La crisi finanziaria, la Grecia ed il Trattato di Lisbona

, di Alfonso Sabatino

La crisi finanziaria, la Grecia ed il Trattato di Lisbona

Una premessa necessaria. Le decisioni del Consiglio Ecofin del 9 maggio scorso costituiscono solo una risposta provvisoria alla sfida lanciata all’euro dai mercati finanziari internazionali. La risposta definitiva dovrà essere forte e articolata altrimenti la stessa Unione Europea (UE) rischia di soccombere e con essa qualsiasi possibilità di mettere ordine in un mondo globalizzato e senza governo. La sfida è sistemica, come ha detto il Presidente della Banca centrale europea (BCE), Jean-Claude Trichet.

Ciò permette di aggiungere che la dimensione della crisi mette chiaramente in discussione gli assetti raggiunti dall’Europa con il Trattato di Lisbona (TdL), con buona pace di coloro che ne prospettavano un lungo e necessario periodo di consolidamento prima di affrontare qualsiasi ulteriore riflessione sulla sua revisione. L’offensiva dei mercati sull’euro ha accorciato drammaticamente sia i tempi del consolidamento che quelli della revisione. E’ un attacco alla nostra sicurezza e occorre intervenire.

La Grecia e l’Europa intergovernativa alla resa dei conti

L’Europa ha dovuto prendere atto di essere senza strumenti di governo di fronte alla speculazione finanziaria e ha temporeggiato per troppo tempo prima di intervenire dopo le dichiarazioni del primo ministro George Papandreu sul dissesto dei conti di Atene. Certamente esistono responsabilità politiche dei governi greci che hanno truccato i conti. Responsabilità veniali nel 2001 per l’ingresso nell’area euro, data la dimensione degli scostamenti e la scelta opportuna dell’ancoraggio europeo; responsabilità capitali successive per il lassismo clientelare, la tolleranza dell’evasione fiscale e della corruzione e, soprattutto, l’occultamento delle verità contabili. Ad Atene i governi di sinistra e di destra hanno barato nei confronti dei propri cittadini e dei partner europei. Accanto alle responsabilità politiche vanno necessariamente accertate e punite le responsabilità penali dove queste dovessero emergere. E’ in gioco lo Stato di diritto e la moralità pubblica, la credibilità della politica. Esistono anche responsabilità europee nei confronti della Grecia e della stessa gestione del Patto di stabilità e crescita (PSC) al quale, in ogni modo, va riconosciuto il merito di avere reso possibile l’introduzione dell’euro [1].

Si può aggiungere, infatti, che il Patto va riformato e inserito in un meccanismo più completo di governo dell’Unione. Non va rimosso. Per quanto riguarda le responsabilità europee, queste sono enormi, si pongono su tre livelli e mettono tutte in evidenza i limiti del quadro di potere intergovernativo che guida l’UE.

...un Patto da inserire in meccanismo completo di governo europeo...

Il primo livello di responsabilità riguarda proprio il cattivo funzionamento del PSC che avrebbe dovuto assicurare il consolidamento delle posizioni fiscali degli Stati membri, quale condizione per una gestione sana dell’economia nell’area euro. La compressione dei disavanzi sotto il 3% del PIL e del debito pubblico sotto il 60% veniva indicata come una condizione necessaria per poi attuare le politiche espansive e di stabilizzazione del ciclo. In realtà, tutti i governi dell’eurogruppo hanno contribuito, nel decennio passato, a non applicare le procedure stringenti della sorveglianza multilaterale e dell’ “early warning”. Francia e Germania, innanzitutto, hanno ripetutamente chiesto l’allentamento dei vincoli del PSC, prima con gli sforamenti dei parametri a fronte della crisi del 2003 (che aveva anche attivato un ricorso della Commissione alla Corte di giustizia europea) [2], poi con la riforma del Patto nel 2005 che ne allentò le maglie e infine con l’elusione dei vincoli di bilancio a fronte della crisi del 2008. Naturalmente tutti gli altri governi sono stati sempre, di buon grado, consenzienti. In secondo luogo, i partner europei hanno accumulato un ritardo colpevole nel rispondere all’offensiva dei mercati finanziari sui titoli greci. Nessuno ha mosso un dito e fatto una proposta per mesi, nonostante i richiami del Presidente della BCE Trichet e del Presidente dell’eurogruppo Junker. La Cancelliera tedesca Angela Merkel ha assunto una linea inutilmente rigorista in attesa delle elezioni regionali nel Nord Reno Wesfalia. Ne è uscita sconfitta sul piano europeo e sul piano nazionale.

Per ultimo dobbiamo considerare la storica assenza di intervento europeo sui fattori strutturali che hanno contribuito a fare della Grecia il tallone d’Achille dell’Europa. La Grecia è penalizzata da tempo per la sua posizione marginale rispetto ai mercati europei trainanti e per la sua condizione geopolitica. Fino al 2007 non aveva un confine terrestre con altri paesi comunitari, oggi ha un cordone ombelicale tenue

...l’assenza di intervento europeo in Grecia che l’ha resa il tallone d’Achille dell’Unione...

che passa attraverso la Bulgaria e la Romania. E’ stata poi penalizzata dalla destabilizzazione della penisola balcanica dopo il crollo del muro di Berlino, dalla mancata soluzione dei rapporti dell’UE con la Turchia e delle ferite lasciate dalla storia sulle sponde dell’Egeo a seguito della guerra greco-turca del 1919-22 [3], dall’assenza di una seria politica europea per il Mediterraneo e, infine, dal fallimento della Strategia di Lisbona che ha privato tutta l’Europa di un volano di innovazione e di crescita. Dalla crisi è emerso in modo evidente che la guida intergovernativa dell’Unione è inefficiente e pericolosa. Manca il soggetto politico portatore degli interessi globali europei. Ogni governo gestisce una sovranità nazionale svuotata dal processo europeo e dalla globalizzazione, gira a vuoto e soggiace a tentazioni populistiche. Nel quadro di una globalizzazione dei mercati senza governo, alcuni grandi operatori finanziari giocano sulle divisioni tra paesi “formica” e paesi “cicala” e promuovono anche campagne mediatiche

...paesi formica e paesi cicala...

sulla stampa internazionale di riferimento. Premono alla ricerca del punto di rottura del sistema euro. Dopo la Grecia, sanno dove attaccare e puntano al “ventre molle” dell’Europa espresso dai paesi mediterranei. Paesi che, come la Grecia, hanno difficoltà di risanamento perché sono anch’essi affetti da debolezze produttive, carenze infrastrutturali, dilatazione occupazionale degli apparati pubblici, economia sommersa e ampia evasione fiscale, clientelismo politico e corruzione [4].

La risposta provvisoria dell’Europa

Le misure varate dal Consiglio Ecofin il 9 maggio 2010 rappresentano una prima importante risposta all’offensiva in corso. Il pacchetto totale di 750 miliardi di euro prevede, innanzitutto, una linea di credito della Commissione a sostegno degli Stati membri in difficoltà, che potrebbe essere finanziata con emissione di titoli fino a 60 miliardi. Viene poi creato uno sportello speciale triennale di 440 miliardi, coperto da prestiti ripartiti pro-rata tra gli Stati dell’eurozona (Special purpose vehicle). I detti meccanismi saranno integrati rispettivamente da 30 e 220 miliardi da parte del Fondo monetario internazionale (FMI). Sono anche previsti interventi della BCE con acquisto di titoli sui mercati secondari, il rifinanziamento alle banche a tre e sei mesi per mantenere la liquidità sui mercati e la riattivazione degli swap con la FED a favore della liquidità sul mercato americano. I differenti strumenti di intervento vanno nella direzione corretta per costruire una ciambella di salvataggio intorno ai paesi più esposti alla speculazione internazionale sul rinnovo dei prestiti pubblici, in primis Spagna e Portogallo, oltre naturalmente la Grecia. Introducono

...le misure del 9 maggio 2010 una prima risposta...

un meccanismo di gestione della crisi, non rappresentano la soluzione definitiva. Allo stesso modo, vanno nella direzione dovuta le proposte della Commissione “Per il rafforzamento del coordinamento delle politiche economiche”, presentate il 12 maggio 2010, opportunamente rivolte a rendere più stringenti ed efficaci le procedure di controllo del PSC sulle finanze pubbliche degli Stati membri. Il primo limite di queste misure è la loro insufficienza, rimangono in ambito intergovernativo e impongono politiche di risanamento fiscale che rischiano di rivelarsi una medicina pericolosa, capace di innescare un lungo ciclo recessivo dell’economia europea, socialmente e politicamente destabilizzante. Il secondo limite, quello decisivo, è che tutto il meccanismo poggia su risorse finanziarie raccolte attraverso prestiti da collocare sul mercato dalla Commissione o dagli Stati, e non evidenzia una capacità fiscale di intervento delle istituzioni europee che poi è il vero strumento di un governo europeo dell’economia. I mercati lo sanno e attaccano di conseguenza. Occorre tuttavia richiamare quattro novità di rilievo emerse in risposta alla crisi. La prima riguarda il riconoscimento della base giuridica per l’intervento di salvataggio individuata nell’art. 122.2 del Trattato di Lisbona che fa riferimento alle “circostanze eccezionali”. La seconda è espressa dalla dotazione di prestiti che può emettere la Commissione fino a 60 miliardi di euro nell’ambito del meccanismo individuato che apre la strada all’emissione di Union Bonds sui mercati finanziari anche per interventi di altra natura. La terza è la proposta di istituire un “semestre europeo” di coordinamento ex ante delle politiche di bilancio nazionali prima che essi siano sottoposti al vaglio dei parlamenti nazionali. La quarta è il mandato dato al Presidente del Consiglio europeo, Herman van Rompuy, già nella riunione del Consiglio del 25 marzo 2010, di costituire una task force per presentare entro l’anno proposte di riforma. Sono le porte entro le quali deve inserirsi una riflessione ampia capace di coinvolgere la società civile europea, le forze politiche, le istituzioni. Tutte queste proposte sottendono un problema comune, da nessuno messo in evidenza: la legittimità democratica degli interventi; in altre parole, chi decide la politica di bilancio in Europa, un comitato di ministri nazionali o i rappresentanti del popolo europeo?

Una strategia per uscire dalla crisi

L’Unione Europea ha la necessità di contrastare gli effetti deflazionistici che saranno generati dalle politiche nazionali di rientro dai disavanzi eccessivi e dal debito. Per riuscirci, l’Europa deve trarre una lezione dal mancato funzionamento del Patto nei suoi primi dieci anni di vita. Il Patto non ha funzionato perché

...il limite delle misure, la loro insufficienza...

è solo uno strumento insufficiente del governo dell’Unione, governo che rimane incompleto sul piano delle leve economiche disponibili e rimane scoperto sul piano delle scelte e della loro legittimazione democratica. Sul piano economico, gli europei sono colpevoli di avere continuato a fare affidamento sui fattori di pace, sicurezza e sviluppo assicurati dall’esterno e ciò ha creato la crisi attraversata nell’ultimo decennio per cui hanno subito gli errori provocati dal declino della potenza americana. Sono stati trascinati negli interventi in Afghanistan e in Iraq senza disporre di una propria strategia in Medio Oriente, hanno subito il collasso del sistema finanziario statunitense e l’emergere di nuovi grandi protagonisti economici mondiali senza reagire. In queste condizioni il PSC non ha potuto funzionare. E’ mancata la leva esterna a cui tutti implicitamente facevano affidamento: l’evoluzione della domanda mondiale in condizione di sviluppo ordinato dei mercati. Alla fine degli anni settanta, Valéry Giscard d’Estaing ed Helmut Schmidt lanciarono il Sistema monetario europeo (SME) per isolare l’economia europea dai comportamenti erratici del dollaro. Questa lezione è stata dimenticata. Oggi occorre dare un governo all’euro per impedire che l’Unione Europea sia destabilizzata dai nuovi assetti dinamici dell’economia mondiale.

...una risposta europea che attivi meccanismi interni autonomi di garanzia...

Ne consegue che la risposta europea deve attivare meccanismi interni autonomi per garantire la propria crescita e trainare condizioni di ordine a livello mondiale, possibilmente. Si tratta di passare dalla cultura politica della subordinazione alla leadership egemonica statunitense alla cultura politica della coscienza del ruolo europeo nel mondo. Vi sono tre punti di intervento in questa direzione. Il primo riguarda l’adozione di un piano di sviluppo europeo, finanziato con nuove imposte e l’emissione di Union Bonds per almeno l’1% del PIL europeo in aggiunta al bilancio comunitario corrente, per interventi strutturali e di contrasto delle spinte deflative imposte dal risanamento dei conti pubblici dei paesi membri dell’Unione [5]. Il secondo punto interessa il completamento del mercato interno dei servizi alla produzione e delle rispettive garanzie di funzionamento, in particolare nel settore del controllo prudenziale europeo delle attività finanziarie (vedi anche il caso delle “Agenzie di rating”). Il terzo punto riguarda la promozione da parte europea della riforma del sistema monetario internazionale, facendo leva sull’esperienza del percorso che in trenta anni ha portato alla moneta unica [6]. E’ un passo decisivo per ancorare il multipolarismo economico mondiale a condizioni di stabilità, a un quadro competitivo non alterato dal gioco delle svalutazioni e rivalutazioni competitive e a strumenti di creazione della liquidità monetaria mondiale non inflazionistici. Ciò permette anche di ricordare che i paesi dell’eurogruppo dovrebbero riunire in una sola tranche le quote disperse che hanno nel FMI, piuttosto che condurre polemiche inutili sull’intervento dell’istituzione nella crisi greca. Sarebbe un passo decisivo per una riforma del Fondo, invocata dalla Cina e utile in ultima istanza anche agli Stati Uniti d’America.

Il governo federale dell’Unione e la riforma del Trattato di Lisbona

Non esiste quindi solo un problema di scelte politiche interne. L’attacco speculativo alle economie europee minaccia la sicurezza dell’Europa, come il terrorismo o la criminalità organizzata internazionali, e la risposta europea deve essere credibile e creare consenso anche nel mondo. Si afferma la necessità di affrontare globalmente il problema del governo federale dell’Unione, del governo dell’economia e di una politica estera efficace. Occorre realizzare un sistema produttivo europeo più avanzato, più competitivo, capace di migliori opportunità di lavoro e di una collocazione più avanzata nella divisione internazionale del lavoro. Occorrono interventi coordinati nelle missioni di pace all’estero (vedi attivazione della cooperazione strutturata per la difesa prevista dal TdL), nella cooperazione allo sviluppo, nei rapporti di prossimità nel Mediterraneo e verso l’ex Unione Sovietica, quali primi anelli della sicurezza esterna [7]. Una seria politica estera europea può, inoltre, portare a una razionalizzazione /riduzione della spesa pubblica europea per servizi diplomatici, spesa

...una politica di cooperazione...

militare e politica di cooperazione. Darebbe credibilità al consolidamento fiscale e al ruolo dell’euro. Ciò significa, innanzitutto, che il piano di sviluppo, necessario per compensare il risanamento dei bilanci nazionali [8], dovrà portare a una ristrutturazione del bilancio comunitario attraverso la creazione di una sezione in conto capitale del bilancio comunitario, finanziata da emissioni di Union Bonds almeno per l’1% del PIL UE, da affiancare alla sezione in pareggio già esistete che finanzia la politica agricola e le politiche di coesione, secondo le regole dell’articolo 310 del TdL. Dovrebbe poi essere superato il sistema dei contributi degli Stati con il ritorno a una vero sistema di copertura con “risorse proprie” [9]. E’ il problema che era stato individuato dal Piano Delors del 1993 “Crescita, Competitività e Occupazione”, messo nel cassetto dai governi. Il piano, tra l’altro, prevedeva l’introduzione di una carbon tax, per rendere possibile la riconversione energetica e attenuare l’onere fiscale a carico del lavori meno qualificati, e l’emissione di Union Bonds per finanziare progetti di sviluppo. In questo senso,

...quanto realizzare in seno al TdL e quanto dalla sua riforma...

le proposte della Commissione sulla nuova procedura “semestre europeo”, di sorveglianza multilaterale ex ante dei bilanci nazionali, stimolano una riflessione che potrebbe portare a indicazioni complementari nel dibattito che dovrà accompagnare il lavori della ”task force” diretta da van Rompuy. Si tratta di verificare quanto può essere realizzato sfruttando il TdL e quanto deve essere affidato alla sua riforma. Il problema è aperto. La proposta della Commissione rimane indubbiamente nell’ambito del coordinamento delle politiche macroeconomiche la cui base giuridica è offerta dall’art 136 del TdL. Contiene, però, spunti innovatori per il funzionamento del PSC in quanto la discussione comune sui singoli bilanci nazionali dovrà costringere necessariamente i paesi membri a prendere in considerazione le prospettive comuni di sviluppo e a definire un quadro pluriennale di programmazione economica e finanziaria che associ la definizione del bilancio europeo alla definizione dei bilanci nazionali [10]. Il quadro pluriennale non potrà trascurare il coordinamento del prelievo fiscale e della struttura della spesa pubblica tra i differenti livelli di governo. D’altre parte, su queste tematiche si affacciano delicati problemi di sovranità condivisa nella gestione di un’unione economica a livello europeo, complementare dell’unione monetaria, di legittimità democratica delle decisioni fiscali e di spesa pubblica che impongono soluzioni istituzionali innovative [11]. Ciò significa che il processo di messa a punto dei bilanci non può essere di natura intergovernativa, come propone la Commissione quando vorrebbe che bilanci nazionali siano approvati dal Consiglio prima di essere sottoposti all’approvazione dei parlamenti nazionali. La procedura avanzata dalla Commissione potrebbe trovare applicazione qualora un’assise parlamentare, formata di rappresentanti

...NO Taxation WITHOUT representation...

del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali, sentito il Comitato economico e sociale e il Comitato delle Regioni, formulasse per un periodo di almeno cinque anni il quadro pluriennale di programmazione con l’indicazione degli obiettivi politici da conseguire e delle fonti fiscali necessarie, sia per il bilancio europeo sia, per esclusione, per i bilanci nazionali. Definito il quadro con la collaborazione dei parlamenti nazionali, anche l’esercizio annuale del “semestre europeo” diverrebbe compatibile. La crisi della Grecia ci lascia la lezione che non sono più possibili politiche fiscali lassiste, il consolidamento dei conti pubblici in Europa porterà inasprimenti fiscali e aspettative di spesa pubblica più produttiva. Sono scelte però che dovranno essere democraticamente condivise nel quadro europeo: “no taxation without representation”.

Fonte dell’immagine: World Wide Web

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Note

[1Il Patto di stabilità e crescita fu proposto dal ministro tedesco dell’economia Theo Waigel per i timori sulla sostenibilità della partecipazione dell’Italia. Definito nel 1997 entrò in vigore con l’Unione economica e monetaria nel 1999

[2Cfr. Introduzione all’articolo di Claudio Grua, Crisi del Patto di stabilità e governo europeo dell’economia, in “PiemontEuropa”, n. 3 – Ottobre 2004.

[3Il confronto militare assurdo greco-turco, in quanto entrambi i paesi sono membri della NATO, determina per Atene un onere di bilancio pari al 5% del PIL. La crisi ha imposto ad Atene un drastico ridimensionamento della spesa militare. L’ingresso della Turchia nell’UE e l’attivazione di una difesa unica europea eliminerebbero il problema.

[4Il problema caratterizza al suo interno anche l’Italia e favorisce le spinte politiche disgregatrici dell’unità nazionale nelle regioni chiamate a contribuire al dissesto dei conti pubblici nelle regioni meridionali. In realtà, sia l’intervento straordinario per il Mezzogiorno che l’intervento dei fondi strutturali europei a favore delle regioni mediterranee hanno finito per assumere carattere assistenzialistico in Italia, Grecia, Spagna e Portogallo, e quindi alimentano localmente clientelismo politico e corruzione. Ciò è dovuto alla difficoltà di queste regioni di inserirsi in un circuito di sviluppo virtuoso per la loro lontananza dai mercati europei trainanti (legge di Braudel) e l’insufficienza della politica europea per il Mediterraneo. Ne consegue che l’introduzione di meccanismi virtuosi di controllo della spesa pubblica costituisce solo una parte delle soluzioni.

[5Vedi Alfonso Iozzo, Alberto Majocchi, Piano europeo di sviluppo, Union Bonds e riforma del bilancio.

[6Cfr. Alfonso Iozzo, Antonio Mosconi, La fondazione di un sistema finanziario globale cooperativo, in “PiemontEuropa”, n. 3 - Ottobre 2006.

[7Lo sviluppo delle relazioni inframediterranee e l’allargamento ai Balcani occidentali e alla Turchia permetterebbero di spezzare l’isolamento della Grecia e offrirebbero opportunità di sviluppo alle regioni meridionali dell’Europa; valorizzerebbero la politica di coesione che oggi assume il carattere prevalentemente assistenziale già ricordato e alimenta clientelismo e corruzione in ultima analisi.

[8Va sottolineato il ruolo che ebbe il Piano Marshall per risollevare le economie europee dopo la seconda guerra mondiale e le strette condizioni di risanamento a cui esse dovettero adattarsi. Va aggiunto che il Piano fu finanziato con imposte a carico del contribuente americano. Nell’ ambito delle ricostruzione europea e del risanamento finanziario non va dimenticata la riforma monetaria tedesca del 20 giugno 1948, che praticamente annullò tutti gli assets finanziari espressi nei vecchi Reichsmark (un vero e proprio default per uscire dalla seconda inflazione tedesca del secolo scorso). La riforma introdusse la nuova moneta il Deutsche Mark e il nuovo sistema di banche centrali regionali che poi costituì la base per la fondazione nel 1957 della Deutsche Bundesbank.

[9Va sottolineato il ruolo che ebbe il Piano Marshall per risollevare le economie europee dopo la seconda guerra mondiale e le strette condizioni di risanamento a cui esse dovettero adattarsi. Va aggiunto che il Piano fu finanziato con imposte a carico del contribuente americano. Nell’ ambito delle ricostruzione europea e del risanamento finanziario non va dimenticata la riforma monetaria tedesca del 20 giugno 1948, che praticamente annullò tutti gli assets finanziari espressi nei vecchi Reichsmark (un vero e proprio default per uscire dalla seconda inflazione tedesca del secolo scorso). La riforma introdusse la nuova moneta il Deutsche Mark e il nuovo sistema di banche centrali regionali che poi costituì la base per la fondazione nel 1957 della Deutsche Bundesbank.

[10Cfr. Domenico Moro, Perché è necessaria una politica europea del bilancio, in “PiemontEuropa” , n. 4 – Dicembre 2007. L’autore, nell’ambito di un tentativo di definire un federalismo fiscale europeo, attribuisce al bilancio comunitario il compito di sostenere la politica di sviluppo, mentre la politica di stabilizzazione macroeconomia dovrebbe risultare dal coordinamento previsto dal PSC. La politica distributiva e allocativa dovrebbero invece essere lasciate al livello nazionale e locale di intervento.

[11Il modello del Bundesrat, come Camera alta che affronta il problema della ripartizione delle risorse fiscali nel contesto della Repubblica Federale di Germania, nel caso europeo non è sufficiente, soprattutto dopo la sentenza della Corte costituzionale tedesca dello scorso anno. L’introduzione di un’assise dei parlamenti darebbe maggiore legittimità “costituzionale” alla definizione di un patto fiscale rinnovabile su lunghi periodi tra il livello europeo e quello nazionale per la gestione della raccolta fiscale e della spesa pubblica. Per tale ragione l’assise, una vera Convenzione fiscale, potrebbe anche mantenere l’orizzonte attuale settennale della programmazione finanziaria comunitaria per mantenersi sganciata dalle vicende elettorali europee.

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