Dal passato una spinta per il futuro dell’Europa

, di Prof. Curti Gialdino

Dal passato una spinta per il futuro dell'Europa

Discorso tenuto in occasione dell’approvazione, da parte del Comune di Lanuvio (RM), dell’OdG proposto dalla GFE in occasione del 60° anniversario della Dichiarazione Schuman.

Signor Sindaco, Signora Presidente del Consiglio Comunale, Autorità civili e militari, Cittadine e Cittadini, Cari Studenti,

1. - L’odierna iniziativa, consistente nel dedicare un Consiglio comunale straordinario della Città di Lanuvio aperto alla cittadinanza, alla commemorazione del Sessantesimo anniversario della Dichiarazione Schuman, atto fondativo del processo di unificazione dell’Europa, cade in un momento assai particolare per l’Europa e per l’Italia.

In Europa, i lavoratori, le famiglie, le imprese, già duramente colpiti dagli effetti economici della crisi dei mercati finanziari - iniziata nel 2008 e che non è certo terminata - guardano con crescente preoccupazione alle vicende della Grecia, alle prese con una situazione economica gravissima, rispetto alla quale la compattezza dell’aerea dell’euro è stata messa a dura prova e il contagio di altre economie è lungi dall’essere stato scongiurato dalle misure, colpevolmente tardive, programmate dagli Stati membri dell’Eurozona, di concerto con il Fondo monetario internazionale. A livello nazionale è la fiducia nel processo di costruzione europea che registra un minimo storico. Invero, in mancanza di risultati efficaci da parte dell’Unione, l’opinione pubblica è sempre più portata a considerare le istituzioni di Bruxelles come apparati burocratici sostanzialmente autoreferenziali, poco attenti alle reali esigenze dei cittadini. Ne è preoccupante testimonianza la tendenza a una minore partecipazione alle elezioni europee. I dati sull’affluenza alle urne per le elezioni del Parlamento europeo del 6/7 giugno 2009 in Italia hanno, infatti, indicato un aggravamento della distanza tra i cittadini e le istituzioni europee. L’affluenza nell’intera UE è stata solo del 43% degli aventi diritto (con oltre due punti percentuali in meno rispetto alle elezioni del 2004) e il dato italiano (65%), è stato più confortante solo a prima vista, in quanto anche per l’Italia si è trattato del valore più basso mai registrato. Tra le ragioni della scarsa affluenza alle urne spiccano due fattori. Da un lato, è pesata, soprattutto in un momento di grave crisi economica, la distribuzione delle competenze tra l’UE e gli Stati membri, in base alla quale le politiche fiscali e quelle legate al welfare sono saldamente nelle mani degli Stati. A ciò va aggiunto il carattere poco «politico» e molto “burocratico” del dibattito europeo, che ancora una volta non è riuscito a suscitare l’interesse dei cittadini, anche perché le campagne elettorali europee si sono un po’ ovunque sostanzialmente concentrate sui temi nazionali. In una tale situazione appare essenziale attivare ogni forma di democrazia partecipativa utile a far emergere l’Unione europea come nuovo sistema politico post-nazionale fondato su valori condivisi in cui l’interesse nazionale coincide con quello europeo. ... il carattere poco politico e molto burocratico del dibattito europeo ... Un simbolo politico, quale la giornata europea, può molto contribuire, creando immagini e riti a carattere emotivo, alla legittimazione dell’Unione europea nei cittadini e alla loro identificazione nel progetto di comune destino. Le feste, quella europea come quelle nazionali, costituiscono un momento significativo di conservazione della memoria, servono a naturalizzare periodicamente un patrimonio eclettico, a mantenere viva la coscienza del passato, a uniformare le reti di relazione. La giornata di festa non ha solo lo scopo di riaffermare l’esistenza di un’identità ma anche lo scopo di produrla. L’identità di cui si costruisce la storia, attraverso il dato simbolico, viene in tal modo iscritta nel corpo sociale. La strategia della memoria dà all’identità festeggiata una continuità temporale: il passato, l’avvenimento celebrato che si rinnova alla luce dei valori proclamati, diviene garante dell’avvenire. La cerimonia commemorativa peraltro ha anche una grande funzione pedagogica, qualora l’analisi storica del fatto celebrato sia effettuata nell’ottica della posterità, intesa non solo limitatamente agli eventi che l’hanno seguita (nel nostro caso il processo di unificazione europea) ma, soprattutto, in relazione alla sua sopravvivenza attiva e passiva nell’immaginario collettivo.

2. – Analizziamo, dunque, il fatto storico che oggi commemoriamo, nell’ottica della sua perdurante attualità.

Il Ministro degli Esteri francese Robert Schuman rese pubblica la sua Dichiarazione nel corso di una conferenza stampa convocata martedì 9 maggio 1950, alle ore diciotto, nel Salone dell’Orologio del Quai d’Orsay. Schuman fece precedere la lettura del comunicato da talune parole introduttive - spesso dimenticate - dalle quali peraltro si evince la reale motivazione dell’iniziativa. Schuman ricordò che la Francia non ha inteso agire essenzialmente per la pace, aggiungendo significativamente che “affinché la pace abbia realmente successo bisogna che vi sia anzitutto un’Europa”. A questa parte motiva segue il più specifico dispositivo della Dichiarazione. Esso può essere distinto in due parti. Una prima parte è direttamente legata alla creazione della CECA, poi istituita dal trattato di Parigi del 18 aprile 1951 ed estintasi il 23 luglio 2002, per scadenza del termine cinquantennale di durata. Non bisogna sottovalutare oggi quanto fosse a quel tempo rilevante la messa in comune del carbone e dell’acciaio, risorse che avevano alimentato le industrie della guerra e per il controllo delle quali Francia e Germania si erano militarmente confrontate a più riprese. Una seconda parte ha invece valore fondativo del processo di unificazione europea e va considerata nel contesto della vicenda attuale dell’integrazione. In essa sono contenuti i capisaldi del sistema concepito da Jean Monnet - a questo titolo co-fondatore, insieme a Schuman - della costruzione europea e dei suoi tre stretti collaboratori, l’economista Pierre Uri, l’ingegnere e alto funzionario Etienne Hirsch ed il giurista Paul Reuter. Anzitutto il “metodo comunitario”. Questo metodo comporta vari aspetti. In primo luogo, il carattere graduale del processo. Schuman precisa che “l’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto”. Dall’iniziale solidarietà della produzione carbosiderurgica, elemento di base dello sviluppo industriale, verso l’unificazione economica dei Paesi aderenti, in un virtuoso processo d’integrazione, il cui sbocco è l’unificazione politica dell’Europa. In secondo luogo, delle istituzioni di nuovo genere. Del funzionamento dell’intero regime sarebbe stata incaricata l’Alta Autorità comune, la progenitrice della Commissione europea, composta di personalità indipendenti designate su base paritaria dai governi, che avrebbero pure scelto di comune accordo il Presidente. L’Alta Autorità è il primo esempio di organo sovranazionale dell’Europa dei Sei, ed è anche, paradossalmente, in quanto frutto di una feconda... la creazione di una comunità di diritto... intuizione del giusinternazionalista Paul Reuter, il più lontano dalla logica della mera cooperazione intergovernativa delle organizzazioni internazionali classiche. L’Alta Autorità, istituzione sovranazionale, costituisce il primo riconoscimento di un interesse europeo. Le decisioni dell’Alta Autorità sarebbero state vincolanti nei Paesi aderenti e sottoposte a controllo giurisdizionale. Di qui già, in nuce, l’idea della “comunità di diritto”, poi affermatasi nella giurisprudenza costituzionalizzante della Corte di giustizia europea. E, ancora, procedure decisionali rette dal principio della maggioranza qualificata, anch’esse estranee alla logica intergovernativa delle organizzazioni internazionali classiche. In terzo luogo, le finalità a più lungo termine. Schuman considera la CECA, “prima tappa”, “primo nucleo concreto” di una “federazione europea”, ritenuta “indispensabile al mantenimento della pace”. Servire la pace è considerato l’obiettivo preminente, tenuto conto che nel 1950 gli Stati europei, fra i quali soprattutto la Francia e la Germania si erano affrontati nei precedenti ottant’anni a tre riprese, di cui due erano degenerate in conflitti mondiali con 50-60 milioni di morti. In tal senso va letta anche la ipotizzata presenza di un rappresentante delle Nazioni Unite presso l’Alta Autorità. A distanza di sessant’anni, in una mutata prospettiva internazionale, possono essere collegate a quest’idea le proposte di un seggio permanente dell’Unione europea al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e dell’Eurozona nel Fondo monetario internazionale. In quarto luogo, il carattere aperto dell’iniziativa: dall’iniziale intesa franco-tedesca, ai 6 Stati delle originarie Comunità, fino agli attuali 27 Stati membri dell’odierna Unione europea con una nutrita serie di Paesi candidati all’adesione. In quinto luogo, l’idea di “avanguardia” che la Dichiarazione implicitamente contiene, in quanto restringe l’ambito soggettivo, oltre al campo d’azione, rispetto al Consiglio d’Europa di Strasburgo, istituito il 5 maggio 1949 da 10 Stati, fra cui il Regno Unito, ed a cui nell’agosto successivo aderirono Grecia e Turchia, mentre la Germania dovette attendere il mese di luglio del 1950. Infine, qualche cenno ulteriore al riferimento alla “federazione europea”. Nell’ottica di Schuman e dei suoi collaboratori la Dichiarazione e la prefigurata Comunità carbosiderurgica rispondevano ad un chiaro disegno politico. Non erano affatto limitati ad un accordo di natura economica ma ponevano le basi di una integrazione a tutto campo, cioè nella sfera del politico, rispetto alla quale gli aspetti mercatistici sono chiaramente ancillari. Ma di quale federazione si tratta? Non se ne abbiano i federalisti, rimasti affezionati all’idea dello Stato federale, ma l’analisi dei documenti e della memorialistica fa propendere nettamente per la tesi che, fin dalle origini, l’idea fosse quella di una federazione di Stati e non di uno Stato federale. Per dare un’immagine viva di questa forma di associazione di Stati sovrani Jacques Delors, sicuramente fra i grandissimi Presidenti della Commissione europea, coniò molti anni dopo, nel 1995, la felice formula della “Federazione di Stati-Nazione”.

3. - Una breve riflessione - per rapidamente concludere - sullo stato attuale del processo d’integrazione europea, a sei mesi dall’entrata in vigore del trattato di Lisbona, e sulle sue prospettive.

L’Unione europea appare come un ircocervo, l’animale mitologico per metà caprone e per metà cervo. E’ per metà caprone, in quanto è nata dalla volontà degli Stati ed è ancora prigioniera di talune forme tipiche del diritto internazionale, a partire dagli atti istitutivi, che sono trattati internazionali, e dalle regole che hanno presieduto alla sua formazione ed a cui sottostanno le procedure per la entrata in vigore e per la revisione. Il trattato di Lisbona, in questo contesto è venuto ad accentuare taluni aspetti intergovernativi e verticistici, pur iniettando nel sistema ulteriore linfa democratica, attraverso la previsione di un ruolo assolutamente centrale del Parlamento europeo nelle procedure legislative, la partecipazione dei Parlamenti nazionali alle decisioni più sensibili e riconoscendo rango pari a quello dei trattati istitutivi alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, pur con le deroghe accordate a taluni Stati membri. Ma è anche per metà cervo, ... la crisi attuale ci impone di cambiar passo...per molti aspetti, affatto secondari, che la avvicinano ad una entità autenticamente federale. Si pensi, se non altro, all’euro, moneta comune di 16 Stati membri, oggi pericolosamente fatto oggetto di attacchi della speculazione internazionale, alla cittadinanza dell’Unione e ai diritti che garantisce, al primato del diritto dell’Unione sui diritti nazionali. Un federalismo che concilia ciò che appare a molti inconciliabile: l’emergere dell’Europa riunificata ed unita e la fedeltà alla Nazione, alla Patria, come radicamento ideale ed emotivo che i progressivi necessari trasferimenti di sovranità alle istituzioni europee, prefigurati dalla Dichiarazione Schuman - non cancellano. La crisi attuale ci impone tuttavia di cambiar passo. Non ci è più permesso di perdere dieci anni in un “cantiere costituzionale” dagli esiti incerti (mi riferisco ovviamente al fallimento del trattato che adotta una Costituzione per l’Europa del 2004); il mero coordinamento delle politiche economiche nazionali ha dimostrato in occasione della crisi finanziaria tutta la sua debolezza, occorre procedere speditamente verso un vero governo europeo dell’economia, che è possibile ottenere creando, attraverso la cooperazione “rafforzata” un nucleo di avanguardia di Stati nell’ottica di una più marcata evoluzione in senso federale della costruzione europea, che passa anche per una cooperazione “strutturata” nel campo della sicurezza e della difesa. Ma tutto ciò richiede, all’evidenza, un rafforzamento dello “spazio pubblico europeo” e una reale mobilitazione dei settori più attivi della società civile. I cittadini dell’Europa, e in particolare i giovani, devono vivere con orgoglio e insieme con umiltà quest’avventura, questo sogno coltivato dai Padri Fondatori, che si è in larga misura tradotto in realtà, devono riflettere sul fatto che i bene preziosi della pace, della libertà e della legalità vanno conquistato giorno per giorno, senza mai dimenticare il percorso compiuto e, soprattutto, senza considerare come scontate le conquiste realizzate.

In questo contesto, le commemorazioni - proprio come quella odierna di Lanuvio - sono occasioni fondamentali per alimentare la riflessione sul processo di creazione dell’identità europea e del senso di appartenenza a una stessa “comunità di destino”, per chiarirci le idee sul senso profondo della nostra partecipazione alla casa comune europea.

Fonte dell’immagine: World Wide Web

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