Parliamo di quello che sta succedendo in Iran in questo periodo

Cosa leggere a Teheran?

, di Giulia Sulpizi

Cosa leggere a Teheran?
Fonte: Ideophagous, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/license...> , via Wikimedia Commons

È di pochi giorni fa la notizia della morte della giovane – appena ventiduenne – Mahsa Amini, dopo il suo arresto da parte della polizia morale di Teheran. Si tratta dell’ennesima vicenda che ha destato l’attenzione dei Paesi occidentali e non solo, che gettano il proprio sguardo verso l’Iran di Khomeini, preoccupati per la sorte delle donne in questo Stato.

Non è un mistero, infatti, che, dopo la rivoluzione che ha portato nel secolo scorso all’abbattimento del regime dello Scià di Persia, la condizione femminile sia sensibilmente mutata. Da veri e propri soggetti giuridici, titolari di diritti e doveri, le donne iraniane sono rimaste, spesso, scacco dell’ideologia religiosa imperante.

Da qui, sorge l’indignazione, ma non la sorpresa, nell’apprendere che una ragazza sia rimasta vittima di una barbara uccisione in carcere, su cui si stenta a fare chiarezza. Il motivo dell’arresto? È presto detto: Mahsa avrebbe fatto sfuggire una ciocca di capelli dal velo islamico.

Un gesto semplice e modesto, che è stato, però, foriero di numerose, terribili, conseguenze. Non stupisce, dunque, che la dipartita della giovane abbia scatenato violente proteste in Iran, una contestazione che ora si è allargata a quasi tutte le province del Paese. Sarebbero almeno quattordici i manifestanti uccisi, centinaia i feriti, ignoto il numero degli arrestati.

Le prime a protestare sono le donne, che bruciano i veli, si tagliano i capelli e sono in prima fila negli scontri con la polizia.

Per la prima volta nella storia dell’Iran si è trattato di una rivoluzione che ha coinvolto ogni fascia della popolazione, dalle classi più abbienti a quelle più povere, con un’unica, fondamentale, richiesta: quella della libertà.

Si tratta di una parola semplice, che a noi, donne dell’Occidente, può apparire scontata o priva di significato: cosa possiamo chiedere di più di ciò che abbiamo noi, giovani cresciute nell’istruzione, nella dignità, nella speranza e nella consapevolezza di poter aspirare alla grandezza?

Eppure, in molte parti del mondo quelli che sono i diritti e le prerogative fondamentali dei singoli, tutelati da Convenzioni e Carte di rango internazionale e costituzionale, sono ancora dei miraggi.

Non dovremmo, quindi, sorprenderci nel guardare all’Iran e nel ritenere che la cultura della parità e dell’eguaglianza sia, ancora, molto distante dalla sensibilità dei governanti. Cosa che, fortunatamente, non si può dire dei governati: le violente proteste che agitano lo Stato ne sono un esempio lampante.

Perché, però, a questo punto, la condizione femminile non cambia? Perché, a fronte delle indignazioni e delle reprimende, nulla muta in quest’ordinamento?

Forse perché le istituzioni – non democratiche – che reggono il Paese sono ben consapevoli che educare ai diritti e all’inclusione sia un’arma pericolosa: l’istruzione crea consapevolezza nei cittadini e determina il sorgere di pretese ben precise.

Essere rispettati e accettati per chi si è e per come si è rappresenta, non a caso, il sale di un ordinamento liberale e di uno Stato che tuteli i valori essenziali della democrazia. La dittatura e l’obbedienza al potere sono – necessariamente – ostacoli a tali obiettivi. E l’Iran ne è fortemente consapevole. Per queste ragioni, dunque, non si incentiva di certo la crescita delle opportunità del “sesso debole”, lasciando, così, le donne escluse da qualsiasi processo di cambiamento del Paese.

Assicurare, infatti, la tutela dei diritti della compagine femminile costituisce uno strumento di crescita fondamentale per la società civile, vitale e propensa al cambiamento. Un cambiamento, tra l’altro, che trova la sua scaturigine in un passato recente, nel ricordo dell’Iran che Azar Nafisi ha conosciuto, dove le donne come lei votavano e insegnavano liberamente. Poi, la rivoluzione ha cambiato tutto. E del passato a colori non è rimasto che un frammento.

“(…) ogni volta era difficile superare lo choc di vederle togliersi il velo e la veste per diventare di botto a colori. Eppure, quando le mie studentesse entravano in quella stanza, si levavano di dosso molto di più. Lentamente, ognuna di loro acquisiva una forma, un profilo, diventava il suo proprio, inimitabile sé”: queste le parole che la scrittrice iraniana Nafisi dedica alle protagoniste del suo romanzo, donne forti e indomite, incatenate nei loro ruoli silenziosi e distaccati di chi non deve far parlare di sé.

Una vita a metà, dunque, quella di queste figure, che sono dimenticate dalla storia e dall’Occidente, immagini sfocate di un passato non così distante, di un inquietante presente e spettri ancor più terrificanti del futuro. Perché questo oggi è il problema: il futuro, la sorte delle nuove generazioni.

Aveva ventidue anni Mahsa, solo uno in più di mia sorella. Ancora una ragazzina ai miei occhi, che vedo di fronte a me studentesse universitarie di quell’età, che nemmeno sanno cosa vorranno diventare di lì a pochi mesi, con un’esistenza ancora davanti a loro per scoprirlo.

Oggi, molte giovani non hanno questo lusso. La possibilità di scegliere chi divenire non appartiene loro, ma è prerogativa di un tempo ormai trascorso e di un incerto destino di salvezza.

Cosa fare, dunque?

Una delle grandi richieste della piazza è la soppressione della polizia morale, una delle prime invenzioni di Khomeini per costruire la sua società ideale, a fronte della contrarietà della maggior parte della popolazione all’hijab e del mantenimento di altri comportamenti pubblici non in linea con i principi del regime. Essa è divenuta, nel corso degli anni, uno strumento efficace per terrorizzare, soprattutto i giovani, simbolo di un’oppressione che dura da troppo tempo.

Da qui sorge, quindi, un imperativo, oserei dire morale: ricordare alle iraniane che non sono sole e dare voce – con scritti, parole e manifestazioni – a questa protesta al di là del mare, che ci lascia, altrimenti, silenti e distanti. Garantire la libertà di parola a tutti, donne e uomini anche europei, allo scopo di rammentare al mondo che la paura non può vincere la determinazione e che le minacce dei prepotenti hanno sempre una loro fine.

Dobbiamo rammentare che l’Europa, del resto, dovrebbe esistere anche per questo: per fare scudo ai diritti dei più deboli e per dar loro risonanza. Soprattutto quando questi ultimi non possono più esprimersi e si affidano alla carta stampata o quando leggere Lolita diventa l’unico gesto privato di aggressione al regime che può sfuggire alla polizia, perché compiuto tra le mura domestiche.

Soprattutto, quando scrivere di donne diventa l’estremo atto di coraggio e di amore per le proprie sorelle.

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