La costruzione europea è fortemente collegata alla riconciliazione franco-tedesco ma non è limitata a questa. L’Italia ha egualmente giocato un ruolo importante nella nascita dell’Unione europea attuale, grazie a figure come quella dello statista Alcide De Gasperi.
La gioventù nell’Impero austro-ungarico
Nato nel 1881 in Trentino, Alcide De Gasperi crebbe, come molti padri fondatori dell’Unione europea, in un’area transfrontaliera. Fu quindi testimone delle divisioni nazionali in giovane età. Pur essendo ai tempi sotto l’Impero austro-ungarico, la popolazione del Trentino era in maggioranza italiana, le tensioni linguistiche erano quindi elevate.
Fin da giovane, De Gasperi si attivò in ambito politico. All’età di 30 anni, venne eletto deputato al Parlamento di Cisleitania (la parte austriaca dell’impero austro-ungarico, l’ungherese era chiamata Transleitania) dove difese i diritti degli italiani, nel frattempo, scrisse per il giornale Il Trentino, di cui divenne anche direttore.
Durante la Prima guerra mondiale, il suo giornale fu censurato dalle autorità austro-ungariche, e con il Parlamento inoperoso, si dedicò ad aiutare i rifugiati di guerra. [1]
L’opposizione al fascismo
Al termine della Prima guerra mondiale, il Trentino venne annesso all’Italia. Alcide De Gasperi aderì al Partito Popolare Italiano (PPI) e divenne a quarant’anni Deputato italiano.
Inizialmente favorevole al Governo di Mussolini, vi si contrappose ai primi segnali di autoritarismo. L’opposizione al fascismo portò alla dissoluzione del suo partito e, successivamente, alla sua detenzione. Grazie all’azione clericale riuscì, comunque, ad ottenere la libertà e iniziò a lavorare come traduttore all’interno del Vaticano.
Per quattordici anni non svolse alcuna attività politica, ma rimase all’interno delle fila del Vaticano, intrecciando diversi legami politici e culturali.
L’impegno per la democrazia italiana
Nel 1942, all’età di sessantuno anni, Alcide De Gasperi gettò le basi per la fondazione della Democrazia Cristiana (DC) e, con la fine della dittatura del 1944, divenne Ministro degli Affari esteri. L’anno successivo, fu eletto Presidente del Consiglio e il suo partito ottenne la maggioranza dei voti alle elezioni legislative, ciò gli permise di introdurre una politica di democratizzazione. È proprio durante il suo mandato che l’Italia, il 2 giugno 1946, divenne, attraverso un referendum, una Repubblica.
Il Governo di De Gasperi non strinse mai alleanze con l’altra grande forza del panorama politico italiano, il Partito Comunista Italiano (PCI), ma, malgrado le resistenze degli Stati Uniti, lo fece con altri partiti progressisti dell’area di centro-sinistra, come il Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI). Inoltre, sebbene cattolico convinto, credente e praticante, si oppose a una troppo forte influenza della religione nella democrazia italiana; rifiutando di allearsi con la destra durante le elezioni amministrative Roma, provocò un incidente diplomatico con il Vaticano.
Economicamente, il suo mandato corrispose con l’inizio del miracolo economico italiano: accettò il piano Marshall, che contribuì a dinamizzare l’economia italiana, permettendole di ricostruirsi dopo la guerra. De Gasperi introdusse riforme sociali, migliorò il sistema sanitario, lanciò un piano di costruzione di alloggi per far fronte alla carenza del dopoguerra e migliorò le condizioni di lavoro. [2]
Il ruolo pivotale nella costruzione europea
Fin dai primi anni del Dopoguerra, De Gasperi giocò un ruolo chiave nella pacificazione dei rapporti nell’Europa. Durante i negoziati di pace, oltre a evitare perdite troppo importanti per l’Italia (come la Valle d’Aosta o l’Alto-Adige), segnò l’accordo De Gasperi-Gruber con l’Austria in cui promise di rispettare i diritti della minorità tedesca nel Trentino e nel Sud Tirolo, contribuì alla riconciliazione tra Germania e Francia, ciò rifiutando di siglare il Trattato di Bruxelles del 1948, che prevedeva la composizione di una forza di difesa contro una potenziale minaccia tedesca, e mediando le controversie tra i due Stati nel Saarland.
Sognando di una Federazione europea, sostenne convintamente la Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950 e portò l’Italia a essere, con Francia, Germania e Paesi del Benelux, membro fondatore della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA).
Fu inoltre fortemente coinvolto nel progetto della Comunità Europea di Difesa (CED) e fu favorevole all’unione economica europea. [3]
Gli ultimi anni
Il suo mandato da Presidente del Consiglio della Repubblica italiana terminò nel 1953, quando si dimise in seguito alle critiche alla legge elettorale che il suo Governo favorì, la cosiddetta “legge truffa”, vista da tanti come eccessivamente favorevole nei confronti del partito più votato.
Continuò a occuparsi di Europa, facendo il possibile perché il Parlamento francese si esprimesse positivamente sulla CED, anche perché preoccupato dalla Guerra Fredda.
Non riuscì in quest’ultima impresa e nemmeno riuscì a godere a lungo dell’opera europea di cui è tra i padri fondatori. Morì nel 1954, qualche mese dopo aver pronunciato a Parigi il discorso dal titolo “La nostra patria Europa”, ultimo passo memorabile di un uomo che ha lasciato un segno indelebile nella storia italiana ed europea.
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