Sulle colonne dei nostri giornali sono apparsi inquietanti paragoni tra questi omicidi e le morti di Matteotti e dei fratelli Rosselli; ma la lista dei nomi potrebbe facilmente continuare. La grande differenza tra ieri e oggi è tuttavia che la Russia di Putin è, almeno formalmente, un paese democratico. I metodi di spregiudicato realismo politico mal si accordano con la prassi democratica. Non solo sono ingiustificabili, ma anche incompatibili.
L’impunità con cui questa politica di dissuasione delle dissidenze viene portata avanti sconcerta per la totale mancanza di un tentativo di dissimulazione. L’avvelenamento con il Polonio 210 porta la firma di una potenza nucleare, di un mandante potente, nonché di un complotto. Inoltre, alla domanda di come stiano proseguendo le indagini sulla morte della Politkovskaya, Putin, parafrasando a parti invertite una nota parabola evangelica, addita la trave nell’occhio del nemico. Anche in Europa politici e giornalisti scomodi continuano a morire. La retorica sovietica, nonché i metodi, cambiano d’abito ma non di costume.
La retorica sovietica, nonché i metodi, cambiano d’abito ma non di costume.
L’aggressività diplomatica ricorda quella della guerra fredda, ma ormai il muro di Berlino è caduto. Questa non si poggia più su un’attiva o possibile aggressività militare e quindi su almeno due punti sostanziali Putin si sta sbagliando.
Per prima cosa, la visione geopolitica della Russia si deve adattare ad un nuovo orizzonte di azione con nuove voci, attori ed interessi. Il bipolarismo precedente all’89 e l’egemonia americana degli ultimi decenni non sono più i cardini della politica mondiale. La politica estera di una grande potenza come la Russia deve quindi prendere le distanze sia da un braccio di ferro con l’Occidente, sia da un semplice accordo con i soli Stati Uniti. Il campo d’azione della politica internazionale è ormai all’interno di un dialogo tra attori con diverse sensibilità culturali e interessi economici; meglio ancora se all’interno di istituzioni internazionali come le Nazioni Unite, che sono in grado di legittimarla e di darle una veste democratica.
In secondo luogo, Putin commette il grave errore di sottovalutare la dialettica democratica dell’Unione europea.
Putin commette il grave errore di sottovalutare la dialettica democratica dell’Unione europea.
E’ proprio vero che la percezione dell’Europa come entità politica è ben diversa se guardata dall’interno o dall’esterno. Infatti la percezione dell’unità di intenti e di azioni è molto labile da parte degli Stati, che in ogni momento non perdono occasione di sottolineare la propria specificità rispetto all’UE. Tuttavia ad uno sguardo esterno come può essere quello russo, l’Europa può sembrare compatta, anche se un po’ goffa e poco efficace nelle decisioni.
L’errore del governo russo sta proprio nel non considerare come il potere delle istituzioni democratiche possa far cambiare gli atteggiamenti che per il momento hanno guidato i rapporti tra il suo paese e l’Europa. Fino ad ora è sempre prevalso un atteggiamento per certi versi permissivo, finalizzato a non incrinare i rapporti economici tra le parti. E’ indubbio che il nostro continente abbia bisogno delle risorse energetiche del colosso russo, tuttavia investimenti di così grande portata necessitano di una sicurezza sulle istituzioni che reggono il partner commerciale. Nel momento in cui la democrazia di questo paese fosse messa seriamente in dubbio, anche l’affidabilità economica ne sarebbe coinvolta.
Anche se finora l’interesse dei grandi Stati come Germania e Francia è prevalso sul punto di vista dei piccoli Stati dell’ex blocco comunista, che vedono ancora con timore i lunghi tentacoli di Mosca (e a buon diritto), e su quello dei paesi più proiettati verso l’altra sponda dell’Atlantico (come l’Inghilterra), non è detto che la situazione rimanga a lungo stabile. L’affidabilità che la Russia cerca di mostrare, per tornare nuovamente a ricoprire un ruolo nello scacchiere internazionale, viene sempre più messa in dubbio da questi comportamenti fortemente antidemocratici.
A peggiorare la situazione vi è il fatto che con questo nuovo omicidio politico il governo russo si è spinto al di fuori della propria giurisdizione, violando profondamente la sovranità di uno Stato. Inoltre il modo in cui l’ex tenente del KGB è stato ucciso getta luci preoccupanti sulla sicurezza comune. Infatti l’avvelenamento tramite sostanze radioattive mette in pericolo non solo la persona colpita, ma tutte quelle con cui questa entra in contatto.
La speranza che il governo inglese riesca a fare luce sull’accaduto è una pia illusione, tuttavia possiamo supporre che questo nuovo delitto, se non scuoterà le coscienze, almeno farà riflettere a fondo sullo stato di salute della democrazia in Russia e sulla responsabilità che l’Europa ha nel promuove ed esportare, con l’esempio, la democrazia.
1. su 28 novembre 2006 a 09:20, di Lucio Levi In risposta a: I veleni di Putin
Commento la frase seguente:«Il bipolarismo precedente all’89 e l’egemonia americana degli ultimi decenni non sono più i cardini della politica mondiale».
La politica della Russia basata sull’uso della forza è una reazione alla politica americana tendenta a isolare il suo antico rivale. L’attivismo americano in Ucraina, nel Caucaso e nell’Asia centrale, le manovre tendenti a mettere al potere governi nemici della Russia, l’allargamento della NATO nelle ex-repubbliche sovietiche sono i tasselli di una politica che prolunga nel mondo attuale schemi della guerra fredda. A ciò si aggiunge il terrorismo isalmico che ha in Cecenia un focolaio sempre attivo. La ricerca della sicurezza è una preoccupazione così forte che tende a travolgere tutti gli argini costituzionali che sono stati elevati per proteggere la libertà e i diritti civili e politici. Dopo l’attentato di Beslan, Putin ha sospeso ogni autonomia regionale e provinciale e ha spostato l’asse della politica russa nella direzione del centralismo, del nazionalismo e dell’autoritariamo (gli assassini politici sono un elemento di questa degenerazione autoritaria). E’ una tendenza che per certi aspetti assomiglia a quella che è in atto negli Stati Uniti, come ho cercato di mostrare nell’editariale del numero 3/2006 di «The Federalist Debate» (che è in corso di distribuzione), intitolato «The Rise of American Nationalism».
Come correggere queste tendenze? Se la causa di questi fenomeni risiede sul piano internazionale, è qui che che devono essere cercati i rimedi. L’Unione europea (e soprattutto un’UE capace di parlare con una sola voce) può contribuire ad allentare la pressione sui confini russi e spingere gli Stati Uniti a promuovere il multilateralismo. L’emergere di nuovi attori globali può esercitare una funzione moderatrice nei confronti del ricoso all’uso della forza e offrire garanzie ai deboli nei confronti dei forti.
Lucio Levi
2. su 3 dicembre 2006 a 15:27, di Giorgio Venturi In risposta a: I veleni di Putin
Caro Lucio, non ho ancora avuto occasione di leggere il tuo editoriale su «The Federalist Debate», ma presto lo farò. Ad ogni modo, quando dico che «Il bipolarismo precedente all’89 e l’egemonia americana degli ultimi decenni non sono più i cardini della politica mondiale», voglio indendere che ormai nuovi attori globali come la Cina, l’India, il mondo islamico e l’UE influenzano la politica internazionale. Spesso, certo, non nel modo più democratico e coerente possibile. Senza dubbio la paura russa è stato uno dei principali motori dell’integrazione europea ad est. E si può dire che (tranne per il caso ucraino), la Russia sia ormai più asiatica che europea. La vera battaglia, per la democrazia ed il diritto andrà combattuta nelle repubbliche ex-sovietiche in Asia. Ma lì non vedo un interesse diretto americano. Anzi, sembra che sia data carta bianca a Putin per regolare li suoi conflitti interni.
Detto questo non mi addentro in speculazioni eccessivamente fantasiose, anche se estremamente interessanti, su un coinvolgimento americano nell’affaire Litvinienko. Certo la capacità economica russa, dettata dalle sue risorse energetiche, è un ostacolo per un’America abituata ad essere sola e unica superpotenza. Ma ho l’illusione di sperare che i conflitti economici, a questo livello e da parte americana, si risolvano ancora in borsa e non in un sushi bar.
Sulla soluzione istituzionale da te prospettata sono pienamente d’accordo, come ben sai. Ma certo non è una via facile, soprattuto se l’UE si trova, tra i nuovi attori globali, ad essere la sola a chiedere il rispetto della legalità e della democrazia internazionale.
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