Rio+20: Continuare a sperare

, di Roberto Palea

Rio+20: Continuare a sperare

Il relativo insuccesso del Vertice di RIO+20 è il risultato del verificarsi di tre fattori negativi.

Il primo è costituito dall’Agenda troppo estesa dei problemi posti all’ordine del giorno, giustificata dal fatto che il processo di globalizzazione ha, in questi ultimi vent’anni, enormemente aumentato la gravità dei fenomeni ambientali e il numero dei problemi. Questi hanno assunto dimensioni «globali» e richiedono soluzioni «globali», che devono essere adottate insieme dai principali Paesi inquinatori, altrimenti impotenti a fronteggiare individualmente fenomeni che non conoscono frontiere.

Il secondo fattore è che la crisi economica e finanziaria, che attanaglia soprattutto le economie occidentali, ha ridotto la propensione alla solidarietà e rende gli Stati meno sensibili ai problemi comuni.

Il terzo fattore, il più importante, è che non è ancora maturata adeguatamente nei leader dei Paesi della Terra la consapevolezza che l’attuale crisi economica e finanziaria chiude definitivamente un ciclo della Storia e che né l’economia né la politica potranno più tornare ad essere quelle di prima.

Poiché è opinione largamente condivisa che tale crisi abbia caratteristiche «strutturali», l’economia e la politica vanno progettate con criteri diversi e del tutto nuovi, pena il disastro collettivo.

Il modello di sviluppo adottato dai Paesi occidentali, imitato anche dai Paesi emergenti – basato sulla produzione di beni di consumo e su consumi «affluenti», sostenuti dal credito facile; su di un regime energetico tuttora fondato sui carburanti fossili; sulla dilapidazione delle risorse naturali e sganciato dal ritmo ecologico secondo il quale il patrimonio naturale è capace di rigenerarsi – ha avuto ed ha effetti distruttivi per l’ambiente.

È evidente che il modello di crescita orientato al consumo e finanziato attraverso l’accumulo del debito non può più essere perpetuato.

Per ottenere risultati apprezzabili è necessario individuare pochi e qualificanti obiettivi e programmi adeguati:

Ridurre il riscaldamento globale, limitando le emissioni di CO2 e degli altri gas climalteranti sulla base di un Patto stipulato tra i principali Stati inquinatori, in cui le riduzioni delle immissioni per ciascun Paese vengano calcolate sulla base delle emissioni pro-capite e non su quelle totali, nel necessario rispetto dei principi di equità e di trasparenza.

Per essere efficace, l’attuazione del Piano dovrebbe essere affidata a una nuova istituzione (l’Organizzazione Mondiale per l’Ambiente), operante nell’ambito dell’ONU, che dovrebbe essere dotata di effettivi poteri e finanziata da risorse proprie (quali una Tassa mondiale sulle Transazioni finanziarie e/o una Carbon tax mondiale).

Promuovere l’agricoltura sostenibile che, come ampiamente sollecitato da ONU e FAO, privilegi i metodi ecologici, rispettando la qualità dei terreni, le colture locali e i metodi tradizionali, i commerci e gli input locali, e quindi affermi il diritto al cibo per tutti.

La FAO deve essere posta in grado di realizzare il giusto riorientamento dell’agricoltura mondiale.

Coordinare gli aiuti allo sviluppo, almeno tra i Paesi occidentali, accentrandone la gestione nell’ONU, sotto il controllo di un Comitato di garanti, costituito da personalità provenienti da tutti i continenti che presentino requisiti di indiscussa capacità e integrità morale, per garantire maggior efficienza ed efficacia degli aiuti, evitando il fenomeno della corruzione. Gli aiuti dovrebbero seguire le linee fissate dai Millennium Development Goals e dalle loro successive, precise, declinazioni.

L’idea ricorrente nei movimenti ecologisti è che i Summit non servano e che sia necessario agire localmente perché difendendo l’albero per difendere la foresta, l’individuo per la specie, il fiume per il mare, si riuscirebbe a comporre un «puzzle» tale da realizzare un programma complessivo destinato a salvare il Mondo.

Evidentemente l’impegno locale non va tralasciato ma, contemporaneamente, va ribadita l’ovvia verità che i problemi di dimensioni globali vanno affrontati per il tramite di istituzioni operanti al medesimo livello.

È vero: fino ad oggi non paiono sussistere le premesse per vincere le sfide indicate. Va però evidenziato che il quadro attuale potrebbe modificarsi in modo radicalmente favorevole qualora l’Unione europea imboccasse la strada della sua unione federale; se si introducesse al suo interno una Tassa europea sulle Transazioni Finanziarie e/o una Carbon tax europea; se l’Ue fosse davvero in grado di parlare internazionalmente «con una sola voce».

Con la forza dell’esempio, quanto succede in Europa potrebbe rappresentare il paradigma di quanto, nei tempi e nei modi dovuti, potrebbe accadere nel mondo intero, contribuendo a rendere realizzabili i programmi di cui il pianeta ha bisogno.

Fonte immagine: Flickr.com

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