La politica estera di Barack Obama

, di Mauro Mondino

La politica estera di Barack Obama

Per i cittadini americani il 4 novembre deve sembrare ormai lontano: la storica vittoria del primo candidato afro-americano alla corsa per la Casa Bianca pare scomparire alla luce della crisi economica e dell’instabilità internazionale.

Dal 20 Gennaio, il neo-Presidente Obama dovrà dimostrare ai suoi elettori, agli alleati e ai nemici dell’America l’abilità di gestire con successo una formidabile serie di sfide: se da una parte la crisi finanziaria ha contagiato l’economia reale, causando la perdita di centinaia di migliaia di posti lavoro negli USA, e ha trascinato l’intero sistema mondiale nella recessione più profonda dagli Anni Trenta, dall’altra gli Stati Uniti saranno chiamati a riassumere la leadership della comunità internazionale nel tentativo di stabilizzare il Medio Oriente, in Afghanistan ed in Iraq, in Palestina come in Iran, e di gestire l’ascesa di potenze quali Cina e Russia.

L’efficacia della politica estera americana sotto la Presidenza Obama non dipenderà soltanto dal raggiungimento di obiettivi concreti, quali -ad esempio- la ripresa delle trattative di pace in Palestina: il primo elemento da considerare sarà, invece, la capacità del nuovo presidente di ricostruire l’immagine degli Stati Uniti come potenza benigna, agli occhi di alleati storici indispettiti -l’Europa- e di partner strategici scettici -il Medio Oriente dei petrodollari. La strategia aggressiva nella gestione dei rapporti diplomatici della lunga Presidenza Bush si è dimostrata chiaramente fallimentare.

In primo luogo, prendendo in prestito il vocabolario reaganiano della Guerra Fredda -si veda la celeberrima espressione “asse del male”- e

... la strategia di Bush si è dimostrata fallimentare ...

applicandolo estensivamente a tutti coloro che, specialmente in Medio Oriente, fossero contrari alla politica americana post-9/11, il Presidente Bush ha compattato il fronte del radicalismo islamico e ne ha indirizzato la reazione verso bersagli occidentali, fossero essi in Iraq o in Afganistan.

In secondo luogo, il tono arrogante che ha accompagnato le relazioni euro-americane fino alla cacciata dal Pentagono di Donald Rumsfeld nel 2006, ha determinato un notevole raffreddamento della pluridecennale amicizia atlantica. Gli Stati europei, infatti, pur nella cronica assenza di una politica estera comune, hanno dimostrato una certa compattezza nel condannare lo sprezzo americano verso un’Europa debole, una “vecchia Europa”, nelle parole del precedente inquilino del Pentagono. Alla luce di tale disarmante eredità, Barack Obama sarà costretto a tessere nuovamente le fila di una diplomazia straziata dai clamorosi errori di otto anni di presidenza repubblicana; ancora prima di affrontare i nodi della politica internazionale il nuovo Presidente sarà chiamato a rassicurare alleati vecchi e nuovi delle buone intenzioni della superpotenza americana, a infondere quella fiducia nelle capacità della prima economia e potenza militare di lavorare per il benessere globale: Obama dovrà, in sostanza, restaurare la leadership morale della quale gli Stati Uniti hanno beneficiato dall’inizio della Guerra Fredda, ormai sessant’anni or sono.

Un nuovo approccio

Tuttavia, pur riconoscendo nel nuovo Presidente una diversa propensione verso la tattica politica e la gestione dei rapporti diplomatici , nuovi e vecchi alleati -tra i quali soprattutto l’Europa- non potranno illudersi che la strategia americana di lungo termine possa cambiare radicalmente. Ciò che verosimilmente accadrà, invece, sarà un ritorno ai tradizionali metodi che hanno caratterizzato la politica estera americana del Secondo Dopoguerra: in particolar modo in riferimento ad un

... pur riconoscendo nel nuovo Presidente un diverso approccio, non ci si può illudire che la strategia americana di lungo termine cambi radicalmente ...

ricorso più frequente al sistema di sicurezza collettiva stabilito presso le Nazioni Unite e un rinnovato impegno a perseguire stabilità politica e crescita economica globale attraverso un’azione concertata tra le due sponde dell’Atlantico. Gli obiettivi della presidenza Bush, tra i quali il mantenimento della leadership mondiale (almeno fino all’ascesa di un concorrente credibile, quale fu l’Unione Sovietica), la stabilizzazione di aree turbolente come il Medio Oriente, e l’ascesa controllata di nuove potenze globali, non saranno sconfessati, anzi verranno riaffermati dal Presidente Obama; tale apparente contraddizione può essere risolta considerando le differenti modalità con cui Neo-conservatori e Democratici propongono di raggiungere tali scopi. Da un lato G.W. Bush, a causa alla potente influenza dell’ala imperialista del partito Repubblicano, ha perseguito gli interessi degli Stati Uniti ricorrendo a sconsiderate azioni unilaterali -quali l’istituzione del carcere di Guantanamo e l’invasione del territorio iracheno- in completo spregio delle più elementari norme del diritto internazionale; inoltre tale amministrazione ha ridicolizzato l’istituzione di cui è stata promotrice fin dalla sua creazione nel 1945, ossia le Nazioni Unite, e ha proceduto all’indebolimento sistematico della più solida alleanza a disposizione degli Stati Uniti, ossia il Patto Atlantico.

Le decisioni di G.W. Bush hanno poggiato sull’assunto che la potenza americana fosse talmente superiore da poter sopportare il ruolo di “poliziotto globale” senza l’aiuto di alleati o di una cornice istituzionale condivisa: in altre parole l’indiscussa supremazia militare ed economica si sarebbe dimostrata capace di sostenere nel lungo periodo le attività di prevenzione del terrorismo e di “esportazione della democrazia”. Tuttavia tali imperial temptations –come già Jack Snyder aveva anticipato nel lontano 2003 [1] – erano destinate a fallire. Dall’altro lato la futura Presidenza Obama sembra propensa a riconoscere che gli Stati Uniti d’America non possiedono le risorse militari, economiche e politiche per difendere, a costi accettabili in termini di vite umane, denaro e popolarità, gli interessi americani e, per esteso, quelli dell’Occidente industrializzato. In tale situazione, ironicamente, il motivo del cambiamento che ha caratterizzato la campagna presidenziale potrebbe concretizzarsi in un ritorno ai metodi adottati da Bush Sr. e da Clinton: nelle trattative con l’Iran, per esempio, il nuovo Presidente potrebbe ricorrere alla c.d. dottrina Powell [2], che suggerisce l’uso massiccio della forza soltanto qualora tutte le risorse diplomatiche siano state esaurite. L’ipotesi dell’uso della forza, è bene ricordare, non è estranea alla tradizione dei presidenti Democratici e Barack Obama, pur privilegiando la via del negoziato, non farà eccezione. Tuttavia la riscoperta delle istituzioni internazionali e del loro valore legittimante, nella più ampia cornice del conflict resolution, rappresenta la via naturale attraverso cui la nuova Presidenza agirà per far fronte alla questione iraniana, come a quella pachistana.

Il secondo e più importante pilastro della nuova politica estera americana non potrà non essere la riscoperta dell’Alleanza Atlantica: gli Stati Uniti si rivolgeranno con rinnovato interesse alla sponda europea dell’Atlantico, desiderosi di condividere il fardello della

... la riscoperta del Patto Atlantico ...

governance mondiale con gli Alleati che, seppur ancora diffidenti dell’alleato, avranno l’opportunità di sconfessare il detto che vuole l’Europa gigante economico ma nano politico. I disastrosi risultati dell’era Bush circa i rapporti atlantici suggeriscono, quindi, che Barack Obama premerà per una maggiore responsabilizzazione del migliore e più stabile alleato su cui gli Stati Uniti hanno potuto contare sin dal 1945.

Se da una parte il nuovo Presidente potrà incoraggiare il consolidamento del blocco continentale intorno ad

... sconfessare il vecchio diplomatico che non sapeva chi chiamare in Europa ...

una comune politica estera europea, dall’altra sarà compito dei leader europei costruire quella celebre linea telefonica tra Washington e Bruxelles e sconfessare così quel vecchio diplomatico americano che si lamentava di non sapere chi chiamare in Europa in caso di aiuto.

Fonte dell’immagine: World Wide Web

Note

[1Jack Snyder, Imperial Temptations, The National Interest – Spring 2003, pp. 29-40

[2Dal Gen.Colin Powell, primo Segretario di Stato sotto la presidenza di G.W. Bush (2001-2005). Vedi Colin Powell U.S. Forces: challenges ahead, Foreign Affairs – Winter 1992/1993, pp. 32-45

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