Striscia di Gaza

What, who, where, when ... why???

, di Paolo Zotto

Striscia di Gaza

Naturalmente non è il numero delle vittime di un conflitto che ne determina la gravità, esso è già grave nel momento in cui mette in dubbio la sopravvivenza dell’essere umano anche solo in ordine teorico.

I numeri hanno il brutto difetto di spersonalizzare gli avvenimenti, di allontanarli da noi, di attutirne la portata, pensiamo a come risulti relativamente semplice ascoltare nella cronaca giornaliera: “ieri i morti erano 940, oggi sono 1110” , risulterebbe più difficile ascoltare: “oggi Abdel ’Adil, Fadi, Fa-res, Ismail, Amira, Fadwa, David, Esther, Vouel, Immaonel, hanno perso la vita colpiti da diversi ordigni; Fares cinque anni aiutava il padre a trasferire le proprie cose da un rifugio ad un altro, Ami-ra, trentanni, sposata da tre..” l’elencazione non di un numero bensì di persone, sarebbe diverso, decisamente, ci porterebbe a vedere la realtà della cosa, darebbe alla vicenda una concretezza che pro-babilmente non vogliamo osservare, si perderebbe il distacco che la telecamera ci regala.

Dico ciò, non per riempire le righe di inutile retorica già sentita, ma per introdurre quello che riten-go sia il nodo fondamentale della questione, ossia, cercare di evidenziare la passività che circonda la vicenda da ogni angolo visuale possibile, la non volontà di nessuno che conta nel cercare di darle un destino diverso, cercando di considerare il tutto dal punto di maggior equidistanza possibile, an-che se in una vicenda come questa mantenere una reale oggettività risulta arduo. L’Operazione Piombo Fuso parte il 27 Dicembre 2008, interrompendo la “Tahdia” (tregua) che aveva durata di sei mesi a partire da Giugno, in risposta, afferma Israele, al lancio di razzi Quassam da parte di Hamas verso il Sud del Paese. L’obiettivo con il quale viene inaugurata Piombo Fuso è impedire che Hamas riprenda sistematica-mente attività ed attacchi in particolare contro la zona di Ashqelon e Sderot.

I primi razzi lanciati su Gaza attraverso gli aerei droni, vengono indirizzati verso obiettivi “strategici”, affermando che si cercherà di colpire esclusivamente basi e uomini di Hamas. A questo punto iniziano a sorgere le prime domande, confermate poi dagli eventi. Come è possibile colpire Hamas senza coinvolgere pesantemente la popolazione civile? per di più ricordando la densità di popolazione nella Striscia di Gaza, la quale raggiunge livelli elevatissimi in zone come quelle di Gaza City. Risposta: impossibile. Giorno dopo giorno, si comprende che non si tratta esclusivamente di una risposta ad un attacco subito, si comprende invece come l’operazione avrebbe ben presto assunto i caratteri dell’invasione, attraverso le truppe di terra. E iniziano i morti, sempre di più, ogni giorno.

La comunità internazionale, oggettivamente abituata alla indistricabile situazione che è il Medio Oriente, inizialmente ritiene che si tratti dell’ennesimo attacco in cui, scappato qualche morto, la si-tuazione tornerà all’equilibrio fragile che caratterizza la regione da sessant’anni.

... Iniziano i primi appelli, inascoltati …

E i morti aumentano, inesorabilmente giorno per giorno, e quando si iniziano a vedere nelle immagini corpi di bambini che sì e no saranno in grado di parlare, ci si chiede se negli “obiettivi strategici” rientrino anche loro, se anche loro sono dei pericolosi sodali di Hamas.

Quell’Hamas, pomo della discordia, rispetto al quale il più innocuo quesito che può essere posto è se davvero non si potesse rendere conto del fatto che colpire ripetutamente Israele avrebbe comportato una rispos-ta, contro il popolo Palestinese tutto. Evidentemente nelle priorità dell’organizzazione non vi è al primo posto l’incolumità del popolo per la libertà del quale afferma di agire, quell’Hamas che nel suo statuto prevede l’annientamento di Israele. Cronologicamente parlando, la situazione diventa sempre più “sensibile” così come è stata definita da alcuni analisti, e ci si aspetterebbe un intervento in forze delle Nazioni Unite, di quelle Nazioni Unite che dovrebbero poderosamente entrare nel merito della questione, impedire che la situazione di apartheid che i palestinesi vivono in Cisgiordania e nella Striscia si trasformi in un massacro e al tempo stesso dare forza all’Autorità Nazionale Palestinese di Abu Mazen, il grande sconfitto politico in questo conflitto, colui che più porterà i segni in termini di legittimazione e possibilità di dare sostanza ed attuazione alle proprie posizioni e ai propri programmi.

Avviene l’opposto, l’ONU ha dimostrato tutti i propri limiti, o meglio i limiti che gli vengono imposti dalle sue componenti, gli Stati, alla faccia del progetto ambizioso per il quale è nato, evidenziando ancora una volta l’impossibilità di azione che lo caratterizza. Il problema è molto più

... l’autorità morale dell’ONU, nuovamente sconfitta ...

ampio del solito usurato discorso riguardo la fragilità operativa o l’anacronistica formazione del Consiglio di Sicurezza: nel corso di questo conflitto sono state colpite “anche” le Nazioni Unite, quei luoghi che nei conflitti di qualsiasi tipologia e colore sono sempre stati considerati come isole intoccabili per chiunque, non sono state risparmiate, e con esse le vite di tutte quelle persone che cercavano un rifugio. Se anche l’autorità morale delle Nazioni Unite viene superata in questo modo, è difficile rintracciare il limite, ammesso che esista. Il resto della diplomazia internazionale ha mostrato il più totale e gratuito disinteresse, muovendosi attraverso passaggi rituali privi di una reale determinazione, limitandosi ad una flebile e sussurrata richiesta di cessate il fuoco.

La condizione in termini di “confini politici” che caratterizza la Striscia di Gaza, è pressoché unica al mondo, è in tutto e per tutto una prigione politica, con confini interpretabili nel senso più fisico del termine, acqua, cibo, elettricità, tutto dipende da volontà altrui. Il Passo di Rafah, con l’Egitto e Valico di Kerem Shalom sono chiusi per le persone, Sufa e Karni sono sotto controllo Israeliano, niente passa di lì, e nessuna organizzazione internazionale si può far carico di un controllo a questi valichi, per garantire gli aiuti umanitari, né L’UNHCR (Alto Com-missariato ONU per i rifugiati), né la Croce Rossa, che non viene minimamente considerata, così come non vengono considerati i suoi appelli al rispetto delle Convenzioni di Ginevra.

L’impotenza delle persone comuni rispetto a realtà di questa grandezza è palese, comprensibile e giusta, ma se i potentati mondiali non fanno nulla più che storcere il naso, qualche domanda sorge spontanea, speriamo anche delle risposte, intanto la società civile continuerà levare la sua voce in-dignata e speriamo che si possa riappropriare del ruolo di coscienza dei governi che le compete, ammesso che le sia consentito.

L’esercito israeliano si è ritirato dai confini. La situazione sembra tornata pacifica. C’è da vedere quanto tempo passerà prima che sia giustificata l’ennesima lezione israeliana ai palestinesi.

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