Il Nobel all’Europa

, di Antonio Longo

Il Nobel all'Europa

Per decenni i militanti federalisti hanno spiegato, in conferenze e discussioni con gli amici, che abbiamo avuto la pace in Europa grazie al fatto che, dopo la seconda guerra mondiale, si era presa nel vecchio Continente una nuova strada, assolutamente inedita nella storia: quella della costruzione dell’unità europea. E la cosa nuova, a partire dalla Dichiarazione Schuman e dal conseguente avvio della prima forma di Comunità europea (quella del carbone e dell’acciao), stava proprio nel fatto che venivano create istituzioni europee, con poteri autonomi, sovraordinati a quelli nazionali.

Era proprio la creazione di istituzioni sovranazionali il fatto decisivo che non solo avviava la costruzione europea, ma rendeva di fatto impossibile la guerra tra gli europei. Pur non creando di colpo la federazione, queste istituzioni hanno avuto il potere tipico di ogni istituzione politica: quello di sostituire la forza con il diritto (il diritto europeo è riconosciuto come superiore a quello degli Stati), il conflitto con il negoziato, la rottura con la ricerca dell’unità, la guerra con la pace.

Spesso i nostri interlocutori faticavano a comprendere le nostre ragioni perché nella loro cultura politica liberale o socialista (nata con lo stato nazionale) la pace e la guerra erano questioni imputabili alla natura ‘interna’ degli Stati, riconducibili in ultima analisi alla questione del conflitto sociale. E ancor oggi sopravvive il mito che la pace sia legata alla ‘buona volontà’ degli Stati, da esercitare attraverso le arti della diplomazia.

I nostri maestri – Kant, Hamilton, Einaudi e Spinelli – ci hanno insegnato invece che lo ‘stato nazionale a sovranità assoluta’ è l’incubatore della guerra proprio perché, non riconoscendo un’autorità al di sopra di esso, quando si sente minacciato aggredisce. Fu la giusta lettura della storia ad insegnare questa verità agli americani dopo la guerra d’indipendenza e a spingerli saggiamente verso l’unità federale. “Sperare in una permanenza di armonia tra molti Stati indipendenti e slegati sarebbe trascurare il corso uniforme degli avvenimenti umani e andar contro l’esperienza accumulata dal tempo” (Hamilton, The Federalist).

Il Nobel per la Pace assegnato quest’anno all’Unione Europea riconosce questa grande verità. Riconosce – finalmente – che la pace si costruisce come hanno fatto gli Europei da 60 anni a questa parte: creando istituzioni comuni.

Continuiamo a predicare la ‘buona novella’, con più forza di prima, proprio nel momento in cui l’Unione Europea sta attraversando la più grande crisi della sua storia. Malgrado le enormi difficoltà che stiamo attraversando le istituzioni europee stanno in piedi e continuano a garantire la pace tra francesi e italiani, tra tedeschi, greci e spagnoli. È l’ulteriore conferma che sono le nostre istituzioni ‘comuni’ che garantiscono la pace tra gli Europei.

Ma dobbiamo aggiungere un’altra verità. L’Unione Europea, con queste istituzioni federali “interne”, ha garantito la pace dentro i suoi confini, ma con questa istituzioni pre-federali “esterne” non è in grado di svolgere una politica estera in favore della pace nel mondo. Lo vediamo nel Mediterraneo e nel Medio-Oriente.

Occorre che emerga dall’Unione un governo federale, dotato di risorse autonome, con poteri definiti nel campo dell’economia, della politica estera e di sicurezza, responsabile davanti al Parlamento ed espressione del voto dei cittadini europei.

È questo l’ultimo passaggio per giungere alla federazione compiuta e per consentire all’Europa di svolgere un ruolo decisivo per la pace nel Mondo.

Fonte immagine Flickr

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