L’Agenda Monti: cambiare l’Italia, riformare l’Europa

, di Antonio Longo

L'Agenda Monti: cambiare l'Italia, riformare l'Europa

Il titolo dell’Agenda Monti sintetizza, in modo chiaro e lapidario, il senso dell’operazione politica che è necessario compiere per chi intende guidare l’Italia nei prossimi anni. Questa formula ci dice che il cambiamento del Paese avviene fondamentalmente a seguito degli input che ci vengono dall’Europa. Input che non sono ‘imposizioni’ secondo la vulgata populista corrente, ma scelte alle quali concorre anche l’Italia, ora tornata credibile. E che sono alla base delle riforme che siamo chiamati a compiere.

È e continua ad essere, in buona sostanza, l’Europa che sta riformando l’Italia. Cinquant’anni fa l’abbattimento del protezionismo economico, l’apertura del mercato e l’unione doganale misero in moto lo sviluppo economico del Paese. Poi Maastricht ci costrinse a rinunciare alla politica inflazionistica delle svalutazioni competitive e a pensare che dovessero esserci dei ‘tetti’ a concetti quali deficit e debito pubblico. Ora la politica del rigore finanziario e l’unione di bilancio ci costringono a controllare e riqualificare la spesa pubblica, nella misura in cui dobbiamo condividerne la responsabilità (e la sovranità) con gli altri Paesi, con i quali condividiamo già la sovranità monetaria.

A sua volta però questa formula ci dice che occorre riformare l’Europa, per darle quelle istituzioni che ancora mancano per avere un governo federale nel campo della politica economica e di sicurezza, senza le quali l’azione di riforma all’interno dei singoli Stati membri risulterà sempre lenta e contraddittoria. E per riformare l’Europa occorre che gli Stati membri, almeno quelli più importanti (e l’Italia è tra questi) ‘stiano in piedi’, pur coscienti della propria crisi storica in quanto Stati-nazione. L’Italia di Monti è la dimostrazione concreta di questo assunto: la messa in sicurezza finanziaria ha consentito al nostro Paese di recuperare un ruolo attivo in Europa, di consentire il superamento del direttorio franco-tedesco, di far emergere un ‘progetto europeo’, lanciato dalle istituzioni comunitarie, per un’unione federale de facto tra i Paesi dell’Eurozona e, last but not least, di spingere la BCE di Mario Draghi ad operare una svolta ‘interventista’ nella gestione della politica monetaria in funzione anti-spread [1] .

Questo stretto legame tra cambiamento dell’Italia e riforma dell’Europa è esattamente ciò che noi federalisti abbiamo sempre indicato come Italia europea [2]. Che Mario Monti condivida questo nesso inscindibile, al punto di esplicitarlo nel titolo della sua Agenda, non può che farci piacere.

Come pure dovrebbe farci piacere la netta ‘discriminante’ che ha posto nella conferenza stampa del 23 dicembre 2012 in cui ha presentato la sua Agenda, quando ha detto che l’alternativa destra-sinistra, pur essendo ancora operante in certi campi, non è più quella decisiva per misurarsi con la realtà contemporanea, che impone oggi il cambiamento e l’Europa come nuovo discrimine tra il progresso e la conservazione. È un concetto che ricorda il passo forse più famoso del Manifesto di Ventotene, laddove si dice che la linea di divisione fra partiti progressisti e partiti reazionari cade perciò ormai non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa quelli che concepiscono come fine essenziale della lotta quello antico, cioè la conquista del potere politico nazionale – e che faranno, sia pure involontariamente, il gioco delle forze reazionarie lasciando solidificare la lava incandescente delle passioni popolari nel vecchio stampo, e risorgere le vecchie assurdità – e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unità internazionale.

Quali sono allora le conseguenze di politica interna dettate dalla logica della discriminante “cambiamento ed Europa”? Ci appaiono le due seguenti.

Primo. Occorre che si formi un’alleanza di programma e di governo tra le forze che si richiamano al centro-sinistra e quelle che si definiscono di centro-moderato per sostenere un governo pienamente politico (e non più solo tecnico) che abbia come orizzonte quello della costruzione di un’Europa federale. In sostanza la discriminante ‘Europa’ dividerà, già in campagna elettorale, coloro che vogliono avanzare verso l’unità politica europea e coloro che, con diverse modalità e motivazioni, vi si oppongono. L’Agenda Monti è la prima base di un programma, che può diventare azione di governo se si realizzerà una convergenza anche politica tra questi due schieramenti: “….dobbiamo ricostruire la pubblica amministrazione e costruire lo Stato dell’Europa federale. Ti sembrano compiti che possono essere portati avanti da un solo partito? Ci vuole una grande alleanza perché si tratta di una vera e propria rivoluzione [3].

Secondo. La discriminante ‘cambiamento’ dovrà operare, sul piano interno, su tutto ciò che è rimasto incompiuto, da parte del governo tecnico, a causa dei blocchi che sono stati posti dalla ‘strana maggioranza’ che lo ha sorretto: in tema di mercato del lavoro (flexisecurity e riforma degli ammortizzatori sociali), delle liberalizzazioni, di riforma fiscale improntata all’equità sociale (lotta all’evasione e patrimoniale), della giustizia (falso in bilancio, voto di scambio, anticorruzione, ecc.) e dei costi della politica (tagli delle province e dei parlamentari, riforma elettorale con collegi uninominali, ecc.). Ed è chiaro che questa politica di cambiamento sul pianto interno passa, prima, attraverso la scomposizione e, successivamente, la sconfitta del blocco sociale berlusconiano che è stato egemone nella società italiana degli ultimi decenni. Berlusconi è stato sconfitto politicamente un anno fa dall’Europa e non potrà più governare [4]. Ma ora tocca sconfiggere il berlusconismo, un’opera di lunga durata che passa attraverso la lotta per la legalità, la moralità nella pubblica amministrazione, l’occupazione nelle aree più depresse del Paese, lo sviluppo di nuovi ceti sociali legati ad un modello basato sulla ricerca, l’istruzione, l’innovazione tecnologica, il recupero dei beni culturali ed artistici del Paese, a cominciare dal Sud Italia. E contemporaneamente anche attraverso la nascita di un nuovo ceto politico, anche sul versante c.d. di centro-destra, di stampo europeo, anziché populista e demagogico.

Pertanto, occorre che dalle prossime elezioni politiche in Italia emerga una forte maggioranza politica tra il centro e la sinistra capace di portare avanti, con una formula non più tecnica ma politica, l’esperimento avviato un anno fa, per completare la transizione verso un’Italia europea nella prospettiva di un’Europa federale.

Fonte immagine Flickr

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Note

[1cfr. Draghi, ovvero il potere federatore della BCE, pubblicato su Eurobull l’8 settembre 2012

[2cfr. Un governo d’emergenza costituzionale per un’Italia europea, pubblicato su Eurobull il 17 marzo 2011; L’Italia europea è già cominciata, pubblicato su Eurobull il 6 dicembre 2011

[3Dall’intervista ad Eugenio Scalfari, La Repubblica, 23.12.2012

[4cfr. L’Europa ha buttato giù Berlusconi, pubblicato su Eurobull il 9 novembre 2011

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