Queste trasmigrazioni hanno reso drammaticamente desueta la Convenzione di Ginevra “per la protezione delle persone civili in tempo di guerra” che appare ora inefficace di fronte alle nuove ragioni che costringono persone a fuggire da guerre, disastri ambientali e violenze tribali e il Regolamento di Dublino.
Ci sono nel mondo più di sedici milioni di rifugiati di cui i tre quarti hanno trovato asilo fuori dall’Europa mentre nell’UE essi non superano l’1% della popolazione residente. Per dare un termine di paragone, l’Europa – che è solo in parte terra di immigrazione (legale, illegale, di richiedenti asilo) – è stata per decenni terra di emigrazione: dal 1836 al 1914, trenta milioni di europei hanno cercato e trovato accoglienza negli USA.
Il Trattato di Lisbona ha definito le politiche relative di asilo e di immigrazione, fondandole sui valori del rispetto della dignità umana, dell’uguaglianza, della solidarietà, dello stato di diritto e del rispetto dei diritti umani.
Contrariamente a quel che hanno deciso i capi di Stato e di governo dell’UE nel giugno 2018 e alla proposta della Commissione von der Leyen nel suo recente “ Migration Pact ”, il Trattato stabilisce (articoli 77, 78 e 79) che tutte le decisioni legislative in materia di visti, di asilo e di immigrazione sono adottate dal PE e dal Consiglio secondo la procedura legislativa ordinaria che prevede il voto a maggioranza qualificata nel Consiglio.
Tuttavia, di fronte alle drammatiche ondate migratorie e di richiedenti asilo, ha dimostrato una notevole inadeguatezza nell’affrontarle.
Gli arrivi crescenti di profughi da zone devastate dalla guerra o di persone in fuga da persecuzioni politiche, dalla fame, da disastri ambientali – che potrebbero provocare nei prossimi anni nuovi flussi migratori di milioni di persone - e dal “ land-grabbing ” hanno creato gravi problemi interni ai vari paesi, lacerato gli animi degli europei e fatto emergere ataviche paure con conseguenti e inaccettabili forme di chiusura.
Per affrontare in modo efficace questi problemi serve una vera politica unica europea che sia in grado di gestire in modo equilibrato il complesso fenomeno migratorio e di graduare opportune formule di accoglienza insieme alla protezione dei diritti, alla promozione dello sviluppo umano e all’inclusione.
In questo quadro appare necessario istituire, sulla base degli art. 33 e 77 TFUE, una forza europea di controllo delle frontiere esterne per le merci e le persone sul modello della “ US Customs and Border Control ”.
Una politica che provveda ad aiutare adeguatamente lo sviluppo economico dei paesi da cui partono i migranti e che intervenga per ridurre ed eliminare i conflitti e per garantire la sicurezza degli operatori delle organizzazioni non governative.
Una politica che individui le capacità di assorbimento e integrazione dei migranti sul territorio europeo, si faccia carico di affrontare concretamente le multiformi sfide di un corretto inserimento e dell’indispensabile inclusione e riconosca nelle città i meccanismi e i motori dell’integrazione perché è tramite le città d’accoglienza e della loro cultura democratica che i migranti diventano cittadini europei.
Una politica di pace nel Mediterraneo anche attraverso la creazione di peace corps europei con funzione di mediazione nei conflitti. Una politica che sappia anche spiegare alle popolazioni europee le opportunità rappresentate dall’arrivo dei richiedenti asilo e dei migranti economici.
In questo spirito il Movimento europeo ritiene che, insieme al Commissario europeo responsabile per tutte le politiche che fanno riferimento alle questioni migratorie e, separatamente dagli aspetti della sicurezza interna, gli stati membri dovrebbero affidare le politiche migratorie a dei ministri competenti per le questioni del welfare e non, già come avviene in tutti gli Stati membri, ai ministri degli interni.
A nostro avviso una vera politica europea migratoria deve contenere misure per garantire la libertà di movimento per la ricerca del lavoro, per la parità di accesso al mercato del lavoro, pari opportunità, condizioni di lavoro eque, salute e sicurezza sul luogo di lavoro, assistenza sanitaria, condizioni e trattamento dei lavoratori stranieri che ritornano in patria prima della fine del periodo minimo per la pensione e assistenza all’infanzia.
In effetti, esistono vari modelli cui fare riferimento: dal considerare i migranti una risorsa per le aree interne, spopolate e in declino economico, dove possano diventare un elemento di sviluppo; all’individuazione di politiche a “migrazione circolare”, facilitando così l’arrivo di lavoratori e, successivamente, il loro rientro in patria con la possibilità di mantenere relazioni culturali e finanziarie con i paesi di accoglienza.
Il Movimento europeo sostiene l’apertura di vie di accesso legali attraverso corridoi umanitari per chi fugge dalle guerre, dalla fame e dai disastri ambientali, la tutela dei minori non accompagnati e la facilitazione dei ricongiungimenti familiari, l’accelerazione delle procedure per la concessione dei visti umanitari e di permessi di protezione temporanea, la creazione dell’Agenzia Europea d’Asilo e programmi di resettlement obbligatori, uno ius soli europeo.
Noi condividiamo la proposta di individuare i beneficiari di protezione internazionale nei paesi africani e mediorientali dove i movimenti dei richiedenti asilo si addensano, attraverso un sistema di presidi coordinato a livello europeo preferibilmente collocati presso le delegazioni dell’UE nei paesi terzi e assicurato dalle grandi organizzazioni umanitarie, che accolgano chi si rifugia in quei territori, allo scopo di sottrarli al ricatto delle organizzazioni criminali e dei trafficanti di esseri umani. Si dovrà garantire successivamente il trasferimento dal presidio internazionale agli Stati di destinazione, dove poter formalizzare la richiesta d’asilo fissando quote eque di accoglienza per ciascuno Stato.
In questo spirito riteniamo che il Regolamento di Dublino debba essere abolito e che siano adottare misure europee che siano fondate su un approccio che consideri la politica migratoria e di asilo come una risposta a una crisi strutturale e non emergenziale, che escluda meccanismi coercitivi, che introduca i principi del percorso, dell’esperienza professionale e delle aspirazioni dei richiedenti asilo, che preveda l’applicazione del contributo di solidarietà non solo nel caso di autosospensione dal sistema ma anche di mancata esecuzione delle decisioni in materia di ricollocazione.
Noi riteniamo anche che l’UE e gli Stati membri all’interno delle Nazioni Unite – e in particolare i membri permanenti e non permanenti europei nel Consiglio di Sicurezza – debbano porre la questione dell’aggiornamento della Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 che limita la protezione internazionale “a chiunque…nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza…”
La politica di accoglienza e migratoria deve essere accompagnata da una rinnovata e rafforzata politica di cooperazione e di aiuto nel quadro di un piano europeo di investimenti fondato sul partenariato pubblico/privato intensificando il coinvolgimento dei partner socio-economici europei e tenendo conto della situazione politica e dei regimi nei paesi sottosviluppati e in via di sviluppo.
É necessaria una politica euro-mediterranea che garantisca la pace, la sicurezza e la solidarietà nella regione rilanciando l’idea di un “anello degli amici” e avviando progetti concreti come quelli di un rafforzamento del ruolo delle BEI e della BERS non escludendo la possibilità di nuovi strumenti finanziari specializzati nell’area, di Università miste con parità fra il Nord e il Sud nel quadro di un’effettiva mobilità di studenti, ricercatori e docenti e di periodiche “assise” della società civile e delle comunità locali che permettano un libero confronto e lo sviluppo di una cittadinanza attiva. A questa questione si unisce l’idea di un Erasmus euro-mediterraneo.
In Africa e in particolar modo nelle relazioni con l’Unione africana, l’UE può svolgere – diversamente dalla Cina e dalla Russia - un’azione positiva che accompagni (e condizioni) gli strumenti della cooperazione finanziaria con azioni per costruire o rafforzare la governance democratica, l’evoluzione verso lo stato di diritto e il rispetto della dignità umana apparsi in questi anni come una leva fondamentale per la crescita economica.
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