problemi che i singoli stati non possono gestire da soli. Una politica sociale europea non significa un sistema fiscale centralizzato ma politiche sociali coordinate tra gli stati membri e raccordo con le politiche economiche e monetarie. Ma i governi mostrano indifferenza e non sottolineano mai l’utilità di azioni comuni nel sociale, soprattutto se si tratta di finanziare il tutto con un sistema di tassazione europeo. Ma la cruda realtà è che il 65% della popolazione è favorevole ad armonizzare le politiche sociali dell’Unione [1].
Contro tutte le aspettative e convinzioni, la popolarità dell’UE è crollata dopo il Trattato di Maastricht e l’introduzione dell’euro. Era largamente diffusa l’idea che la moneta comune avrebbe rafforzato la reputazione dell’UE, ma il risultato è stato di segno opposto. Anche la roboante battaglia contro la disoccupazione combattuta dagli stati nazionali (che in ultima analisi rimane un contributo marginale) è comunque un elemento fondamentale per mantenere il consenso. La disoccupazione è uno spreco di risorse ma si è anche dimostrata una minaccia all’ordine e all’obbedienza. L’UE devo ora decidere se provare a catturare la lealtà riposta negli stati membri e raccogliere alcuni di quei frutti che veramente appartengono all’azione comunitaria. Se le istituzioni europee pensassero strategicamente, dovrebbero usare uno dei più potenti strumenti per creare fedeltà: le politiche sociali. Una strategia già adottata dagli stati nazionali per almeno un secolo. È la via più semplice per bilanciare il sempre più esteso liberalismo europeo con un crescente supporto di massa per accompagnare la “combinazione a più velocità di integrazione economica e politica”, che a volte è solamente dipinta come un “progetto di pace” influenzato dall’esperienza delle due guerre mondiali.
Politica sociale - la via più semplice per bilanciare il sempre più esteso liberalismo europeo con un crescente supporto di massa per accompagnare la “combinazione a più velocità di integrazione economica e politica”?!
La PAC è un esempio di come l’UE è stata creata per mantenere la pace sociale. L’obiettivo non era solo impedire nuove guerre ma anche prevenire sommosse sociali. Pace è una parola che ha diversi significati per le generazioni cresciute nell’era globale. Per la nostra generazione la pace non è solo l’assenza di guerra. Dal momento che, per esempio, il concetto di «sicurezza umana» copre una vasta gamma di fattori, l’iniziale concetto di pace sottostante il progetto UE potrebbe anche essere inteso in un senso più ampio. Se l’Unione è un grande progetto di pace, dovrebbe tentare di assicurarla tra le classi sociali e le generazioni, i vincitori e i perdenti e, ogni tanto, tra la spietata competizione tra sicurezza lavorativa e un decente standard di vita.
La Federazione per legittimare l’integrazione politica
Considerato che l’integrazione dei mercati e la crescente interdipendenza tra diverse sfere politiche hanno caratterizzato l’”europizzazione” del processo politico, una più forte cooperazione in campo sociale è uno sviluppo inevitabile. Quello che rimane da decidere è se le persone possono esercitare un controllo democratico delle politiche creando un sistema federale o se i governi devono continuare ad usare il “metodo aperto di coordinamento” e gli strumenti di cooperazione intergovernativa che offre. Scegliendo una tale strategia scarsamente democratica, la diffusa paura di una strisciante centralizzazione verso Bruxells non farà che aumentare. Il risultato sarà più euroscetticismo e meno legittimità per l’UE. Questo circolo vizioso non si spezzerà dal momento che le persone pensano che l’economia di mercato tanto amata a Bruxelles equivalga a perdita dei posti di lavoro e calo della qualità della vita. E dal momento che la paura di perdere il lavoro cresce tra le classi medie, la principale base di supporto dell’integrazione europea andrà persa. Queste fasce sociali, che non raccolgono i benefici delle quattro libertà al contrario di quelli che appartengono all’elite europea “mobile”, necessitano di esempi tangibili dell’utilità del processo di integrazione europeo. L’UE rischia di diventare un progetto di pace sociale fallito.
I governi nazionali sono stati molto efficaci nel dipingere l’UE come un potere maligno centralizzato, quando hanno avuto bisogno di reclamare per sè i profitti derivanti da azioni prese a livello europeo”
Una netta divisione del lavoro tra integrazione del mercato e politiche sociali è arbitraria. La costruzione del mercato e le politiche di correzione del mercato devono procedere di pari passo dal momento che l’interdipendenza tra queste due sfere è crescente. Ma nonostante ciò sia chiaro, le politiche liberali di mercato e la politica monetaria sono decise a livello europeo mentre economia e benessere sociale rimangono in mano agli stati membri. Questa divisione di compiti è stata rigettata con la proposta di costituzione. Più dei due terzi dei cittadini vogliono armonizzare i sistemi sociali, in particolare i giovani dei nuovi paesi membri e la Grecia. Gli stati membri si devono confrontare con una lama a doppio taglio. Dal momento che non vogliono perdere la loro principale fonte di controllo del consenso, non hanno ancora risposto alla richiesta dei cittadini di un’“Europa sociale”. Il punto di partenza consiste nel definire cosa si intende per Europa sociale. Dal momento che gli effetti negativi della globalizzazione e dei “poteri forti” che gestiscono il capitale erodono la capacità degli stati membri di mettere in campo efficaci politiche sociali, la lealtà dei cittadini verso l’UE è crollata proprio a causa dell’incapacità dei governi nazionali di trovare un’adeguata soluzione al problema.
I governi nazionali sono stati molto efficaci nel dipingere l’UE come un potere maligno centralizzato, quando hanno avuto bisogno di reclamare per sè i profitti derivanti da azioni prese a livello europeo. Occupando il vuoto di potere lasciato dagli stati membri nelle politiche sociali l’UE potrebbe raccogliere un considerevole consenso.
L’UE non riesce a legittimarsi agli occhi dei cittadini perché le priorità di Bruxelles e quelle dei cittadini sono distanti anni luce. Perché la lista delle cose da fare inizia con combattere il terrorismo, impegnare forze militari e creare meccanismi di controllo piuttosto che concentrarsi sull’occupazione, sentita come minaccia numero uno da tutti noi? Se l’UE fosse una Federazione democratica in sintonia con le esigenze dei cittadini l’agenda politica sarebbe diversa. È giunto il momento per i cittadini di stabilire le priorità dell’agenda politica. Per la JEF fare gli interessi dei cittadini significa creare una Federazione democratica dove la gente conta. Forse dopo, anche l’Europa sociale diventerà realtà.
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