Immaginate ascoltare lo stesso canale per tutta la vita - 83 anni per l’esattezza - poi un giorno svegliarvi, accenderlo e non trovarlo più. Restare smarriti, nel silenzio, senza preavviso, senza spiegazione del perché quelle voci che ogni mattina vi raccontano il mondo non ci siano più. C’è chi questa esperienza l’ha vissuta lo scorso fine settimana: gli ascoltatori di Voice of America (VOA), e delle stazioni radio a essa legate, Radio Free Europe/Radio Liberty e Radio Free Asia, sospese dall’amministrazione Trump.
Nella notte fra venerdì 14 e sabato 15 marzo, Donald Trump ha firmato l’ordine esecutivo per bloccare i servizi di queste emittenti storiche, nate su volontà proprio del Governo degli Stati Uniti d’America, per fornire libera informazione durante il periodo di massimo dominio del nazifascismo nei Paesi sotto regime.
Il motivo? Che seppur l’obiettivo di Voice of America sia - per statuto - quello di presentare all’estero in modo accurato, equilibrato e completo le politiche e la società americana, secondo il Presidente in carica questa sarebbe una radio faziosa, schierata dalla parte dei democratici.
Così, senza appello, centinaia di giornalisti, tecnici e dipendenti delle emittenti sono stati avvisati via e-mail della sospensione immediata: esclusi dagli uffici, obbligati a restituire badge e attrezzature, lasciati senza lavoro e senza voce.
Il processo di strangolamento di Voice of America era però iniziato mesi fa, subito dopo la rielezione di Trump nel novembre 2024. A orchestrarlo è stata Kari Lake, nominata dal tycoon alla guida della U.S. Agency for Global Media, l’ente federale che sovrintende VOA e le altre emittenti.
Ex giornalista dell’Iowa, politica populista e fervente sostenitrice di Trump, Lake ha più cause legali alle spalle che scoop nella carriera. Vicinissima all’estrema destra americana, frequenta con regolarità canali di propaganda come quello del neonazista e teorico della cospirazione Steve Bannon.
Sul suo profilo X - la cui immagine di copertina è un collage dei migliori primi piani di Trump da politico (i due ritratti presidenziali, la foto del “fight fight fight” e quella segnaletica) - Lake ha continuato a fare propaganda contro la rete che lei stessa dirige, con i classici metodi populisti, ricordando ad esempio ai cittadini statunitensi che essa è supportata al 100% dalle loro tasse, o con evidenti diffamazioni, tra cui accuse di corruzione nei confronti dei dipendenti.
La sospensione di Voice of America e delle sue affiliate non è che l’ultimo tassello di un progetto ben più ampio: il ridisegno autoritario degli Stati Uniti. La retorica della «Land of the Free» suona ormai vuota, quasi beffarda, davanti a un’escalation di provvedimenti che mettono sotto scacco i pilastri della democrazia americana.
Dal ritorno alla Casa Bianca, Trump e la sua squadra MAGA hanno accelerato su l’accentramento del potere esecutivo, con pressioni sempre più forti sulle agenzie federali indipendenti, attacchi frontali alla magistratura, dentro e fuori i confini nazionali (si pensi alle esternazioni di Elon Musk sull’operato dei giudici italiani nel caso dei centri per il rimpatrio dei migranti in Albania) - e una campagna sistematica contro i diritti civili.
Gli esempi si sprecano: l’abolizione dei programmi sulla diversità e l’inclusione, le restrizioni ai diritti delle persone transgender, fino alla proposta di cancellare lo ius soli, colpendo uno dei principi costituzionali che più simbolicamente rappresentano l’America come terra di opportunità.
Di fronte a questo scenario, l’Europa non intende restare a guardare mentre un pezzo della sua verità, e della sua storia, rischia di scomparire. Per questo, all’interno delle Istituzioni dell’Unione europea, è stato avviato un ragionamento per salvare Radio Free Europe/Radio Liberty.
Il primo a mobilitarsi è stato il Ministro degli Esteri ceco Jan Lipavský, che ha particolarmente a cuore la stazione radio con sede a Praga. Il suo appello è stato raccolto dall’Eurodeputata Danuše Nerudová, che ha sollevato la questione al Parlamento europeo.
Sul tavolo c’è la possibilità concreta di un intervento economico da parte dell’Unione europea per rilevare il finanziamento della radio e garantire il lavoro a oltre 1.700 persone. Servirebbero circa 120 milioni di euro, una cifra più che sostenibile per Bruxelles, se si considera l’importanza strategica e simbolica di mantenere viva una voce libera in un’epoca di nuove cortine di ferro e disinformazione globale.
A proposito di cortine di ferro, una delle voci più autorevoli che si è levata a sostegno di Radio Free Europe è stata quella dell’Alta Rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Unione europea Kaja Kallas, che è “cresciuta dall’altro lato della cortina di ferro” e attraverso quella radio sapeva “cosa stesse succedendo”. Kallas ha tuttavia osservato che l’Unione non può automaticamente sostituire i fondi ritirati dagli Stati Uniti ed è quindi importante esplorare nuove possibili soluzioni.
Una di queste potrebbe inserirsi nel nuovo quadro delle politiche europee a sostegno della libertà di stampa e della lotta alla disinformazione, come dimostra l’adozione del Media Freedom Act. Il Regolamento - approvato nel 2024 - ha sancito per la prima volta un principio chiave: il pluralismo e l’indipendenza dei media sono pilastri dell’Unione e beni da proteggere, anche con risorse dedicate. Tra le misure introdotte vi è il divieto per Governi e attori esterni di esercitare pressioni editoriali sui media e la creazione di un nuovo European Board for Media Services, incaricato di monitorare i rischi per la libertà di stampa negli Stati membri e nei Paesi partner.
In questo contesto, il sostegno a Radio Free Europe assumerebbe un valore politico preciso: dimostrare che l’Unione europea è non solo garante, ma anche attore capace di difendere concretamente la libertà d’informazione. Un investimento strategico per contrastare la propaganda autoritaria e riaffermare, dentro e fuori i confini europei, il diritto di milioni di persone ad accedere a notizie libere, verificate e indipendenti.
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