Il problema posto, tuttavia, è molto importante e vale la pena fermarsi un attimo a riflettere. Ci sono due aspetti che vanno tenuti ben distinti. Da una parte vi è la responsabilità politica di una norma che va ben oltre la sfera amministrativa di un paese e comportamentale dei suoi cittadini; essa infatti si occupa della sfera delle opinioni della gente, nonché della loro espressione. Dall’altra vi è l’onestà storica di una legge che ha l’ambizione di tracciare una linea di demarcazione non solo tra fatti giusti e fatti ingiusti, ma anche tra ciò che è vero e ciò che è falso, tra ciò che è stato e tra ciò che non è stato.
Innanzitutto, per capire il peso e l’effetto di una presa di posizione di questo genere, bisogna contestualizzare l’evento nel suo orizzonte politico. La questione degli Armeni è sempre stata motivo di attrito non solo tra i due paesi interessati: Armenia e Turchia, ma anche tra l’Europa nel suo insieme e la Turchia, che ha chiesto (i negoziati sono iniziati il 3 ottobre scorso), ma non ancora ottenuto, di poter entrare a far parte dell’Unione europea. Le principali ragioni che portano la questione ad essere esplosiva sono di origine politica e confessionale (essendo gli Armeni cattolici).
La condizione fondamentale per l’ingresso della Turchia nell’UE è che la democrazia del paese sia effettiva, radicata, laica e diffusa
Il governo di Ankara, pur non negando la deportazione e i massacri del popolo armeno, rifiuta il termine «genocidio» e non esita a condannare chi, come il recente Nobel per la letteratura Pamuk e il meno noto giornalista turco Dink (di origine armena), si oppone a questa restrizione della libertà di opinione. La condizione fondamentale per l’ingresso della Turchia nell’UE è che la democrazia del paese sia effettiva, radicata, laica e diffusa. Proprio per questo si chiede al governo di Erdogan di eliminare dalla propria Costituzione la pena di morte e quegli articoli che si riferiscono ad una limitazione della libera espressione del proprio pensiero.
Anche contro la volontà turca il genocidio armeno è stato riconosciuto dalla comunità internazionale. Il 29 agosto 1985 dall’ONU, nel 1987 dal Parlamento europeo, oltre che da singoli paesi: Russia (1994), Belgio (1998), Francia (2001) e Svizzera (2003). Tuttavia vi è una certa differenza tra riconoscere qualcosa e criminalizzare la sua negazione. Dietro la spinta democratizzante dell’UE, era stato organizzato, ad Ankara, per la fine di questo mese un convegno sul tema «1915-1916: genocidio, diritto, psicologia e storia»: un chiaro segno di distensione sull’argomento. Tuttavia dopo gli ultimi avvenimenti francesi sta diventato di sempre più difficile riuscita.
L’intervento francese ha fatto fare un passo indietro nel lungo e accidentato cammino della diplomazia europea
L’intervento francese ha fatto fare un passo indietro nel lungo e accidentato cammino della diplomazia europea. Come già per la questione della Costituzione, la classe politica francese ha sacrificato una coerente e lungimirante politica estera europea, ad un meno nobile interesse elettorale. Indizi ne sono il fatto che la più grande comunità armena (350.000 individui) sia in Francia; inoltre il segretario del Partito Socialista Francese, Hollande, si è affrettato a dichiarare che, qualora la legge non passasse al Senato, verrà riproposta alle camere in caso di vittoria della sinistra.
Oltre all’evidente miopia politica, il problema di contenuto su questo tipo di leggi non è da poco. E’ cosa ben nota a tutti che uno Stato si debba fondare non solo sopra un corpo normativo, che regoli gli aspetti amministrativi e tecnici della convivenza civile, ma anche su un insieme di valori condivisi, anche se la loro origine è storicamente circoscritta. Ne è un esempio la Costituzione italiana, che si fonda in modo esplicito sull’antifascismo. Ma quello che è successo in Francia è ancora qualcosa di diverso. Il vero problema storico è che il fatto a cui si fa riferimento, seppur riconosciuto dalla quasi totalità degli attori internazionali, è ancora in fase di dibattito, per quanto riguarda la sua collocazione storica e le categorie storiografiche utili per inquadrarlo. Inoltre proprio queste si portano dietro un peso culturale e di significati, che ancora accende le ostilità tra due popoli. La legge francese è quindi una semplice forzatura storica, che ha oltretutto delle pesanti ripercussioni politiche.
Questa vicenda ci insegna che le vie per ottenere e fortificare la democrazia non possono essere coercitive e contrarie ad un sano dibattito, ma che la prassi democratica va costruita nel tempo, passo dopo passo, con il dialogo e la tolleranza da entrambe le parti. Questa è una sfida che l’Europa, per il suo futuro e la sua cultura, non può perdere né con i suoi vicini turchi, né con l’intero mondo musulmano.
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