“La sovranità del Congo dovrebbe essere rispettata, ma anche quella del Rwanda dovrebbe esserlo. Se ciò non accade, avremo delle notti insonni”. Sono le parole di Paul Kagame, Presidente ruandese, che mostrano in maniera chiara lo stato di tensione tra i due Paesi dell’Africa orientale. Una situazione in realtà non nuova, ma che negli ultimi mesi non ha fatto altro che peggiorare, portando i rapporti tra Rwanda e Repubblica Democratica del Congo (RDC) ai minimi storici. Come ribadito anche dalle dichiarazioni del Presidente congolese Felix Tshisekedi, riportate dal Manifesto: “I ruandesi sono nostri fratelli e sorelle: il nostro nemico è il Presidente Kagame e il suo Governo, i ruandesi hanno bisogno del nostro aiuto per liberarsi di Kagame. L’Africa ha bisogno di andare avanti. L’Africa è l’ultima della classe a causa di guerre e divisioni. E questo è merito di leader come Paul Kagame”.
Le tensioni tra Kigali e Kinshasa hanno a che fare con questioni vecchie e mai risolte. Da un lato il Rwanda, uno degli Stati più stabili e in crescita del continente, mostra ripetutamente la propria insofferenza verso l’enorme vicino, accusato di non riuscire a mantenere il controllo del proprio territorio, in particolare della regione di confine del Nord Kivu. Dall’altra la RDC lamenta la presenza di forze armate ruandesi sul proprio territorio e l’appoggio del regime di Kagame a milizie ribelli.
In particolare, cruciale è il ruolo ricoperto dal Movimento 23 marzo, conosciuto come M23. Questa milizia armata è nata nel 2012, a seguito di una scissione dall’esercito congolese. Il gruppo protagonista di questa azione è formato da comandanti di etnia tutsi e giustifica la propria ribellione con il mancato rispetto, da parte del Governo di Kinshasa, dei precedenti accordi che miravano ad una loro integrazione nei ranghi dell’esercito. Alcuni mesi dopo la sua formazione, nel 2013, l’M23 è stato sconfitto una prima volta attraverso un intervento militare internazionale. Nel corso dell’ultimo anno, però, la milizia è tornata attiva e ha ripreso i combattimenti, conquistando una parte rilevante del Nord Kivu. A più riprese, la Repubblica Democratica del Congo ha accusato il Rwanda di sostenere l’M23: un sospetto che è stato [confermato tra giugno e luglio da gruppi di esperti delle Nazioni Unite-https://www.reuters.com/world/africa/un-experts-say-rwanda-has-intervened-militarily-eastern-congo-2022-08-04/], che hanno parlato di prove concrete di azioni delle forze armate ruandesi in territorio congolese.
L’M23 non è però l’unico attore in gioco, oltre a RDC e Rwanda. Rilevante è anche la posizione dell’Uganda, che confina con entrambi i Paesi e in particolare con la regione del Nord Kivu. In primo luogo, anche l’Uganda è stata accusata dalle Nazioni Unite di sostenere l’M23; ma soprattutto, come spiega Ispi, la tensione tra questo Paese è il Rwanda è al centro degli ultimi sviluppi: la decisione ugandese di dispiegare le proprie forze militari in RDC, presa in accordo con il Governo di Kinshasa, avrebbe convinto il Rwanda a riattivare l’M23, per non perdere la propria influenza sulle stesse aree.
Non mancano poi altre milizie, presenti nel Nord Kivu: Deutsche Welle stima che i gruppi armati attivi nella regione siano almeno 120. Tra i più noti ci sono le Forze democratiche per la liberazione del Rwanda (FDLR), un gruppo ribelle rwandese formatosi in seguito al genocidio dalla componente hutu e rifugiatosi in RDC. Il Presidente del Rwanda, Paul Kagame, ha più volte sottolineato la necessità di sradicare questo gruppo, che considera responsabile di una serie di attacchi verso il proprio Stato.
Se dunque le tensioni tra RDC e Rwanda vanno quasi considerate la “normalità”, per quanto le ragioni che portano a questa conflittualità sono radicate, nell’ultimo periodo si è potuto assistere ad un rapido deterioramento della situazione, tanto da far pensare ad un concreto pericolo di guerra. Da un lato i due Paesi hanno quasi interrotto i loro rapporti diplomatici: tutti gli accordi commerciali sono stati sospesi e a fine ottobre la RDC ha addirittura espulso l’ambasciatore ruandese. Dall’altro, la situazione militare nella regione del Nord Kivu è estremamente tesa: come riportato da France 24, il gruppo M23 si sta rendendo protagonista di una veloce avanzata, riportando vittorie sia contro l’esercito regolare che contro altre milizie. I ribelli hanno conquistato anche alcune grandi città e ora avrebbero nel mirino Goma, centro più importante della regione.
Gli scontri stanno avendo effetti importanti anche sulla popolazione. I ribelli si sono ripetutamente abbandonati a violenze e hanno causato un alto numero di sfollati: ancora un mese fa, il giornalista Pascal Mulegwa ne contava almeno 188 mila. Inoltre, la regione sta vivendo anche gli effetti economici del conflitto: [sempre secondo Deutsche Welle, le difficoltà nelle comunicazioni e nei trasporti hanno fatto sì che a Goma i prezzi dei beni alimentari si impennino_>https://www.dw.com/en/drc-food-crisis-hits-goma-amid-renewed-fighting/a-63691439], mettendo ancora più in difficoltà la popolazione.
Come se non bastasse, la forte conflittualità ha fatto riemergere le tensioni tra i diversi gruppi etnici, in particolare verso i tutsi. Queste sono estremamente presenti in tutta la regione dei Grandi Laghi e si ricollegano al genocidio in Rwanda del 1994. La RDC ospita nelle sue regioni orientali una forte componente tutsi, emigrata nei secoli scorsi dall’area del Rwanda. Nonostante si trovi in questo territorio da lungo tempo, questa popolazione viene spesso vista come straniera e allineata agli interessi di Kigali. Il ritorno dell’M23 non ha fatto altro che rafforzare il sentimento anti-tutsi presente nel Nord Kivu. Data l’esistenza di un’identificazione tra il movimento e questa etnia, ora ogni tutsi è sospettato di essere un ribelle ed è così bersaglio di violenze e rappresaglie.
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