La politica europea
Che succede alla destra moderata europea?
Le posizioni ultraortodosse di una certa parte della destra popolare sono veramente incomprensibili. Non solo in alcune frange della CDU/CSU ma anche in altri partiti europei facenti parte del PPE. Dopotutto gran parte del lavoro sull’integrazione europea è stato svolto dalla democrazia cristiana europea ed è alquanto incredibile l’involuzione di questi partiti negli ultimi anni, dove quasi si appoggiano certe posizioni euroscettiche o si cerca di spingere un paese membro fuori dall’eurozona. Commentatori pro-austerity come Techau dovrebbero essere ascoltati maggiormente da Merkel e soci.
“Der Spiegel laments that Angela Merkel has no vision for the European Union beyond economic goals. All we ever hear from her is that Europe needs to become more competitive. She is right, of course, and a great deal of progress has been made in that direction. But now, Merkel needs to realize that even high levels of competitiveness cannot reign in the centralizing forces set in motion by deep economic integration. Political union is necessary. This is not a lofty vision dismissible as the preoccupation of dreamers; it is a question of practical survival for the EU at this very moment”.
Vale pure la pena di citare questo passaggio di Tommaso Padoa-Schioppa [1], in cui TPS critica la dottrina del “mettere ordine in casa propria”:
“Da un punto di vista economico, la dottrina della casa in ordine è anche un’applicazione particolare e distorta dell’ideologia fondamentalista del mercato; essa immagina che tra le politiche nazionali si possa instaurare una sorta di mercato nel quale le politiche migliori verrebbero premiate e le peggiori punite. La punizione innescherebbe un incentivo a correggere la politiche nazionali errate e la cooperazione internazionale avrebbe per unico compito offrire occasioni di incontro per scambiare informazioni ed esortare alla virtù. [...]l’ordine delle case, per restare nella metafora, non è ancora quello della città. Ci sono le parti comuni, che riguardano ciò che avviene non nelle case, ma tra le case: le relazioni finanziarie e commerciali, i cambi, la salute, i mari, il clima, l’umanità che muore di fame. Le parti comuni – conclude TPS – possono solo essere governate in comune, il che richiede poteri sovranazionali […].
Una vittoria per gli euroscettici? Nì
Naturalmente una grande parte dei partiti euroscettici ha approfittato di tutta questa situazione per fare della propaganda a spron battuto e non li biasimo. Io avrei fatto lo stesso. C’è un però. Alcuni esponenti politici euroscettici hanno cominciato a porsi domande sul rischio che comporterebbe prendersi carico di un’uscita unilaterale dall’eurozona di un paese membro e a mettere qualche puntino sulle i [2] …Anche la soluzione di un’uscita coordinata e controllata al momento pare un’ipotesi fantascientifica dato quello che è successo in Grecia e le varie posizioni degli stati membri. La profezia di Napolitano sul fatto che probabilmente non cambierebbe nulla anche con una sfilza di euroscettici nei governi dell’eurozona [3] (se non una ulteriore prolungata stasi) potrebbe non essere una boutade anche se, personalmente parlando, non mi interessa verificare quest’ipotesi.
I socialdemocratici e i socialisti alla ricerca di un’identità
Devo dire che l’SPD tedesca continua ad essere una delusione continua e non è che il PD e il Partito Socialista Francese stiano andando meglio. Quantomeno ora sembra che un minimo di attività europea dei socialisti francesi sia ripresa [4], ma aspettiamo a dirlo. Già Hollande ne ha raccontate parecchie in anni recenti. Qui bisogna essere come San Tommaso: finché non vedo non credo. L’idea che mi sono fatto è che o c’è una reazione o il socialismo europeo sparirà e verrà smezzato tra la sinistra composta da Podemos, Syriza e company e i liberali (soprattutto molti del PD).
La cosa più incredibile non è solo che non contrastino a sufficienza una certa politica poco lungimirante, ma che proprio non abbiano un’idea alternativa su come condurre l’integrazione europea. Detto in altro modo: il problema non è che Schauble abbia un piano, ma che gli altri non ne abbiano uno.
Una cosa che potrebbe fare il PSE è cominciare a darsi una vera struttura europea e diventare un vero partito europeo. La necessità di partiti realmente europei sono un’altra lezione appresa in queste settimane come giustamente osservato da Falasca.
I problemi di comprensione delle relazioni internazionali da parte dell’estrema sinistra europea
Ora, io capisco che per chi il problema sia essenzialmente il sistema capitalistico e chi lo governa certe questioni non interessino però varrebbe la pena oggi leggere “Gli Stati Uniti d’Europa e le varie tendenze politiche” di Altiero Spinelli e alcuni scritti di Albertini nella parte relativa all’internazionalismo [5]. Si evince come per i movimenti internazionalisti il problema di fondo delle guerre, come di altri problemi, sia nella non presenza di partiti politici di sinistra al governo di altri paesi. Per quanto indubbiamente una maggiore affinità politica possa portare forse a rapporti più pacifici, questa non è sufficiente ad assicurare la cooperazione tra Stati. Alcuni problemi possono essere risolti solo con la creazione di istituzioni sovranazionali. L’errore degli internazionalisti di tutti i colori (liberali, socialisti, comunisti, ecc…) è pensare che si possa tramite i cambiamenti interni su base nazionale risolvere i problemi internazionali. Il che è, come si è visto anche nella ultime settimane, assurdo. Gli stati non sono il prolungamento dei loro governi e agiscono su basi che poco hanno a che fare con il colore politico, ma tramite rapporti di forza, dove, in assenza di leggi e, soprattutto, di istituzioni con poteri limitati ma efficaci, i più forti comandano. Qualche citazione interessante:
“Si può supporre che gli stati comunisti, sorgendo da radicali sovvertimenti, vengano a trovarsi, almeno al principio, completamente scevri dal mistico spirito imperiale insito in tutte le istituzioni dello stato moderno. Ma la loro base sarebbe pur sempre la nazione, sia pure sbarazzata dai borghesi, e il compito supremo dello stato socialista resterebbe quello di provvedere all’interesse degli abitanti della nazione. Le differenze nazionali di cui da secoli è intessuta la vita europea, i contrasti per la delimitazione dei confini nelle zone di popolazione mista, il bisogno che ogni comunità nazionale sentirebbe di avere uno sbocco indipendente sul mare, etc, non scomparirebbero per il fatto che le varie comunità nazionali fossero diventate socialiste. A questi tradizionali motivi di attrito si aggiungerebbero i dissensi ideologici nuovi che potrebbero sorgere fra i governanti comunisti dei vari stati, e che non potrebbero più essere liquidati con la facilità cin cui ora la terza Internazionale modifica le centrali dei partiti comunisti. Non è facile immaginare una pacifica convivenza, poniamo, tra uno stato diretto da socialisti ed uno diretto da comunisti, o fra uno stato comunista staliniano e uno trozkista” (A. Spinelli, Gli Stati Uniti d’Europa e le varie tendenze politiche, 1944).
“Al di là di queste differenze, il nocciolo comune dell’approccio internazionalistico consiste nel ritenere che un mondo di Stati liberali e, rispettivamente, democratici, socialisti e comunisti sarebbe guidato da idee liberali e, rispettivamente, democratiche, socialiste e comuniste e implicherebbe quindi l’eliminazione dei fenomeni connessi con la politica di potenza, dipendenti dalla realizzazione ancora incompleta o non universale dei principi di organizzazione interna dello Stato affermati da tali ideologie. Come è facile vedere, il contrasto fra questo approccio, che riduce in sostanza la politica estera a funzione della politica interna, e l’approccio federalista non potrebbe essere più netto.
[...] i federalisti vedono che esiste un nesso inscindibile fra politica di potenza e struttura anarchica della società degli Stati, riconoscono, su tale base, una sostanziale autonomia della politica estera rispetto alla politica interna, e percepiscono altresì come la priorità della sicurezza esterna rappresenti un ostacolo fondamentale alla piena realizzazione della democrazia. Donde la convinzione che, ai fini della costruzione della pace, non siano sufficienti le lotte ispirate dalle ideologie internazionaliste, che puntano fondamentalmente ai cambiamenti interni, mentre, sul piano internazionale, hanno come espressioni organizzativo-istituzionali le associazioni internazionali, a livello della società civile, e l’organizzazione internazionale (dalla Società delle Nazioni all’Organizzazione delle nazioni unite), a livello dei rapporti fra i governi.
[...] i profondi cambiamenti, graduali o rivoluzionari, di regime, che hanno caratterizzato il sistema europeo degli Stati e, quindi, quello mondiale, hanno certo cambiato molte cose sul piano interno e su quello internazionale, ma non la tendenza delle classi politiche a considerare prioritaria la sicurezza esterna rispetto ad ogni altra esigenza e a comportarsi secondo i dettami della ragion di Stato, prescindendo regolarmente dalle affinità di tipo ideologico fra gli Stati.” (estratto testo del 1962 di Mario Albertini in Albertini e Pistone, Il federalismo, la ragion di stato e la pace, p.54-55).
La condizionalità che i creditori impongono ai debitori derivano proprio da questo. Non esiste che uno stato dia soldi ad un altro stato a fondo perduto senza niente in cambio. Almeno finché si resterà nel quadro intergovernativo attuale.
Lo spiega bene Dario Stevanato (si raccomanda la lettura integrale del testo):
“Nel quadro dei rapporti tra Stati dell’UE o dell’eurozona, ciascuno Stato può contare sulle entrate fiscali attingibili nell’esercizio della propria sovranità nei confronti dei contribuenti assoggettati alla sua giurisdizione, ma non può certo contare né pretendere che altre collettività e gruppi sociali, prive di legami col suo territorio, contribuiscano e si facciano carico delle sue spese pubbliche e men che meno dei suoi deficit di bilancio.
Ed è questa la ragione, in definitiva, per cui ogni aiuto finanziario tra Stati (ancorché tutti appartenenti all’eurozona) non può mai diventare esplicitamente un trasferimento a fondo perduto, poiché verrebbero sovvertite regole consolidate da secoli, radicate nelle tradizioni costituzionali: e cioè il legame territoriale tra entrate fiscali e spesa pubblica. Una surrettizia trasformazione degli aiuti finanziari in trasferimenti già ex ante senza prospettiva di restituzione spezzerebbe il legame tra il dovere fiscale e il concorso alle spese pubbliche, giacché i contribuenti di una nazione si troverebbero a contribuire alle spese di altre collettività, come avevo evidenziato in un precedente post)”.
Continua...
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