Dopo i BRICS, i MIKT? Le nuove economie emergenti

, di Ernesto Gallo, Giovanni Biava

Dopo i BRICS, i MIKT? Le nuove economie emergenti

Qualche anno dopo aver coniato il fortunato termine BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, cui si è poi aggiunto il Sud Africa), nel 2011 Jim O’Neill, l’economista-guru di Goldman Sachs, ci ha riprovato, e ha tirato fuori dal cilindro un nuovo gruppo di paesi emergenti, i MIKT. Si tratta di Messico, Indonesia, South Korea e Turchia. Davvero si tratta di paesi emergenti, economicamente e politicamente? O è piuttosto l’ennesimo acronimo privo di reale significato? Forse Goldman ha voluto dare un consiglio agli investitori e suggerire di ‘comprare MIKT’ per qualche tempo e poi spostarsi altrove? C’è del vero in tutto ciò e i MIKT sono un gruppo di paesi assai disomogenei e geograficamente distanti. Di vero però c’è anche dell’altro: cerchiamo di scoprire cosa.

Dopo il lancio dei BRICS, Jim O’Neill ci ha riprovato e ha inventato i MIKT, a volte chiamati anche MIST (Messico, Indonesia, South Korea, Turchia). Che cosa hanno in comune queste quattro economie emergenti? Si tratta di paesi temporaneamente ‘in forma’ (e nei quali conviene dunque investire) e dei quali ci dimenticheremo presto, o piuttosto di realtà economiche e politiche di grande e durevole rilevanza? Possono avere un ruolo insieme o non c’entrano nulla l’uno con l’altro? In che cosa possono contribuire all’economia ed alla politica mondiale?

Innanzitutto, si tratta di quattro paesi che, a partire dall’inizio simbolico dell’era globale (scegliamo il 1992, l’anno della fine dell’URSS), hanno conosciuto una crescita impetuosa, nonostante la crisi del peso del 1995, quella dell’Est Asiatico del 1997-98, e il crollo della lira turca nel 2000. Al contrario, tutti sono usciti rafforzati dalle crisi ed hanno continuato a beneficiare della globalizzazione di prodotti, servizi e lavoro. Nell’arco di tempo 1993-2011, la crescita media della Corea del Sud è stata 4.9%; 4.6% per l’Indonesia; 4.2% per la Turchia; 2.6% per il Messico (dati OECD). Se sommiamo il loro Pil, già ora questi paesi costituirebbero la quarta economia mondiale, dopo USA, Cina e Giappone. Non è poco. Se teniamo conto che, con l’eccezione della Turchia, si tratta di quattro ex colonie (la Corea stessa fu occupata dall’Impero giapponese nel periodo 1910-45), è un risultato ancora più sorprendente.

Ciò detto, occorre subito sottolineare alcune differenze di fondo. Si tratta di paesi geograficamente distanti e che difficilmente potranno ritrovarsi in qualche organizzazione regionale comune. Nonostante i comuni successi, sono anche quattro economie profondamente differenti, una delle quali, la Corea del Sud, svetta di gran lunga per sviluppo tecnologico, ricerca, innovazione e qualità della vita. Grazie ad una crescita persistente e portentosa, la Repubblica di Corea non è più un paese ‘in via di sviluppo’, anche se non gode ancora del peso specifico complessivo di una potenza economica regionale o globale. Proviamo ad osservare più da vicino ciascuno dei quattro paesi, e cogliere altre analogie e differenze.

Il Messico è quello con l’economia più grande. Soprattutto dopo l’ingresso nel NAFTA (North America Free Trade Agreement), esso si è sempre più trasformato in un’autentica potenza industriale e ha consolidato la propria stabilità democratica con il primo passaggio di consegne tra un presidente del PRI (Partido Revolucionario Institucional) e rappresentanti di altri partiti, Fox e Calderon del PAN (Partido Autonomo Nacional); in altri termini, parrebbe avere abbracciato l’idea dell’alternanza. I dati su corruzione e disuguglianze economiche sono ancora impressionanti, ma nascondono realtà di grandissimo rilievo. Il Messico è il più grande produttore mondiale di televisori, il terzo produttore mondiale di computer e il secondo produttore americano di automobili, dopo gli USA. L’immagine romantica di un paese campesino e rurale è consegnata ai libri di storia. Certo, il neo eletto presidente Peña Nieto si trova ad affrontare un’agenda non semplice: come dare impulso ad una crescita economica equilibrata? Come evitare eccessiva dipendenza economica e politica dagli USA? Come sfruttare al meglio le risorse (petrolio e shale gas) di cui il paese è fornito? Forse si ricorderà che, se la crisi spagnola continerà nel 2013, il Messico potrebbe diventare la più grande economia ‘ispanofona’ del pianeta. Un occhio rivolto a Washington ed uno a sud potrebbero aiutarlo a giocare un ruolo di ‘ponte’ tra i due emisferi.

Le somiglianze tra Messico e Turchia sono molto maggiori di quanto si potrebbe a prima vista sospettare. Sono due paesi simili per dimensioni demografiche ed economiche; due paesi che hanno beneficiato dell’apertura ai mercati internazionali degli ultimi decenni, successiva a momenti di crisi e ristrutturazione (nel caso turco, le riforme di Kemal Derviş nel 2001); e le analogie non si fermano qui. Anche la Turchia è diventata una grande potenza industriale, in particolare nella produzione di autoveicoli, televisioni e prodotti elettronici; anche la Turchia ha consolidato le proprie credenziali democratiche, con la transizione da governi laici all’Islam moderato del partito AKP di Erdoğan, avvenuta nel 2001; anche la Turchia non ha affatto risolto le enormi differenze di reddito tra classi sociali e regioni. A differenza del Messico, però, la Turchia bordeggia un’area di enormi tensioni sociali e politiche, il Medio oriente, che rende la stabilità di Ankara più precaria e un ritorno al potere delle sue forze armate, tradizionalmente garanti della laicità dello Stato, sempre possibile.

In questo senso, meglio se la cavano i due paesi sul Pacifico, l’oceano principe della geoeconomia del XXI secolo; due paesi che peraltro non potrebbero essere più diversi. L’Indonesia ospita circa 250 milioni di persone, il cui Pil pro capite è ancora relativamente basso (3,600$, dato CIA [1], 2012); molte delle sue esportazioni consistono di materie prime e minerali, e dopo la pesante crisi di inizio millennio essa ha mantenuto una politica commerciale più prudente e protezionista. È vero d’altra parte che la sostenuta crescita degli ultimi anni e la svolta democratica del 2004 (anno delle prime elezioni presidenziali pienamente democratiche) hanno convinto investitori e diplomatici delle potenzialità di uno Stato insulare posizionato tra India, Estremo Oriente e Australia. Altrettanto strategica, anche se problematica, è la collocazione geopolitica della Corea del Sud, tra Giappone, Cina e i minacciosi cugini del Nord. Quella coreana è però ormai una delle economie più sviluppate e dinamiche del mondo, con fortissima tendenza all’esportazione e marchi di qualità globale quali Samsung, LG, Hyundai, e altri. Seul produce ed esporta high-tech, ed in questo si differenzia nettamente dagli altri MIKT. Con i quali condivide tuttavia una ‘giovane’ democratizzazione, partita con la fine del regime militare nel 1987.

Per riassumere, i paesi MIKT, nonostante grandi differenze storiche e culturali, condividono molti aspetti. Sono potenze industriali emergenti, hanno beneficiato della cosiddetta ‘globalizzazione’, e si tratta di democrazie giovani.

C’è un aspetto però che sfugge a prima vista, ma potrebbe essere decisivo per il futuro delle relazioni internazionali. Si tratta di ‘paesi-ponte’, collocati in zone di contatto tra l’occidente (politico ed economico) ed altre regioni. Facciamo mente locale. Il Messico è zona di incontro tra gli USA e l’America Latina; la Turchia, tra l’UE e il Medio oriente-Asia centrale; l’Indonesia, tra l’Australia e il Sud est asiatico; la Corea del Sud, tra il Giappone e la Cina. Se avranno leadership coraggiose, questi paesi potranno giocare un ruolo importante, e dare vita a sintesi politiche nuove. La Turchia ha provato a combinare economia di mercato e Islam moderato, e la sua ambizione di ‘trainare’ il mondo arabo è in parte fallita. Messico e Corea del Sud hanno appena eletto nuovi leader, dai quali ci si attendono politiche più dinamiche ed autonome. L’Indonesia infine è immersa nel Pacifico, sul quale si affacciano le più grandi economie del pianeta. C’è da scommettere che le sue presidenziali del 2014 saranno seguite con attenzione in tutto il mondo, tranne forse che in un’Europa sempre più declinante, autoreferenziale e a corto di coraggio politico.

1. L’articolo è stato inizialmente pubblicato su iMille

2. Fonte immagine Commons.wikimedia

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