Il fallimento della fusione BAE-EADS

, di Francesco Violi

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Il fallimento della fusione BAE-EADS

Il 10 ottobre 2012 a Parigi è naufragato l’importante accordo tra due grandi imprese di difesa europee la BAE Systems e la EADS con amministratori, rispettivamente, Ian King e Tom Enders. Sarebbe stata l’opposizione del governo di Londra alla proposta dei negoziatori tedeschi di portare al 9% la partecipazione azionaria di Berlino, esattamente la stessa nelle mani della Francia, a causare il naufragio della trattativa, in quanto tale aumento di partecipazione era condizione necessaria per l’approvazione da parte tedesca del progetto di fusione. Il progetto di fusione prevedeva che il 60% della nuova azienda fosse nelle mani di Bae Systems, mentre il restante 40% fosse nelle mani del consorzio franco-tedesco EADS. La fusione avrebbe portato alla nascita di un colosso da 70 miliardi di euro di fatturato e 220 mila dipendenti.

La BAE è una società inglese con sede centrale a Farnborough, attiva a livello mondiale, particolarmente nel nord America attraverso la sua sussidiaria BAE Systems Inc. La EADS (acronimo di European Aeronautic Defence and Space Company, consorzio che controlla anche Airbus) ha sede a Leida, nei Paesi Bassi; creata dalla fusione avvenuta il 10 luglio 2000 tra la tedesca Daimler Chrysler Aerospace AG (DASA), la francese Aérospatiale-Matra e la spagnola Construcciones Aeronáuticas SA (CASA). Entrambe sviluppano e commercializzano aeromobili civili e militari, sistemi di comunicazione, missili, vettori spaziali, satelliti artificiali e sistemi collegati. La prima ha come proprio mercato di riferimento l’industria aeronautica militare, mentre la seconda, diversamente, ha come proprio core business il mercato dell’aeronautica civile. La fusione quindi, sarebbe avvenuta tra due grandi imprese operanti in due settori sostanzialmente diversi. Teoricamente, ciò avrebbe potuto significare la creazione di un colosso operante a tutto spettro nell’industria aeronautica, anche se fusioni di questo genere, fra imprese che hanno mercati di riferimento sostanzialmente diversi, sono anche tra le più difficili da far poi funzionare effettivamente. Tuttavia, già in passato, BAE ed EADS (assieme a Finmeccanica, in misura minore) hanno dato vita a progetti comuni di grande successo: come il consorzio MBDA, ad oggi il più grande produttore di sistemi antimissilistici al mondo. Il precedente faceva sperare in un successo del progetto BAE-EADS.

Il progetto aveva creato alcune limitate preoccupazioni fra i principali competitors di BAE ed EADS, vale a dire Lockheed Martin e Boeing, tanto che vari esponenti della difesa americana avevano dichiarato che in caso di fusione, BAE Systems avrebbe dovuto vendere molti dei suoi asset negli Stati Uniti. Dubbi di vario genere erano emersi anche da questo lato dell’Atlantico. Sia a Londra, sia a Parigi, sia a Berlino si erano levate parecchie voci contrarie al progetto. In tutti i casi la preoccupazione maggiore era la marginalizzazione del rispettivo governo/interesse nazionale all’interno della nuova società.

Oltre all’aspetto economico della vicenda, bisogna soffermarsi sul significato politico. Per molti commentatori, la fusione poteva essere il primo passo per riavvicinare l’Inghilterra all’asse franco-tedesco. Ciò non avrebbe significato che il Regno Unito sarebbe diventato automaticamente uno dei motori della difesa europea, ma che, perlomeno, avrebbe potuto contribuire ad appianare o addolcire le divergenze di vedute tra core Europe (il nucleo dei paesi continentali, con Germania e Francia in testa, che guidano il processo di unificazione europea) e periferia. Il fatto che questo non sia avvenuto non è casuale e dimostra come questo riavvicinamento sia in realtà estremamente difficile, se non impossibile, in questa fase. Questo, purtroppo, non significa che, da parte della core Europe ci sia un progetto alternativo, se non alcune proposte vaghe e dichiarazioni d’intenti, e neppure la volontà di arrivare in tempi rapidi alla creazione di una difesa europea che potrebbe dare agli europei un ruolo autonomo ed autorevole nel quadro internazionale.

L’Italia ed il futuro della difesa europea

L’altra questione, rimandata a causa del fallimento della trattativa ma che rimane comunque all’ordine del giorno, riguarda il futuro di Finmeccanica e, di conseguenza, della difesa italiana. L’Italia da decenni ha rifiutato il coinvolgimento nel progetto EADS. Oltre ad un malinteso concetto di indipendenza, alla base di questa scelta ci furono lo scetticismo verso il progetto e successivamente, la scelta precisa di puntare alla collaborazione con i grandi colossi americani, scelta che avrebbe dovuto assicurare un ingresso facilitato nel maggiore mercato militare al mondo: quello per l’appunto degli USA. Tuttavia, la fusione tra EADS e BAE avrebbe significato, per Finmeccanica, l’automatica isolamento nel gioco europeo e con molta probabilità avrebbe portato il governo italiano a chiedere un ingresso che, per quanto tardivo e per quanto marginale, gli avrebbe permesso di avere una qualche voce in capitolo all’interno del potenziale colosso, ricalcando in parte il modello di MBDA. La mancata fusione non deve pertanto rallegrarci, ma anzi deve essere un’occasione per riflettere sul futuro della nostra principale impresa operante nel settore. La domanda che quindi dobbiamo porci, come italiani ed europei, è quale ruolo vogliamo giocare in futuro nella difesa europea: vogliamo allinearci alle posizioni inglesi e continuare a rispondere alla logica di un atlantismo anacronistico? Vogliamo condannare Finmeccanica e l’industria della difesa italiana ad un rango residuale, di subfornitore di colossi europei o americani o eventualmente euro-americani? O piuttosto, vogliamo essere protagonisti di questo processo, onorando la nostra storia e la nostra tradizione politica, da paese fondatore della CEE, da paese della core Europe?

La questione rimane sempre sul tavolo: molti cittadini europei protestano e criticano i rispettivi governi nazionali, per non essere abbastanza incisivi nei tagli alla difesa o non altrettanto quanto nel campo della spesa sociale. Senza entrare nel dettaglio, basta ricordare la polemica sull’acquisto degli F35. La difesa, tuttavia, rimane tuttora uno dei compiti fondamentali dello Sato, ed è uno degli strumenti attraverso il quale la sovranità si esprime. È nell’ordine delle cose il fatto che i governi preferiscano tagliare altre spese, piuttosto che quella per la difesa, per quanto questo orientamento possa essere discutibile o anche odioso. Non si tratta quindi di tagliare la difesa e basta: si tratta di rivedere come questa è composta, e con quale fine la difesa europea viene organizzata.

Fonte immagine Flickr

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  • su 13 marzo 2013 a 11:16, di carlo ceruti In risposta a: Il fallimento della fusione BAE-EADS

    Quando Valery Giscard d’Estaign preparò la Costituzione della Federazione europea, la deputata inglese Gisela Stuart, che faceva parte della commissione, si oppose strenuamente a ogni norma impegnativa per la difesa. Spiegò ai connazionali che il patto atlantico non impegnava rigidamente gli USA ad intervenire in difesa di un singolo stato, mentre esisteva un altro patto angloamericano chiarissimo che li obbligava a difendere la sola Inghilterra. Questo patto però escludeva il caso che l’Inghilterra fosse stata aggredita perché alleata con altri stati. Per questo era indispensabile che gli inglesi si opponessero alla difesa comune europea. Più chiaramente: <>. È stata l’Inghilterra, unico stato su 27 a far fallire recentemente la proposta polacca di una difesa comune europea, che costerebbe meno e sarebbe più efficace delle 27 difese nazionali. L’America, per le sue difficoltà economiche e l’evoluzione delle potenze mondiali, si sta sempre più distaccando dai problemi militari europei. Speriamo che l’Inghilterra riveda presto le idee di Gisela Stuart.

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