Caro X.,
nella tua ultima mail hai risposto alle mie considerazioni sulla necessità di mettere la questione europea in cima all’agenda programmatica (come ha fatto saggiamente Zingaretti sul Foglio e non ha fatto invece, ad esempio, il giovane Renzi nei suoi 100 punti) invitandomi ad essere un po’ più “realista”. Se non ricordo male, mi facevi notare che per l’Italia è il momento delle “scelte concrete”, e non di un “vago richiamo agli Stati Uniti d’Europa o ad altri piacevoli sogni”.
Permetti allora che ti racconti una storiella, una storiella che riguarda questo curioso personaggio, il «realista», da te così maldestramente evocato.
Nel 1950 l’Europa era uscita dal suo ultimo Armageddon: tutti i bravi realisti del continente erano unanimi nel ritenere che Francia e Germania dovevano rinchiudersi nei loro confini nazionali a leccarsi le ferite, come nel 1918, e starsene d’ora in poi, se possibile, buone e tranquille. Ma si fece avanti un federalista, e suggerì che era decisamente meglio se Francia e Germania avessero messo in comune la produzione del carbone e dell’acciaio: così un’altra guerra in Europa sarebbe stata molto più difficile in futuro. I realisti (l’Europa ne era ancora piena, all’epoca) scoppiarono a ridere e gli diedero del visionario: mettere in comune le basi materiali della potenza militare dopo Sedan, Verdun e Vichy?... Ed ecco spuntare il più strano, improbabile dei fiori: la CECA. Chi non l’ha fatto si legga l’autobiografia di Monnet: una pagina di questo libro insegna più di una laurea in scienze politiche.
Quattro anni dopo i “visionari” spinsero l’Europa a un soffio dalla Comunità Europea di Difesa - in pratica la federazione europea - e il progetto fallì solo per l’opposizione del parlamento francese: all’ultimo momento Mendès-France non se la sentì, perchè qualche gaullista e qualche comunista rialzarono la testa (come si vede, gli esponenti di due visioni che oggi non brillano precisamente per attualità). Tutti gli altri, compresi gli Stati Uniti, erano già d’accordo.
Negli anni Settanta i federalisti sostenevano che un organismo ormai potente come la CEE doveva essere sottoposto a un controllo democratico e che ci voleva un vero parlamento europeo, cioè un parlamento eletto a suffragio universale diretto; a molti anche questo sembrò un sogno, ma nel 1979 si tennero le prime elezioni paneuropee. Oggi a nessuno dispiace se nell’Unione c’è, almeno, uno straccio di istituzione genuinamente rappresentativa.
Negli anni ’80 i federalisti, che sono gente ricca di pazienza, intrapresero la battaglia per la moneta unica. I realisti, neanche a dirlo, insorsero compatti e si fecero beffe di una prospettiva così - appunto - irrealistica. Nel ’92 l’Europa stupì il mondo dandosi l’euro: perchè la stabilità monetaria è un valore e fa comodo a tutti. Non si era mai visto qualcosa di simile: eppure adesso si vedeva.
Oggi, in piena crisi, parecchi vanno accorgendosi che un’unione monetaria fra diversi regimi fiscali è destinata al fallimento. Ma prima di Maastricht i federalisti avevano ammonito: una moneta senza governo ha le gambe corte, proprio come le ha avute il «serpente monetario». I documenti sono agli atti, chi vuole vada a leggerseli. Tutto ciò che i federalisti hanno detto in questi ultimi settant’anni, dall’isola di Ventotene (nel 1941) al congresso di quest’anno a Gorizia, è agli atti e può essere facilmente consultato da qualsiasi realista desideroso di apprendere.
In questi mesi il dibattito pubblico è agitato dall’idea degli eurobond. E’ un’idea federalista, molto più vecchia di tante altre. Li avremo, alla fine, e anche questi ci faranno comodo e ci toglieranno dai pasticci, come tutte le altre volte. Si insegnerà a scuola come andò la battaglia politica per gli eurobond e i bambini scriveranno temi su come è bella e utile l’Europa unita («perchè il mi’ babbo non aveva più lavoro e poi lo ha ritrovato, e adesso abbiamo una bella casetta e pure un gatto») e ci saranno anche dei concorsi, e i premi li consegnerà il sindaco.
Poi arriveranno gli esperti con le loro riviste specializzate, e scriveranno dotti articoli inframmezzati da grafici per dimostrare che ci volevano proprio gli eurobond. E saranno tutti d’accordo, e tutti avranno avuto ragione. E tutti torneranno, si capisce, realisti.
I federalisti sono davvero ricchi di pazienza. Tuttavia, adesso forse capisci meglio perchè quando un federalista si sente ancora richiamare a un maggiore realismo fa così fatica a trovare dieci minuti per scrivere una mail di risposta. Ci sono veramente tante, troppe cose utili e urgenti a cui mettere mano. Bisogna fare la finanza pubblica europea e la politica fiscale unica, per tenere in piedi l’euro, come si era detto; fatto questo bisognerà trasformare il Parlamento Europeo in un vero Parlamento bicamerale e la Commissione in un vero governo, perchè altrimenti il deficit democratico si fa insostenibile; e c’è perfino da mettere in piedi un gigantesco piano federale di investimenti per rilanciare lo sviluppo e l’occupazione. E’ tutto semplice e ovvio, ma richiede tempo e impegno. Poi, dopo, come sempre, tutti saranno contenti e staranno molto meglio di prima: senza più guerre mondiali, senza miseria, senza caos monetario, senza disoccupazione.
Va da sé che tutto questo te lo dico in amicizia, perchè tu hai sempre la mia simpatia e la mia stima. Però cerca in futuro di non ripetere troppo spesso questa gaffe: richiamare un federalista al realismo. Si rischia una figuraccia. Oggi non è prudente per un realista affacciarsi sul palco: perchè è probabile che pioveranno fischi e anche ortaggi. Meglio se ne stia buono dietro le quinte, a riflettere intensamente su che cosa è andato storto.
Permettimi infine di chiudere con una specie di battuta, che mi sembra riassuma bene il succo della questione: un realista è uno che arriva con settant’anni di ritardo, qualche osso rotto e poca voglia di ridere, perchè nessuno gli aveva detto che hanno inventato l’aereo.
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