Se quell’idea di Europa muore ad Atene

, di Antonio Longo

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Se quell'idea di Europa muore ad Atene

Da Schuman in poi, per 60 anni l’unificazione europea è stata associata, nella mente e nel cuore degli uomini e delle donne del nostro continente, non solo all’idea della pacificazione, ma anche a quella del progresso civile, sociale e materiale. Ora, in questi anni di crisi finanziaria ed economica, stiamo correndo il serio rischio che l’idea di Europa perda questo segno distintivo e trascolori fino al punto di assumere il volto di una ‘matrigna’ che non si cura allo stesso modo di tutti i suoi figli.

Proprio in Grecia – là dove più lontanamente affonda l’origine della civiltà europea – si gioca questa partita. L’Europa che c’è concretamente oggi sta imponendo al popolo greco una serie di misure assai pesanti: licenziamenti, riduzioni degli stipendi nel pubblico impiego e delle pensioni minime. L’idea comune è che ciò sia necessario per diminuire drasticamente il deficit corrente ed il debito pubblico consolidato, condizione essenziale per ottenere gli aiuti della UE e del FMI e rimanere così nell’euro. Ed ancora, altri pensano che queste condizioni-capestro siano, a loro volta, il frutto di una ideologia ‘liberista’.

I federalisti europei devono dire chiaro e forte che non è così. Queste condizioni-capestro sono la conseguenza del fatto che, dopo tre anni di crisi, i governi (in primis la Germania della Merkel e la Francia di Sarkozy) non vogliono ancora rinunciare alla sovranità nazionale sul ‘proprio’ bilancio. E pretendono che siano solo quelli in difficoltà a doverlo fare, anche con l’imposizione della forza e lo spauracchio del ‘mercato’, usato come alibi per mascherare la loro pervicace volontà di tenersi ben stretta una pseudo-sovranità sulla spesa pubblica, fonte reale del consenso politico interno.

Così facendo, i governi nazionali hanno solo aggravato la situazione nell’eurozona. Il loro rifiuto di far emettere dall’Unione titoli europei di debito a parziale sostituzione di quelli nazionali (cosa che ne avrebbe garantito la massima solvibilità) ha indotto i mercati, e la speculazione che ne segue sempre l’onda, a pretendere rendimenti sempre crescenti per la sottoscrizione dei titoli dei Paesi in difficoltà. E ciò ha finito per far aumentare il costo del servizio di debito, prospettare misure crescenti di tagli della spesa da immolare sull’altare del dio ‘mercato’ ed innescare una recessione economica che mette a rischio la coesione sociale.

I governi nazionali non si rendono conto che stanno distruggendo, nel cuore e nella mente degli europei, il bene più prezioso che è stato costruito dal dopoguerra ad oggi in questa zona del mondo: quello della pace e della coesione sociale, come mirabilmente espresso anche nell’ode “Alla Gioia” di Schiller “Alle Menschen werden brueder….. Seid umschlungen, Millionen! Diesen Kuss der ganzen Welt!” (tutti gli uomini diventano fratelli …abbracciatevi, moltitudini! Questo bacio vada al mondo intero).

Questo ‘bene prezioso’ cominciò ad essere eroso quando i governi nazionali decisero di affossare la Costituzione europea. Non a caso colpirono i simboli di quella che poteva diventare, nei fatti, una Unione di tipo ‘costituzionale’: l’”Inno alla gioia”, la bandiera, l’euro, il 9 maggio, il motto ‘Unità nella diversità’. Infatti, con ben altro spirito e volontà politica sarebbe stata affrontata la crisi finanziaria se ci fosse stata quella Costituzione, pur così tanto criticata all’epoca!

Ad Atene si rischia di perdere il significato profondo di quel progetto di 60 anni fa, che solo Spinelli ed i federalisti avevano preconizzato ed anticipato con la loro azione.

Perché ciò non accada occorre che la logica intergovernativa che ha retto finora l’Unione (e l’Eurozona) venga sconfitta. Questa logica si esprime al massimo livello nel Consiglio europeo dove si decide in base ai rapporti di forza tra gli Stati, cioè in modo non democratico. Con questa stessa logica intergovernativa Francia e Germania vorrebbero costruire il ‘governo economico europeo’, a partire dal nuovo Trattato, quello sul ‘patto di bilancio’ (fiscal compact), ponendolo nelle mani del Consiglio, cioè di loro stessi.

Occorre invece battersi perché si affermi una vera Unione fiscale, gestita dalla Commissione, responsabile davanti al Parlamento, in cui il debito nazionale venga emesso nella forma di eurobond, con garanzia comune degli Stati dell’Eurozona, la quale diventerebbe così il titolare dei debiti sovrani dei 17 Paesi che ne fanno parte.

L’effetto immediato sarebbe la fine della crisi greca (e delle possibili altre) e la nascita di un governo economico ‘provvisorio’. E va da sé che l’elezione del 2014 potrebbe costituire, se i partiti lo vorranno, il banco di prova della legittimazione democratica di questo ‘governo provvisorio’ e della sua trasfigurazione in un ‘governo federale’ di fatto. A tal fine sarebbe auspicabile parallelamente un’iniziativa del Parlamento europeo volta a chiedere una Convenzione per riformare le istituzioni e disegnare le forme di un governo federale che nasca dal voto dei cittadini europei e che sia responsabile della politica estera, della difesa e dell’economia.

E’ la nascita della democrazia europea ed è questa la battaglia che i federalisti possono e debbono fare, assieme a tanti altri, per salvare la Grecia e portare a compimento il ‘progetto europeo’ di Spinelli e di Monnet.

Immagine: i cittadini greci protestano. Fonte: Flickr

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