L’Europa e il gigante cinese

, di Giulia Spiaggi

L'Europa e il gigante cinese

In uno scenario internazionale avviato verso il consolidamento di nuovi equilibri multipolari, la Cina è uno dei paesi che si va imponendo grazie a piani economici e strategici a lungo termine. Ad esempio, per superare la crisi economica, il governo ha stanziato miliardi di dollari per sostenere la crescita del paese, che infatti si mantiene intorno al 10%, grazie anche alla politica di svalutazione dello yuan rispetto al dollaro che favorisce le esportazioni. Inoltre il paese ha accumulato ingenti riserve in dollari che ora investe gradualmente per evitare che sul lungo periodo diventino un peso insostenibile, vista la crisi americana e i dubbi sulla tenuta del dollaro.

Per cambiare lo status di paese produttore di merci a basso costo di scarsa qualità e acquisire credibilità in campo internazionale, la Cina ha provveduto da tempo a diversificare la sua produzione e ad investire in settori ad alto contenuto tecnologico. Ad esempio, il Piano Energetico Nazionale prevede la produzione di pannelli fotovoltaici e turbine eoliche destinate sia all’esportazione sia all’uso interno, con l’obiettivo di incentivare l’uso delle fonti rinnovabili. Il Piano prevede una maggiore indipendenza del paese dalle importazioni di petrolio, ed è un segnale di come la Cina sia attenta alle implicazioni geopolitiche del problema energetico.

All’estero la Cina punta ad aumentare la propria influenza con progetti come la costruzione entro il 2020 di una linea ferroviaria che colleghi Londra e Pechino in due giorni e Singapore in tre, con tre linee, la prima che passa per India e Pakistan, la seconda per Russia ed Europa e la terza per Vietnam e Thailandia. Con questo sistema sarà possibile trasportare anche carichi di materie prime in modo più efficiente e veloce. Questo progetto si aggiunge a quello, da quasi 530 miliardi di euro, che punta a costruire oltre 30mila chilometri di rete nei prossimi cinque anni collegando le maggiori città della Cina con un sistema ad alta velocità.

Un’altra strategia del governo riguarda la penetrazione nel Mediterraneo tramite i principali porti europei e nordafricani con la costituzione di joint venture e alleanze o con l’acquisizione di quote dei terminal. Pechino, infatti, esporta per mare il 90% delle sue merci. Già la cinese Cosco ha concluso nel 2008 un accordo per controllare due moli nel porto del Pireo per 35 anni al costo di 4.3 miliardi di dollari. Il Pireo presenta infatti costi più contenuti rispetto ai porti del Nord Europa, che richiedono otto giorni di navigazione in più; è vero che questi ultimi offrono servizi e reti di trasporto migliori, ma presto anche la Grecia dovrebbe godere di un migliore collegamento alla rete ferroviaria europea attraverso i Balcani.

Un’altra zona europea che interessa la Cina è quella balcanica, in particolare la Serbia, il paese chiave della regione, con cui sono stati raggiunti accordi sul piano politico e soprattutto economico. La compagnia elettrica nazionale serba e la Cmec (China national machinery & equipment import & export corporation) hanno firmato un contratto in base al quale quest’ultima investirà oltre un miliardo di dollari nel potenziamento della centrale termoelettrica serba di Kostolac. L’accordo prevede, inoltre, il potenziamento della capacità della vicina miniera di Drmo attraverso la realizzazione di un terzo impianto. I cinesi hanno anche espresso interesse per la costruzione del secondo ponte sul Danubio a Belgrado, opera fondamentale per i piani di sviluppo della città. I Balcani sono diventati per la Cina la base di partenza per penetrare il mercato europeo dell’energia e delle infrastrutture mentre la Serbia ha trovato nella Cina un investitore e un alleato politico per la difesa della sua sovranità sul Kosovo.

Un altro obiettivo che la Cina si prefigge è quello di acquisire posizioni vantaggiose nei negoziati con la Russia per le forniture energetiche; a questo scopo, sta cercando di instaurare legami economici con i suoi vicini. Ad esempio ha investito un miliardo di dollari per la costruzione di strade in Tagikistan e ha accordato un prestito di quasi tre miliardi alla Bielorussia. Un altro paese verso cui rivolge le proprie attenzioni è la Moldavia, a cui la Cina intende concedere un prestito di un miliardo di dollari per la costruzione di infrastrutture e per la creazione di industrie ad alta tecnologia. Il paese soffre per la crisi economica, dato che il reddito derivante dai guadagni dei lavoratori all’estero -che rappresenta un terzo del prodotto interno lordo- è diminuito del 30%. La Moldavia, a causa della mancanza di materie prime, di un’amministrazione debole e della presenza di un regime separatista in Transnistria non ha mai attirato grandi capitali esteri. La Cina invece intende sfruttare le potenzialità del paese che è dotato di un’industria tessile competitiva, di un esteso settore agricolo e di un buon sistema scolastico ereditato dall’ex Unione Sovietica. Inoltre il passaggio di merci destinate all’Unione Europea attraverso il paese diminuirebbe i costi di trasporto per la Cina. Ma anche l’Italia è parte dei piani cinesi: la Cosco ha stipulato un accordo di partnership con l’italiana Msc per la gestione del porto di Napoli; inoltre, ci sono stati incontri con le maggiori compagnie telefoniche italiane in merito alla creazione di una rete a banda larga unificata. I cinesi avrebbero comunicato di disporre di linee di credito per 102 miliardi di dollari per l’acquisto di apparati di loro produzione. L’Italia riveste da questo punto di vista una posizione significativa poiché dall’anno scorso è diventata il principale hub dei dati internet che interessano l’Africa e il Medio Oriente. Già il Portogallo che è corridoio di passaggio per i dati provenienti dall’Atlantico ha scelto l’azienda Huawei Technologies per un progetto di sviluppo della rete nazionale.

Nell’attuare i suoi piani, la Cina non trova nell’attuale Unione un interlocutore credibile né un freno alle sue mire espansionistiche. La sua politica di rapporti bilaterali con i singoli Stati, inclusa la Germania, le permette di sfruttare le difficoltà di ciascuno di essi. Ma in questo modo, rimanendo divisi, i paesi europei si condannano all’impotenza di fronte al gigante cinese. Anche questa è una delle ragioni che dovrebbe spingere gli europei a portare a compimento il processo di unificazione, creando uno stato federale che possa trattare alla pari con la Cina e avere un peso negli equilibri mondiali in formazione.

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