Israele-Palestina: la voglia di pace passa dall’Europa

, di Romain Beaucher

Israele-Palestina: la voglia di pace passa dall'Europa

Il “PalestineTimes” pubblicava il 30 novembre del 2006 un articolo firmato dall’Alto Rappresentante per la PESC dell’UE, Javeier Solana, nel quale egli esprimeva il proprio rammarico per “l’intollerabile situazione” nella quale vivono i palestinesi, assicurando loro che avrebbe “colto ogni occasione per chiedere agli israeliani lo smantellamento degli avamposti [israeliani] e delle colonie, riesaminando inoltre la collocazione delle barriere di separazione tra i due stati”.

Da allora gli israeliani hanno annunciato la costruzione di una nuova colonia a Maskiot nella Valle del Giordano, e lo smantellamento dei 27 “più vicini” check-point degli oltre 400 installati lungo la costa Occidentale e la situazione non è mai stata così tesa, in particolare nella Striscia di Gaza. Sulla questione, l’ultimo comunicato dell’ Alto Rappresentante per la PESC risale all’8 novembre, data in cui Solana “condannava nel modo più assoluto” l’operazione israeliana che si era svolta il giorno prima nella città di Beit Hanoun e che era costata la vita a 18 civili.

Poco rumore, tanti soldi

Possiamo dunque dire che l’UE sia impotente di fronte al corso degli eventi che sconvolgono il vicino Oriente? A prima vista, sì. L’incapacità dell’UE di parlare con una voce unitaria in politica estera si contrappone, nel caso israelo-palestinese, alla voce forte e ferma degli Stati Uniti, dimostratisi sempre intransigenti riguardo alla “salvaguardia” dello stato di Israele e solo relativamente interessati alle condizioni di vita dei palestinesi. Proprio a causa della loro influenza nella regione, un’eventuale via d’uscita dalla crisi necessiterebbe, secondo molti, l’appoggio statunitense.

655 milioni di dollari sono già stati trasferiti dall’UE verso i territori palestinesi

Sarebbe però sbagliato pensare che l’Unione europea sia inattiva. Malgrado la sospensione degli aiuti umanitari all’Autorità palestinese in seguito alla vittoria di Hamas nel marzo 2006, solo nell’ultimo anno 655 milioni di dollari sono già stati trasferiti dall’UE verso i territori palestinesi (con un significativo aumento del 1% rispetto al 2005), attraverso vari meccanismi che permettono di aggirare il governo. Grazie a questi trasferimenti di denaro, oltre che a delle prese di posizione meglio calibrate, l’Unione gode di più benevolenza rispetto agli USA. In Israele, una maggioranza della popolazione riconosce all’Europa un fondamentale ruolo di mediatore nella regione. Purtroppo, malgrado queste simpatie, l’Unione europea viene percepita come un attore marginale nel processo di pacificazione dell’area. Questo è il motivo per cui l’UE deve concentrarsi su quello che sa fare: politiche strutturali mirate, che agiscano nel lungo termine, piuttosto che peccare d’ambizione con delle mirabolanti dichiarazioni stampa senza effetto.

Palestinesi e israeliani non si parlano

Bisogna sottolineare come il conflitto muova, oltre che da motivi territoriali, anche da una questione di percezione. Percezioni della storia innanzitutto, come riconosciuto dall’Iniziativa per l’Alleanza delle Civilizzazioni nel suo rapporto restituito dalla commissione il 13 novembre 2006. Il gruppo dei saggi, convocato da Kofi Annan con il contributo dei Primi Ministri, lo spagnolo Jose Luis Zapatero e il turco Recep Tayyip Erdogan, raccomanda la stesura di un Libro Bianco sul conflitto che garantisca “le versioni dei due contendenti”. Ma anche di un’errata percezione dell’altro: una pace duratura potrà essere stabilita solo quando l’alterità avrà assunto dei toni neutri e non sia più sinonimo di pericolo o di ostilità.

...l’Unione gode di più benevolenza rispetto agli USA

Storia ed alterità, due elementi a cui potremmo aggiungere l’educazione ai media e alla religione: tanti sono i campi di studio in cui gli israeliani e i palestinesi guadagnerebbero molto lavorando insieme. Al contrario, l’attuale situazione, rende impossibile, anche nel medio periodo, l’avvio sul territorio di un duraturo un programma di scambio universitario. L’Unione europea può giocare un ruolo importante: permettendo ai ricercatori ed agli studenti israeliani e palestinesi di lavorare insieme, sul territorio europeo e nelle proprie istituzioni con la partecipazione dei colleghi europei, porrebbe le basi per una più profonda conoscenza reciproca dei due popoli, stimolo ad un’intesa maggiore.

Gli strumenti europei per il dialogo israelo-palestinese

Il budget necessario per un programma del genere esiste già parzialmente. Il Programma Euromed, di cui la Dichiarazione di Barcellona afferma uno dei tre pilastri, prevede di: “favorire la comprensione tra culture e la comunione dei popoli nella regione euro-mediterranea e di sviluppare delle società civili libere e prospere”. Vi è poi il settimo Programma Quadro per la Ricerca e lo Sviluppo, che all’Obiettivo 3 indica di: “ risolvere i problemi specifici ai quali i paesi terzi sono confrontati o delle questioni di portata mondiale” e lo stesso programma Erasmus allargato. Questi ultimi sono tutti strumenti preesistenti che permetterebbero, leggermente modificati, di installare una maggiore politica di cooperazione. Favorendo il riavvicinamento delle comunità universitarie israeliane e palestinesi, l’Unione agirebbe come un mediatore di scelta e potrebbe ospitare diffuse negoziazioni tra i due contendenti, all’interno dei rispettivi sistemi politici e culturali. L’instaurazione di un programma strutturale simile non sarebbe una “soluzione miracolosa” e non potrebbe sostituirsi al processo di pace. Tali politiche, però, permetterebbero, in assenza di prospettive di negoziazioni nel breve periodo e visto il degradarsi della situazione nell’area, di spargere i semi di una pace futura, facendo leva sull’educazione e la cultura. Un’opportunità da cogliere.

Traduzione di Michele Gruberio

Fonte immagine Flikr

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