Turchia e Europa promessi sposi, quel matrimonio non s’ha da fare!

, di Matteo Minchio

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Turchia e Europa promessi sposi, quel matrimonio non s'ha da fare!

L’Ambasciatore Boris Biancheri ne ha viste tante nella sua lunga carriera e fa bene a definire l’Europa e la Turchia gli eterni fidanzati. Da più di quaranta anni infatti Bruxelles e Ankara si rincorrono trovando sulla loro strada sempre qualcuno che si mette nei panni di Don Rodrigo per bloccare le nozze. Quattro anni fa, proprio quando dall’accordo d’associazione si era giunti a un negoziato per l’adesione, fu Nicolas Sarkozy a dire “se la Turchia fosse europea, lo si saprebbe!”

Apparentemente la provocazione fu lanciata per cavalcare un malessere popolare e poter mettere in difficoltà il Presidente Chirac favorevole ad un’adesione turca all’Unione Europea. Ormai sembra esser divenuta una questione di principio che forse si trasformerà in un nuovo veto di golliana memoria. Dal punto di vista dello stato dei negoziati, il dissenso francese non è l’unico problema.

Come mostra il rapporto redatto nel mese d’ottobre dalla DG Allargamento, dei Trentatré capitoli soltanto uno è stato chiuso (Ricerca), mentre alcuni sono in sospeso ed altri non sono nemmeno aperti. Sul piano dei diritti umani si riscontrano luci ed ombre. Un tema particolarmente sensibile è la libertà di stampa, che in passato ha visto numerosi processi verso giornalisti e scrittori per questioni legate alla libertà di espressione basati sull’articolo 301 del codice penale turco (es. Orhan Pamuk). Fortunatamente l’uso di questo strumento è più raro, ma la magistratura resta conservatrice e repressiva, a tratti autoritaria. Recentemente è però emerso un fenomeno nuovo, quantomeno in Turchia, ovvero lo scontro tra il governo e la stampa. Il gruppo Dogan, fortemente antigovernativo, ha scatenato una campagna mediatica in nome della tradizione laicista della Turchia affiancata da un attacco personale ad Erdogan per questioni legate a dei fondi esteri. Il premier, furibondo, ha proposto un boicottaggio contro il gruppo e ha sguinzagliato gli esattori delle finanze che hanno comminato una megamulta per evasione fiscale al gruppo considerata insolubile. Tale gesto ha evidentemente preoccupato la Commissione, che l’ha prontamente segnalato nel documento.

Se ci sono sforzi da parte turca sono su un altro piano, specialmente in ciò che Davutoglu definisce la normalizzazione delle relazioni con i vicini. Tale condotta è stata letta dai suoi delatori come neo-ottomana e contraria ai principi del kemalismo. In realtà si tratta di una legittima politica estera di una potenza regionale che trova in quel contesto ampi margini d’azione. Tra i successi più rilevanti vi è la normalizzazione dei rapporti con l’Armenia peraltro sfruttando la sempre valida diplomazia del pallone. E’ rilevante che la questione del genocidio armeno non sia più un tabù della politica, ma sia passata ad essere una questione per gli storici. Il tema era divenuto col tempo imbarazzante, visto le forti pressioni esercitate dalla diaspora armena in paesi come la Francia o gli USA. Certo, la disinvoltura con la quale Ankara pratica queste relazioni può suscitare delle incomprensioni come la giaculatoria contro Israele di Erdogan a Davos sulla questione di Gaza o i suoi discutibili rapporti con Ahmadinejad. Tuttavia Bruxelles ha incoraggiato tale linea dell’AKP, seppur tale campo non riguardi direttamente i negoziati ma sia funzionale alla risoluzione dei conflitti di confine aperte e delle situazioni che non rispettano i principi di Copenaghen.

Sarkozy sostiene che Ankara non può aprire i capitoli “istituzionali” del negoziato perché la prospettiva è quella di un partenariato privilegiato, espressione che Davutoglu ritiene un insulto. Come uscirne? In tempi antichi, vicino Ankara vi era una città chiamata Gordio il cui mito rimase in eterno legato al nodo che Alessandro Magno seppe sciogliere con un taglio netto di spada. Certamente la questione cipriota non è meno complicata perché il circolo vizioso in cui si è caduti è irresolubile senza un gesto politico. Il negoziato per l’adesione è bloccato a causa delle sanzioni che Cipro ha richiesto per l’embargo di fatto praticato da Ankara rispetto alle navi greco-cipriote. Tale embargo derivante dal mancato riconoscimento di Cipro in seguito ai fatti del 1974 è in violazione dell’accordo d’associazione che lega la Turchia e l’UE e prevede una zona di libero scambio. In pratica, soltanto un accordo sulla riunificazione cipriota, che tuttora latita, può spingere Ankara a riconoscere Cipro e quindi a sbloccare il negoziato.

In Italia sussiste un consenso di tutte le forze politiche come testimonia Ferrari e ci ha ricordato il nostro Stefano Torelli. Il nostro paese non è l’unico a sostenere questa posizione, ma è affiancata apertamente dalla Spagna o più velatamente dalla Gran Bretagna con il sostegno della Presidenza svedese. Per ora godiamoci il Presidente Napolitano che veste la tonaca da Fra Cristoforo preconizzando al collega Abdullah Gul che ”Verrà un giorno!” nel quale anche Ankara sarà europea, anche se in realtà tale prospettiva è incerta.

Immagine: fonte Flikr

Tuoi commenti
  • su 20 dicembre 2009 a 13:00, di Roberto Avenosi In risposta a: Turchia e Europa promessi sposi, quel matrimonio non s’ha da fare!

    La Turchia da tempo stà abbandonando la strada laica indicata da Ataturk. L’islam non è una religione, è un modo di vivere assolutamente inacettabile per una società evoluta. Può andare bene per una tribù di cammellieri pronti a derubare gli indifesi ma non per noi. Che la Turchia cambi registro o rimanga dove e come è.

  • su 24 dicembre 2009 a 16:35, di Matteo Minchio In risposta a: Turchia e Europa promessi sposi, quel matrimonio non s’ha da fare!

    Caro Roberto, La riscoperta della cultura tradizionale islamica nella società turca non è una rinuncia al principio di stato laico radicato dal kemalismo nella costituzione di quello stato. è la riscoperta di un’identità propria di quella nazione che era stata lungamente rinnegata e la vittoria dell’AKP ha significato un maggiore pluralismo in tal senso. L’approccio con il quale i politici di quel partito guardano la politica è simile a quello dei cristiano-democratici europei. Tradizionalisti nei valori, ma non confessionali. Il giudizio di valore sull’Islam non è offensivo e intollerante verso quella cultura. Se l’Europa vuole dimostrarsi plurale e aperta deve accettare anche tali diversità altrimenti diventerà sempre più reazionaria e xenofoba.

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