Il processo di ratifica non si è interrotto: nuovi paesi hanno adottato il testo mentre altri, come la Finlandia, si apprestano a farlo. E’ un bene che le ratifiche siano proseguite. Sospenderle avrebbe significato ignorare la volontà di quegli Stati e cittadini che si erano già espressi a favore della Costituzione e trascurare il parere di tutti gli altri. D’altra parte bisogna riconoscere che il rigetto dei cittadini di Francia e Olanda ha imposto un ripensamento del progetto originario: il futuro del testo ora è dubbio, e né chi ha votato a favore né chi ha votato contro risulta vincitore. Un limbo politico, in cui si prospettano diverse proposte di soluzione.
Un tema scomodo
Da un lato c’è chi ritiene che la Costituzione, se non proprio lettera morta, sia quantomeno un tema scomodo, da rimandare ad un (meglio se indefinito) futuro. Non si tratta unicamente di euroscettici e nazionalisti, logicamente compiaciuti del rigetto popolare del testo. Sino a qualche giorno fa in questo gruppo poteva collocarsi di diritto anche una Commissione Europea piuttosto assenteista sui temi costituzionali. La squadra di Barroso, infatti, finora ha promosso un modello di Unione concentrata sul restauro della propria immagine, intenta a migliorare la comunicazione fra istituzioni e cittadini e a potenziare l’efficacia delle politiche europee.
Solo apparentemente pragmatico, questo punto di vista nascondeva in realtà una visione molto pericolosa, perché rischiava di far passare in secondo piano l’urgente necessità di quelle riforme istituzionali senza le quali l’efficacia delle politiche non è affatto garantita. Nei giorni scorsi, fortunatamente, qualcosa è successo.
La Wallstrom batte un colpo
Il 18 ottobre il commissario per la comunicazione e vice-presidente della Commissione Margot Wallstrom è intervenuta sul tema del rilancio del processo costituzionale. Nel sostenere la necessità di mantenere intatto il nucleo essenziale del testo, e in particolare quegli elementi frutto di lunghi dibattiti e negoziazioni, la Wallstrom ha citato fra le componenti irrinunciabili di ogni nuova bozza di Costituzione le regole di voto a maggioranza, il Ministro degli esteri europeo, l’ampliamento dei poteri del Parlamento, l’iniziativa popolare e la Carta dei diritti.
Una risposta, senza dubbio, a quei governi ansiosi di ridimensionare il testo esistente, magari smorzandone il contenuto ritenuto troppo federale (“il primo passo verso un superstato europeo”, secondo il Presidente polacco Lech Kaczynski), ma anche alla proposta del candidato alle presidenziali francesi Nicolas Sarkozy di ritagliare dalla Costituzione esistente un mini-trattato, spiluccando dal testo esistente gli elementi meno controversi.
Sulla stessa linea della Wallstrom sembra essere l’europarlamentare inglese Andrew Duff, promotore di un “piano B” per il riscatto del testo costituzionale. Nel frattempo, anche i gruppi euroscettici sembrano organizzarsi per dire la loro: il danese Jens-Peter Bonde ha proposto la creazione di una Convenzione eletta dai cittadini che elabori due testi alternativi, uno federalista, l’altro per un’Europa “delle democrazie” (si legga: un’Europa degli Stati nazionali) fra i quali i cittadini dovrebbero scegliere in occasione di un referendum paneuropeo.
La classe politica nazionale sembra più che altro prendere tempo e analizzare l’evolversi della situazione prima di sbilanciarsi in prese di posizione nette. Segnali incoraggianti provengono dalla Spagna e dall’Italia, dove Zapatero e Prodi hanno più volte espresso la volontà di rivitalizzare il processo costituente. L’attenzione, però, è concentrata sul semestre di presidenza tedesca. Il 25 marzo 2007, cinquantesimo anniversario dei trattati di Roma, è stato indicato dal Consiglio europeo del 15/16 giugno 2006 come prossimo appuntamento per riprendere il dibattito sul futuro dell’Unione. Il cancelliere Angela Merkel non nasconde il suo orientamento europeista, ma naturalmente nessuna previsione sugli equilibri franco-tedeschi può essere formulata finché non si sapranno i risultati delle elezioni presidenziali in Francia.
Indietro non si torna
Partendo da questa breve analisi dello stato attuale del dibattito si possono avanzare alcune considerazioni. È evidente che una chiara e forte volontà politica da parte dei governi aiuterebbe il processo costituente ad uscire dall’impasse in cui si trova attualmente, e non è banale chiedersi quali equilibri e quali alleanze possano formarsi.
Tuttavia, ci sembra inaccettabile che la maggioranza dei cittadini europei (già dichiaratasi a favore della Costituzione) debba attendere con il fiato sospeso il verdetto delle presidenziali francesi dell’aprile 2007. Indipendentemente dal risultato delle sinergie fra governi, è infatti evidente che il ritorno al metodo intergovernativo sarebbe un grave passo indietro. Siamo destinati a confidare in eterno negli equilibri politici fra gli Stati, ad attendere pazientemente che per qualche fortuita coincidenza di intenti fra leader politici si crei la volontà di fare progredire il processo costituente? Non dimentichiamo che i cittadini hanno rigettato la Costituzione per una grande varietà di motivazioni, ma non certo perché intendevano rinunciare ad avere voce in capitolo, incaricando i governanti di occuparsene al loro posto. Al contrario, le alte cifre di affluenza al voto dimostrano una evidente volontà di partecipare: ogni tentativo di revival del metodo intergovernativo tout court sarebbe inevitabilmente - e giustamente - tacciato di scarsa democraticità.
Con il referendum europeo i cittadini guadagnerebbero il diritto di essere interpellati democraticamente in quanto europei, e non più in virtù di un’appartenenza nazionale: un avvenimento storico senza precedenti
Nessuna riformulazione della Costituzione può essere calata dall’alto: il testo va modificato, ma con meccanismi democratici. Questo è il momento della società civile. Il mondo dei partiti, delle associazioni, delle ONG ha l’occasione di fare di necessità virtù e di sfruttare la congiuntura che si è creata per influenzare il processo costituente. Tenendo conto di questi spunti una nuova Convenzione deve emendare il testo attuale per poi sottoporlo ad un referendum consultivo, nello stesso giorno, in tutta Europa. Questo non soltanto stimolerebbe un vasto dibattito, ma soprattutto costringerebbe i governanti, coscienti di dover sottoporre il proprio operato al giudizio degli elettori al momento del voto referendario, a prendere apertamente posizione sul futuro dell’Europa, mentre i cittadini guadagnerebbero il diritto di essere interpellati democraticamente in quanto europei, e non più in virtù di un’appartenenza nazionale: un avvenimento storico senza precedenti.
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