Per una primavera della democrazia europea. People of Europe: rise up!

, di Nicola Vallinoto

Per una primavera della democrazia europea. People of Europe: rise up!

L’Europa sta attraversando un periodo di crisi economica e sociale senza precedenti. La crisi dei debiti sovrani cominciata nel 2008 con il fallimento della Lehman Brothers e generata dal turbo-capitalismo finanziario globale sta producendo una contrazione dei salari e una riduzione dei posti di lavoro e dei consumi. Rischia di far saltare l’intera costruzione europea. Il rapido propagarsi di neo-nazionalismi e di sentimenti antieuropei ostili ai progetti federalisti ha reso urgente la risoluzione delle contraddizioni insite nel disegno di un’Unione monetaria priva di un’unione politica, economica e fiscale. I diritti e la democrazia sono sotto attacco. In tre anni i governi europei a cominciare da Francia e Germania sono sempre intervenuti tardi e male. La crisi della Grecia poteva essere risolta da subito, in presenza di un governo europeo dell’economia, senza i tagli sociali ai quali sono stati sottoposti i cittadini greci.

Di fronte a uno scenario di disgregazione e di graduale impoverimento dei cittadini europei i governi dell’UE dal 2008 ad oggi non sono stati in grado di proporre soluzioni all’altezza della grave situazione in cui ci troviamo. Il Fiscal Compact e il Fondo Salva Stati hanno ridotto le ricette dei governi per salvare l’Europa alle sole politiche di austerità aggravando la recessione in atto piuttosto che migliorarla. Il Fiscal Compact, in particolare, ha mortificato la democrazia europea. Si tratta di un accordo intergovernativo, per nulla democratico, che prevede un ruolo di mera consultazione per l’unica istituzione europea legittimata dal voto popolare: il Parlamento europeo. Oltre a non consentire politiche alternative e prevedere un solo indirizzo di politica economica fino al punto di costituzionalizzarlo. Per superare la crisi occorre(va) mettere in gioco un piano europeo straordinario ecologicamente e socialmente sostenibile, dotato di risorse proprie come la tobin tax e la carbon tax, e in grado di rilanciare l’occupazione e la ricerca. Al contrario i governi hanno pensato bene di ridurre il già risicatissimo bilancio europeo per il periodo 2014-2020. Il Parlamento europeo ha giustamente bocciato tale proposta nella sessione di marzo 2013 ed ha così riaperto i giochi. Il Parlamento europeo da solo non potrà uscire vincitore dal confronto con i governi se non avrà il sostegno dei cittadini europei.

La crisi in Europa è, come ben sappiamo, soprattutto politica. Da una parte abbiamo gli stati nazionali che hanno perso il controllo sull’economia, sul lavoro, sulle politiche sociali, sull’ambiente e sui diritti. Dall’altra abbiamo soggetti transnazionali (multinazionali, mafie, agenzie di rating, organismi economici globali, ecc.) che indirizzano la globalizzazione, controllano l’economia, i flussi finanziari e favoriscono la delocalizzazione della produzione nei Paesi dove il costo del lavoro è inferiore e non ci sono tutele sindacali. In mezzo troviamo l’Unione europea, frazionata in 28 Paesi solo formalmente sovrani, che non ha ancora gli strumenti politici per tentare di governare la globalizzazione e, quindi, subisce gli attacchi della finanza speculativa e non riesce a garantire i diritti acquisiti e lo stato sociale nei singoli stati nazionali. Il potere decisionale non risiede più a livello nazionale ed è sempre più spostato verso livelli globali dove non vige la democrazia.

Il neo-liberismo senza regole nè confini ha aumentato il divario tra le classi più ricche e quelle più povere. Lo 0.5% della popolazione mondiale - la super classe transnazionale - più ricca detiene il 35% della ricchezza mondiale mentre il 68% della popolazione mondiale più povera detiene il 4.2% della ricchezza mondiale (Luciano Gallino, 2012). Lo slogan di Occupy Wall Street fotografa molto bene questa situazione: noi siamo il 99%. La globalizzazione neo-liberista sta demolendo i beni comuni, riducendo gli spazi democratici e distruggendo lo stato sociale e l’ambiente. Siamo a un passo dal baratro.

Occorre invertire la rotta prima che sia troppo tardi. A cominciare dal Vecchio continente dove sono in pericolo lo stato sociale finora acquisito e i diritti dei lavoratori mentre il percorso verso la democrazia europea è ancora da ultimare. In questi primi dieci anni del XXI secolo l’Europa ha elaborato, dopo otto anni di trattative, il Trattato di Lisbona che una volta entrato in vigore nel 2009 si è dimostrato subito obsoleto. La crisi dei subprime statunitensi iniziata nel 2008 e trasferitasi in Europa ha messo in evidenza i limiti di un trattato che non ha dato ai cittadini europei gli strumenti idonei per governare i processi economici.

Non c’è più molto tempo per costruire l’Europa alternativa. Alla globalizzazione economica di stampo neo-liberista occorre contrapporre la globalizzazione della democrazia, dei diritti e della giustizia. Occorre portare a compimento due modelli di Europa strettamente complementari e interconnessi: l’altra Europa dei beni comuni immaginata nei primi anni duemila nei social forum continentali e l’Europa libera e unita disegnata da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nel confino di Ventotene durante la seconda guerra mondiale. I contenuti dell’altra Europa emergono dalle campagne europee e dalle mobilitazioni transnazionali che attraversano il continente da Sud a Nord.

Da una parte quindi i contenuti dell’altra Europa: la democrazia, i diritti e la giustizia socio-ambientale. Dall’altra il contenitore di un’Europa libera e unita: ovvero una nuova Costituzione federale scritta in modo collettivo da un’assemblea costituente che si apre a uno spazio pubblico europeo dal quale recepisce le istanze di democrazia partecipativa e paritaria e le richieste condivise del popolo europeo. Il testo costituzionale sarà soggetto all’approvazione dei cittadini e delle cittadine d’Europa tramite un referendum continentale e non più oggetto di compromessi al ribasso da parte di conferenze intergovernative.

Questo percorso costituente vedrà la partecipazione attiva dei cittadini e dei movimenti transnazionali. Senza il coinvolgimento del popolo europeo, infatti, non sarà possibile alcun avanzamento significativo nell’unificazione politica del Vecchio continente. Questo è il lascito del referendum francese del 2005. In un testo, scritto in occasione del convegno “L’identità europea in un’economia globale” in preparazione del Summit di Lisbona sotto la presidenza portoghese, Manuel Castells ha sostenuto la necessità di una “comune identità europea in base alla quale i cittadini in tutta Europa possano condividere i problemi e cercarne insieme la soluzione”. Dopo aver scartato cultura e religione, Castells ha individuato “i sentimenti condivisi sulla necessità di una protezione sociale universale delle condizioni di vita, la solidarietà sociale, un lavoro stabile, i diritti dei lavoratori, i diritti umani universali, la preoccupazione per i poveri del mondo, l’estensione della democrazia a tutti i livelli”. Se le istituzioni europee dovessero promuovere quei valori, diceva, forse “il progetto identità” potrebbe crescere. Per mobilitare il sostegno popolare e ricostruire l’Uem è necessario ridefinirla in modo che riconosca la ‘dimensione sociale’, trasformandola in una Unione economica e sociale (Ues). Questo dovrebbe andare di pari passo con le riforme dei processi decisionali capaci di unire in modi nuovi partecipazione democratica ed efficienza.

A questo proposito durante il forum sociale ‘Genova 2011’ tenutosi a luglio nel decennale del G8 di Genova del 2001 le associazioni, le reti e i movimenti presenti hanno elaborato un testo “per l’altra Europa” in cui si rilancia la cosiddetta ’dimensione sociale’ dell’Europa “contro la mercificazione delle persone e dei beni comuni, immateriali e naturali”. E si sceglie l’orizzonte delle lotte a livello europeo attraverso campagne su temi che riguardano la protezione sociale e i diritti universali come il reddito minimo garantito; la cittadinanza europea di residenza e la mobilitazione per l’adesione alla Convenzione Onu del 1990 sui diritti dei lavoratori e delle lavoratrici migranti; l’acqua come diritto umano, primo nucleo di uno Statuto europeo dei beni comuni; l’uso sociale dei beni confiscati alle mafie e alla criminalità; un piano europeo di riconversione ecologica e sociale delle produzioni e dei consumi da sostenere con una tassa sulle transazioni finanziarie e sulla carbon tax; il diritto all’informazione, il pluralismo e la libertà di stampa. Intorno a queste iniziative si stanno costruendo coalizioni e alleanze transnazionali le cui mobilitazioni saranno importanti per rilanciare la fiducia dei cittadini europei verso le istituzioni europee.

L’iniziativa dei cittadini europei (ICE), che permette di proporre un atto legislativo alla Commissione europea tramite la raccolta di un milione di firme in almeno sette paesi dell’Ue introdotta dal Trattato di Lisbona, è lo strumento con il quale i cittadini europei condividono problemi specifici e cercano soluzioni comuni. Come successo con la prima iniziativa a rivendicare un bene comune sovranazionale: l’acqua. La campagna europea per l’acqua è stata la prima ICE a superare il quorum raccogliendo quasi due milioni di firme [1] e a diventare patrimonio collettivo europeo. Seppur con tutti i limiti dell’ICE il popolo europeo diventa legislatore.

Un altro passaggio importante nella costruzione di una rete transnazionale è stata la manifestazione europea del 15 ottobre 2011 convocata dal Movimiento 15-M nella capitale delle istituzioni europee. I giovani provenienti da diverse capitali europee (Madrid, Atene, Parigi, Roma, Londra, ecc.) hanno mostrato lo slogan “People of Europe rise up!” (trad. Popolo d’Europa sollevati) e hanno urlato la loro indignazione nei confronti delle politiche d’austerità dell’Unione europea indirizzate alla parità di bilancio, con le quali si giustificano i tagli allo stato sociale, e che non sono compensate dall’implementazione di un piano europeo di sviluppo ecologicamente e socialmente sostenibile con il quale dare una prospettiva di rilancio dell’economia europea su basi diverse e una visione alternativa della costruzione europea che non sia sbilanciata sugli interessi dei grandi capitali. Più recentemente gli appuntamenti del forum Firenze 10+10 a novembre 2012 e dell’Altersummit di Atene a giugno 2013 sono stati momenti significativi di aggregazione per la costruzione dell’altra Europa.

Da una parte, quindi, ci vuole la spinta necessaria del popolo europeo e l’azione transnazionale dei movimenti altermondialisti per una maggiore integrazione politica, economica e sociale a partire dalla soluzione comune di problemi specifici (e le iniziative dei cittadini europei sono un aiuto in tal senso) dall’altra ci vuole la sponda politica del Parlamento europeo, unica istituzione europea legittimata dal voto popolare, che deve promuovere quei valori indicati da Manuel Castells in modo da rafforzare una comune identità europea. Le risposte che il Parlamento europeo saprà fornire alle richieste pressanti di democrazia, diritti e giustizia sociale a livello sovranazionale possono costituire un antidoto per porre un freno all’ondata crescente di euroscetticismo e nazionalfascismo.

La seconda decade del XXI secolo sarà decisiva per le sorti del Vecchio continente a partire dalle elezioni europee del maggio 2014. Elezioni che devono essere politicizzate: i partiti europei possono indicare il proprio candidato alla presidenza della Commissione legando il voto al programma di governo. Il prossimo parlamento deve diventare costituente e procedere alla revisione del trattato di Lisbona, considerato da tutti obsoleto, con l’obiettivo di adottare una Costituzione europea approvata dai cittadini tramite un referendum paneuropeo.

Vogliamo dire basta all’Europa intergovernativa dei veti nazionali. Vogliamo un Parlamento europeo codecisore legislativo a pieno titolo. Vogliamo una Commissione, che operi come un governo democratico controllato dal Parlamento, in grado di attuare politiche economiche, sociali e fiscali nell’interesse generale dei cittadini europei con un bilancio adeguato e finanziato con risorse proprie. Vogliamo, infine, che il Consiglio europeo diventi un Senato che rappresenta gli Stati e decide a maggioranza in tandem con il Parlamento che rappresenta i cittadini.

O saremo in grado di completare il progetto federalista degli Stati Uniti d’Europa con un risveglio della mobilitazione transnazionale per l’altra Europa, che sfoci in una vera e propria primavera della democrazia europea, oppure non avremo alternative a una repentina decadenza e a una progressiva marginalizzazione dell’Europa nel contesto globale con esplosioni di malcontento generalizzato che potranno incendiare le metropoli europee.

I soggetti che sono più direttamente interessati a una primavera della democrazia europea sono quelli più colpiti dalla crisi sistemica evidenziata dalla finanziarizzazione dell’economia, dalla localizzazione della produzione nei paesi dove il lavoro ha un costo inferiore e ha poche tutele sindacali e dai tagli indiscriminati al welfare state: i precari, i migranti, i pensionati, i giovani senza lavoro, i senza casa e coloro che, più in generale, non riescono ad arrivare alla fine del mese. Costoro costituiranno la base sociale in grado di sovvertire l’attuale sistema di potere intergovernativo e tecnocratico che blocca ogni tentativo di costruzione di una reale democrazia europea.

“L’Europa non cade dal cielo” e la sua realizzazione dipende da ciascuno di noi. Nessuno si può considerare fuori dalla lotta per la democrazia locale e globale, europea e mondiale. A differenza di alcuni intellettuali che vogliono farci credere a una differenziazione dei cittadini europei in base alla nazionalità suddividendoli in euro-winners (i tedeschi, gli olandesi, gli austriaci, ..) e in euro-loosers (gli spagnoli, i greci, i portoghesi, gli irlandesi, ..) noi preferiamo considerarci tutti cittadini - compresi i residenti - di una stessa Europa con gli stessi diritti e gli stessi doveri. Allo sguardo nazionale - escludente e discriminante - noi preferiamo adottare lo sguardo cosmopolita - includente ed egualitario. E l’uscita da questa crisi, se e quando ci sarà, ci vedrà o tutti vincenti o tutti perdenti. Nessuno escluso.

1. Articolo pubblicato originariamente su Peacelink, a sua volta trascrizione del contributo inviato dall’autore alla giornata di riflessione comune “Europa che fare?”, Roma 28 settembre 2013, Casa internazionale delle donne.

2. Immagine: Manifestazione federalista al Ponte San Luigi, Ventimiglia 1954. Autore: Giovanni Airoldi - Copyright © Giovanni Airoldi

Note

[11.857.605 le firme raccolte durante la campagna

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