Aldo Moro: un nascosto semi-federalista

, di Michelangelo Roncella

Aldo Moro: un nascosto semi-federalista
Aldo Moro

Ad Asti, la sezione locale del MFE ha voluto omaggiare Aldo Moro con un convegno sul suo pensiero europeista: [1] un uomo dalla personalità dello Statista, un “cavallo di razza” della Democrazia Cristiana insieme ad Amintore Fanfani. Un politico tristemente conosciuto e ricordato per il suo rapimento e la sua uccisione ad opera delle Brigate Rosse avvenuta (coincidenza altrettanto triste) il 9 maggio 1978, giorno dell’Europa. Docente universitario, oratore (diremmo oggi) anti-populista, sostenitore del dialogo e della mediazione alta e onesta. Promotore del Compromesso Storico. Più volte Ministro e Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Presidente della Repubblica mancato. [2]

Erano gli anni 70, il decennio più turbolento del secondo dopoguerra: l’Europa vide un’ondata di violenza politica, con gli anni di piombo in Italia, nella Germania Ovest e, con “The Troubles”, in Irlanda del Nord. Nel medio oriente, dopo la Guerra dello Yom Kippur, i paesi arabi dell’OPEC scoprirono il petrolio come arma politica provocando la prima crisi energetica. Dall’altra parte dell’Atlantico gli Stati Uniti uscirono con le ossa rotte dopo la guerra del Vietnam e lo scandalo Watergate, mentre più a Sud i paesi dell’America Latina erano sotto regimi militari. Nel blocco sovietico, Breznev fece reprimere la Primavera di Praga.

Eppure, tornando nel vecchio continente, si sentiva una voglia di cambiamento e di apertura con le cadute dei regimi autoritari in Spagna, Portogallo e Grecia e la Ostpolitik operata da Willy Brandt. Questa volontà fu portata avanti anche da Aldo Moro, il quale ha potuto mettere il suo “granello di sabbia” nella costruzione europea.

Questo contributo fu portato avanti dallo Statista in veste di Ministro degli Esteri (1969-1974) e poi Presidente del Consiglio italiano [3] (1974-1976), nonché Presidente di turno della CEE nel semestre (luglio-dicembre 1975). Si può anche aggiungere la sua precedente esperienza come Ministro della Pubblica Istruzione (1957 al 1959), con l’istituzione dell’Educazione civica come materia scolastica. [4] Nello specifico, le sue impronte europee [5] furono la Conferenza di Helsinki [6] e l’elezione diretta del Parlamento Europeo.

La conferenza di Helsinki

Aldo Moro, uno dei pochi Ministri degli Esteri longevi, adottò un approccio umano e inclusivo, coinvolgendo il maggior numero possibile di collaboratori nelle attività della Farnesina. Questo atteggiamento rispecchiava la sua visione di politica estera volta a promuovere, attraverso il dialogo, un sistema condiviso di valori democratici in contrapposizione alla concezione della politica internazionale basata sui rapporti di forza, tipica di molti diplomatici, Kissinger in testa. [7]

Sulla base di questa visione, Moro perseguì l’impegno per una conferenza paneuropea, voluta anche dai paesi dell’Europa sotto influenza sovietica per avere un riconoscimento della sfera comunista sulla metà orientale dell’Europa. Questa iniziativa non era ben vista dagli Stati Uniti che, in un’ottica di equilibrio di potenza, la considerarono come un cedimento dell’Occidente. Moro, andando oltre queste logiche (pur considerandole), mosse i primi passi con la sua partecipazione al Vertice dell’Aja, promosso nel 1969 da Georges Pompidou e la sua visita a Mosca nel 1971, con il disappunto di Washington. Il riavvicinamento tra le “due Europe” prese il nome di “Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa” (CSCE – oggi, OSCE), un’iniziativa che durò dal 1973 al 1975, anno in cui 35 paesi europei, “superando” la “cortina di ferro”, firmarono le “Raccomandazioni finali delle consultazioni di Helsinki”, che fecero da riferimento all’Europa nelle relazioni internazionali, fino alla nascita dell’Unione Europea con Maastricht. Due elementi devono essere considerati: sul piano politico, oltre a un’azione compatta di tutti i paesi della CEE, la stessa Comunità Europea firmò il suo primo atto esterno, grazie alla “doppia veste” di Aldo Moro come Presidente del Consiglio italiano e presidente di turno della CEE. Sul piano del contenuto, l’atto finale della Conferenza incluse nei tre “cesti” [8] l’impegno al rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, tema allora inedito nella politica internazionale.

Questa conferenza oltre a voler dare all’Europa un rinnovato ruolo politico sul piano mondiale, mirava non solo a scardinare l’allora sistema dei due blocchi, ma anche di scalfire la cruda realpolitik, basata sul principio di equilibrio di potenza, che spesso metteva da parte gli ideali di democrazia, libertà e diritti e trascurava le opinioni pubbliche. Tuttavia, il risultato della Conferenza di Helsinki non è stato un trattato giuridico con degli obblighi, bensì un atto di alto significato politico. Inoltre nonostante l’impegno in favore dei diritti umani, questi trovavano ostacoli sul piano pratico, in quanto, si rispettano i principi classici della politica internazionale, come quelli di non ingerenza e di inviolabilità delle frontiere.

L’elezione diretta del Parlamento Europeo

Oltre al contributo all’“esterno” della Conferenza di Helsinki Aldo Moro giocò un ruolo importante anche nell’eleggibilità diretta del Parlamento Europeo (che prima si chiamava Assemblea): il primo passo, sempre nella “doppia veste” di presidente italiano ed “europeo”, fu l’avvio di uno studio sul tema affidato al Consiglio Affari Esteri.

L’elezione diretta del Parlamento Europeo (già prevista nel Trattato di Roma del 1957) si realizzò dopo un lungo e tortuoso percorso che è culminato nel 1976 a con la firma a Bruxelles dell’“Atto relativo all’elezione dei rappresentanti nell’Assemblea a suffragio universale diretto” [9] e il suo arrivo alla Camera dei Deputati, dove lo Statista pugliese fu, per suo volere, relatore del disegno di legge per la ratifica di quell’atto per mostrare il suo forte interesse a rafforzare l’istituzione comunitaria e “testimoniando così la sua determinazione di dare, per quanto gli era possibile, il proprio contributo [al] processo di […] integrazione europea.” [10]

Durante i lavori parlamentari tra novembre 1976 e febbraio 1977, Moro cercò il più ampio consenso possibile, tenendo conto (e assicurando) le diversità politiche sul tema europeo, in quanto in quel periodo si stava forgiando le nuove regole del gioco del nuovo centro di potere decisionale, nonché nuova arena politica. Come risultato, il 17 febbraio 1977 la Camera ratificò ad ampia maggioranza [11] [12] l’Atto di Bruxelles che passò in Senato il mese successivo (con relatore Sergio Fenoaltea), anche lì approvato a larga maggioranza. Il resto lo sappiamo tutti: le prime elezioni del Parlamento Europeo si tennero nel 1979 e si sono ripetute ogni cinque anni fino a oggi (le ultime, quelle del 2019, hanno rappresentato la nona tornata elettorale nonché il quarantesimo anniversario).

Il suo discorso alla Camera tenuto, il 15 febbraio 1977, sembra pronunciato ieri e merita di essere pubblicato, condiviso e persino gridato ai quattro venti: Ha parlato del Mediterraneo e dell’Africa, facendo (allora) riferimento alla Grecia e dei paesi Iberici, che erano prossimi ad entrare nella Comunità. Ha parlato dei rapporti con gli Stati Uniti, auspicando un rapporto di fiducia, ma anche più equilibrato, rivendicando l’autonomia dell’Europa (con buona pace di Kissinger). Ha parlato dell’Europa Orientale, allora sotto influenza sovietica, che stava vivendo una fase di apertura con la Ostpolitik di Brandt e la Conferenza di Helsinki (vedi sopra). Ha rivolto un pensiero agli Italiani emigrati nei paesi della Comunità Europea, che li considerava già cittadini europei. Ha citato il Terzo Mondo, visto da Moro come un potenziale interlocutore, che aspirava a essere la forza alternativa al blocco sovietico e quello statunitense.

Facendo il punto della situazione del processo d’integrazione europea, Moro anticipò, volente o nolente, il tema della comunicazione: “Naturalmente sappiamo bene che vi sono altre, molte altre, mete da raggiungere. Ma credo che non sarebbe giusto – tenendo conto soprattutto delle difficoltà, delle disparità di vedute, della unanimità da raggiungere – non rilevare i progressi che, qualche volta silenziosamente, sono stati realizzati nel corso di questi anni”. [13]

Ma il passaggio che fa da risalto e (forse) sembrerebbe fare da anello di congiunzione tra la sua visione europea e il federalismo, sono queste parole: “Vi è una vocazione europea connaturale al popolo italiano. Credo si debba sottolineare (non so in quale misura, ma certamente in larga misura) che nelle aspirazioni italiane sull’Europa vi è una autentica vocazione federalista.” [14]

Oltre alla considerazione di queste mete e a questa vocazione, Moro sembrava farsi proprio l’ultimo passaggio, oramai conosciutissimo, del Manifesto di Ventotene quando segnalava le difficoltà, passate e future, di unire l’Europa in senso federale. Difficoltà che pur ostacolando il cammino, non dovevano (e non devono) essere considerate un impedimento a una “vera compiutezza all’Europa”. Il suo discorso si concluse con un invito a vivere con piena consapevolezza “il passaggio da una fase nazionale ad una fase autenticamente comunitaria ed unitaria nel nostro continente”: Moro, molto probabilmente, non si riferiva al “salto federale”, ma sicuramente auspicava un’uscita della politica dall’ottica nazionale.

L’europeista Aldo Moro e il federalismo

Questo attivismo portato avanti negli anni 70 mostra senza alcun dubbio che Aldo Moro era un convinto europeista. Tuttavia non è certo sapere se era un vero proprio federalista: dai discorsi in Parlamento e negli ambienti comunitario e internazionale, si può notare che ci sono, ovviamente, molti riferimenti filoeuropei, mentre in alcuni passaggi sembra di trovare elementi più cosmopoliti che federalisti.

Innanzitutto, Aldo Moro sentiva la necessità di un’unità politica europea che permettesse al vecchio continente, non solo di recuperare la sua autonomia, ma anche di avere un ruolo incisivo all’esterno.

Inoltre lo Statista e il federalismo hanno come valore di riferimento la pace, considerata una condizione necessaria per garantire l’attuazione dei valori come democrazia, libertà, giustizia (anche sociale) e sviluppo, non solo economico ma anche morale e civile.

Un pensiero cosmopolita che avvicina Moro ai federalisti è l’importanza dell’opinione pubblica, fino ad allora trascurata nella politica estera: il leader democristiano aveva previsto l’emergere anche a livello mondiale di questo attore sociale (e politico) eterogeneo e spesso non uniforme: basti pensare al movimento per una globalizzazione alternativa, oppure i più recenti Fridays for Future. Tuttavia, l’opinione pubblica è un soggetto molto fragile, in quanto rimane prigioniera dei confini statali che possono vanificare la sua efficacia e quindi non portare la politica oltre i confini nazionali.

Inoltre, Moro sapeva che la sua azione politica avrebbe avuto ostacoli e avversari, e fece quindi un uso costruttivo del realismo e del pragmatismo per vincere quelle due battaglie. Passando alle differenze, ecco alcune parole che pronunciò Moro nel 1967: [15] «Se io mi domando come sarà il mondo di domani, credo di poter dire che esso sarà pacifico se sarà democratico.» Nonostante questo auspicio, non pare esserci elementi certi di federalismo mondiale: infatti Aldo Moro vedeva nell’Europa politica come un importante attore con una funzione “riequilibratrice” in un mondo multipolare, promotore di valori da diffondere con il dialogo e la cooperazione, attraverso anche, ma non solo, l’“arma” economica del Mercato Comune, senza comunque trascurare un po’ di “sano” realismo e le opinioni pubbliche.

Infine c’è anche il tema dell’identità europea: questo elemento, delicato e complesso è considerato da molti fondamentale per creare un’entità politica sul vecchio continente, mentre l’ottica federalista, l’identità senza sminuirla, non la considera così essenziale: Aldo Moro sembra adottare una via di mezzo: “L’identità europea […] non sembra rappresentare […] qualcosa che viene “prima” dell’ unificazione, bensì la sua anima nascosta e, allo stesso tempo, il suo passaggio finale […] che suggella l’avvenuta nascita dell’Europa come soggetto autonomo, unitario, attivo e responsabile.” [16]

La Federazione Europea è una questione di ottica: per un federalista, si tratta del l’applicazione del federalismo sul continente, in una prospettiva mondiale. Mentre per un europeista, è uno dei possibili assetti politici per un’Europa unita. A quanto pare, Aldo Moro apparterrebbe alla seconda categoria, e la“vocazione federalista” pare maturata soprattutto durante la battaglia per l’elezione diretta del Parlamento Europeo.

Agli occhi dei più, la visione europea di Moro può sembrare una sorpresa: non è certo sapere l’origine di questa sua prospettiva, tuttavia essa si manifestò anche durante l’Assemblea Costituente del biennio 1946-47, in cui l’allora giovane Moro, molto attivo nella “Commissione dei 75”, discusse con Emilio Lussu se includere un esplicito riferimento alle organizzazioni europee nella seconda parte dell’Articolo 11 della Costituzione Italiana. [17] Il giovane esponente democristiano convinse lo storico militante antifascista che questo riferimento era già incluso tra le organizzazioni internazionali, menzionate alla fine di quell’articolo, con lo scopo di “assicurare la pace e la giustizia tra le Nazioni” senza ricorrere alla guerra “come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. [18]

Il fatto che non si conosca molto di questo tratto tocca molte personalità della Prima Repubblica (Ugo la Malfa, tanto per citarne uno): questo può essere dovuto al fatto che, almeno in Italia, programmi scolastici di storia non vanno oltre la seconda guerra mondiale. Non è da escludere inoltre il “Nazionalismo metodologico”, che è il modo di vedere, spesso inconsapevolmente, la realtà in un’ottica nazionale.

Federalista o no, sicuramente i discorsi di Aldo Moro sono rimasti di una triste e pesante attualità: anche se il contesto ora è diverso, la sostanza non è cambiata molto, soprattutto nel ruolo dell’Europa, che nonostante i progressi resta ancora il grande assente. Aldo Moro rimarrebbe molto deluso non solo per l’attuale situazione politica in generale, tutt’altro che pacifico e democratico, ma nel vedere i suoi sforzi, in particolare la Conferenza di Helsinki, resi vani. Da buon docente, anche sul piano umano, ha lasciato degli insegnamenti che non vanno assolutamente messi da parte. E non importa se la situazione è avversa se la persona, fulcro del pensiero di Moro, come cittadino, militante o politico è consapevolmente convito di cosa vuole.

Note

[1Buona parte di questo articolo riporterà il saggio scritto da Edoardo Marangoni, che è stato esposto e discusso durante l’evento, facendo in un certo senso da resoconto dell’iniziativa (NdA).

[2Guerzoni C., “Aldo Moro”, Sellerio, 2008.

[3Sito “Cento anni con Aldo Moro”, http://www.aldomoro.eu/biografia.php

[4Anche se non ci sono riferimenti, l’introduzione di questa materia può essere considerata funzionale al progetto politico di Moro, anche in una prospettiva politica che andasse oltre i confini nazionali. (NdA).

[5Altri contributi che Aldo Moro nella costruzione europea sono stati il sostegno all’adesione del Regno Unito (Saprisci, 2004) e l’avvicinamento dell’Europa al Mediterraneo, con un occhio alla questione Arabo-Israeliana: Moro riuscì a mediare tra Israele e i Paesi Arabi, che dettero contributi alla Conferenza di Helsinki (Olmi, 2008). Infine, nel 1970, la nomina di Franco Maria Malfatti a Presidente della Commissione Europea (il primo italiano). Quest’ultimo però si dimise per correre alle politiche nazionali del 1972 (Marangoni, 2017).

[6Olmi G., “Aldo Moro alla Conferenza di Helsinki: la nascita di una nuova Europa”, Accademia degli studi storici Aldo Moro, 2008

[7Edoardo Marangoni, “Il contributo di Aldo Moro, in veste di Ministro degli Affari Esteri, alla costruzione europea , Università LUISS, 2017.

[8I tre “cesti” della Conferenza di Helsinki toccavano i seguenti temi: I) la sicurezza in Europa; II) la cooperazione economica, scientifica e tecnica, nonché la difesa dell’ambiente; III) questioni sul libero movimento delle persone, delle idee, dell’informazione e la cooperazione culturale.

[9L’Atto porta la firma degli allora Ministri degli Esteri della Comunità Europea: per l’Italia, ha firmato Arnaldo Forlani (EUR-Lex, europa.eu)

[10Emo Sparisci, “Aldo Moro e il Parlamento europeo: La vocazione federalista del popolo italiano”, Studium, 100 (2) (pagg. 183-187), 2004.

[11Al momento della votazione, i votanti erano 400: l’Atto fu approvato con 384 favorevoli e 16 contrari (Camera legislature - legislature.camera.it).

[12Solo i deputati di Democrazia Proletaria votarono contro – “40 ANNI DI ELEZIONI EUROPEE - Come l’Italia si preparò all’appuntamento con le prime elezioni dirette del Parlamento europeo”, Dossier per il Senato della Repubblica a cura di Rossella di Cesare, 2019.

[13Seduta di martedì 15 febbraio 1977, Camera dei Deputati, legislature.camera.it

[14Idem

[15Questa citazione si trova in cima al saggio di Marangoni (2017).

[16Alfonsi, 2005, in Marangoni, 2017.

[17“La nascita della Costituzione Italiana”, supporto DVD audiovisivo, Gruppo Editoriale l’Espresso, Rai Trade, La Rai per la Cultura, 2008

[18Costituzione della Repubblica Italiana

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