Sono già diversi mesi che i suoi più vicini consiglieri lo affermano: il Presidente della Repubblica è ormai convinto che la zona euro non supererà la crisi del debito sovrano se non si va verso una soluzione più «federalista». Durante l’incontro del giovedì, Nicolas Sarkozy si sarà pronunciato davanti ai suoi sedici partners europei, secondo le Figaro di sabato «Sì, io difendo una visione federalista dell’Europa»! Il problema è che il capo dello Stato fa un utilizzo quanto meno bizzarro della parola, infatti la sua visione non è federalista, ma intergovernativa. Per altro è proprio quest’Europa intergovernativa che ha fallito e che ha condotto alla crisi attuale.
Qual è la differenza tra un’Europa federale e un’Europa intergovernativa? La tipologia di governo adottata. Non è infatti sufficiente che l’Unione disponga di competenza proprie o condivise, bisogna anche che abbiamo modo di esercitarle, più specificatamente che abbiamo a disposizione organi federali che siano indipendenti dagli Stati nelle loro sfere di competenza e, soprattutto, decida a maggioranza.
Dentro il sistema europeo attuale, la Commissione europea, soprattutto nell’esercizio di qualche sua qualche prerogativa esclusiva come la politica della concorrenza, è un organo federale. Il parlamento europeo, eletto a suffragio universale diretto e che adotta a maggioranza la legislazione comunitaria, anche. Anche la Banca Centrale europea, che decide solo della politica monetaria, o la Corte di Giustizia europea (situata a Lussemburgo) incaricata d’interpretare e di far applicare il diritto europeo.
Il Consiglio dei ministri che co-decide con il Parlamento europeo della legislazione europea è un organo ibrido: composto dai rappresentanti degli Stati, è un organo quasi federale quando vota a maggioranza (qualificata o meno). In compenso, quando decide all’unanimità, diviene un organo intergovernativo, ciò che è sempre il Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo dove il consenso (non bisogna nemmeno votare) è la regola.
Chiaramente, l’Europa intergovernativa, è quella degli Stati sovrani dove la ricerca di consenso impone troppo spesso un compromesso a minima. Immaginiamo un istante che negli Stati Uniti il governo federale sia composto dai governatori dei cinquanta Stati e che decida all’unanimità…è esattamente quello che propone Sarkozy. Altrettanto è l’Europa intergovernativa, è come l’ONU senza il Consiglio di Sicurezza, un «macinino» senza amministrazione suscettibile di passare esclusivamente gli orientamenti a minima dei capi di Stato e di governo.
Ora questo è il modo in cui Nicolas Sarkozy immagina la sua Europa «federale»: quando parla del governo economico europeo, pensa ad una riunione regolare del vertice della zona euro, eventualmente dotato di un segretariato permanente, in breve, una semplice «sorveglianza tra pari» dove né la Commissione, né il Parlamento europeo, né i parlamenti nazionali potrebbero avere da ridire. Non è un caso che il capo dello Stato ha respinto l’idea di Jean-Claude Trichet, il presidente della BCE, di creare un «ministero delle finanze europeo» che unisce la presidenza dell’Eurogruppo (attualmente detenuta da Jean-Claude Junker), il commissario al budget e il commissario al fisco.
Ma bisogna anche riconoscere che la cancelliera tedesca non chiede l’Europa federale più del Presidente della Repubblica francese, ancora meno se possibile. Era lei che si è opponeva al Fondo Europeo di stabilità finanziaria (FESF) sia che fosse legato alla Commissione, sia che fosse una semplice istituzione comunitaria. Peggio ancora: ora il FESF non dispone di alcuna autonomia e può essere attivato solo con il voto unanime degli Stati, che è il contrario del federalismo. Un semplice stallo di politica interna e il blocco del meccanismo è assicurato, fatto che hanno ben compreso i mercati. Mentre per una volta la Francia sarebbe stata pronta a fare dell’FESF un organo federale dotato di autonomia decisionale.
Ora, è il modello intergovernativo che ha portato alla crisi attuale, le politiche economiche e fiscali, che sono rimaste di dominio sovrano, sono semplicemente coordinate attraverso l’amichevole «sorveglianza tra pari». Quando la Grecia ha mentito la prima volta sui suoi conti, nel 2005, gli Stati, competenti solo a tirare uno schiaffo sul polso, hanno guardato altrove e si sono rifiutati di concedere poteri di investigazione ad Eurostat, l’organismo statistico europeo.
Quando ha fallito l’applicazione del patto di stabilità finanziaria in Germania e Francia, il cui deficit scivolava, tra il 2003 e il 2004, è stato riformato e indebolito. L’Agenda di Lisbona del 2000 che doveva fare dell’economia europea la più competitiva del mondo nel 2010 e che si basava esclusivamente sulla buona volontà Stati è stata sotterrata…In breve, attendere che gli Sati volontariamente facciano degli sforzi è ridicolo: è solo quando ci saranno degli organismi capaci di decidere e dei meccanismi di applicazione reale che l’Unione funzionerà (anche se ci sono delle eccezioni, come Schengen).
Inoltre, il problema del sistema intergovernativo è che non protegge i piccoli Stati, al contrario del comunitario in cui la voce di ciascuno è ascoltata. Non è strano pensare allora che l’unanimità dovrebbe proteggerli? Effettivamente: ma all’interno, il vertice europeo è in realtà un concerto delle nazioni e un luogo dove si esprime quindi la potenza bruta. È chiaro che quando la Germania e la Francia decidono qualcosa, generalmente gli altri approvano. Non per niente la zona euro ha il sentore, in questo momento, di essere sottomessa a un direttorio franco-tedesco.
Tollerabile in periodo di crisi, rischia però di essere respinto perché democraticamente insopportabile quando la calma si sarà ristabilita: una cosa è accettare volontariamente le decisioni comunitarie per lo sviluppo di quelle precedenti a cui ci si è associati, un’altra è di doversi sottomettere a una politica imposta dal più potente. Tanto più che questo governo economico andrà a toccare questioni politiche particolarmente sensibili sul piano della politica interna, come la tassazione e le pensioni.
Arriviamo all’ultimo ma non meno importante problema di questa deriva intergovernativa, quello della legittimità democratica. Infatti, l’Eurogruppo riunito a livello di capi di Stato e di governo è un organo che delibera segretamente senza dover renderne conto a nessuno: né il Parlamento europeo, né i parlamenti nazionali (tranne nel caso in cui una decisione necessiti una legge nazionale) sono coinvolti. L’abbiamo visto per il patto sull’euro che decide gli orientamenti economici e politici con grandi conseguenze sul futuro e che, uscito dal nulla, dovrà essere applicato tale e quali dai paesi.
In altre parole, il federalismo di Sarkozy porta ad un sistema di governo piuttosto terrificante: una zona euro diretta dal Presidente della Repubblica francese e dal Cancelliere tedesco, gli altri Stati e le istanze democratiche federali o nazionali saranno totalmente marginalizzati. Chi può pensare che un tale sistema intergovernativo sia applicabile sul lungo periodo? Il solo modo di uscire da questa strada senza uscita è quello di ripensare l’architettura europea per evitare che collassi sotto il peso della sua illegittimità.
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