Diavolo d’un Machiavelli

, di Ernesto Gallo, Giovanni Biava

Diavolo d'un Machiavelli

Sembra che ‘Old Nick’, uno degli appellativi inglesi del Diavolo, derivi da Niccolò Machiavelli. Chissà come ne riderebbe il vecchio Segretario fiorentino, il cui ‘Principe’ compie cinquecento anni proprio in questi giorni: pare infatti che il Nostro ne abbia fatto menzione per la prima volta in una lettera all’amico Vettori il 10 Dicembre 1513.

Pare anche che il Principe sia il libro italiano più popolare nel mondo, persino davanti alla Commedia dantesca. Che sia tra i più compresi, è invece lecito dubitare. C’è chi vi ha letto l’opera di un ‘insegnante di male’; chi vi ha colto la separazione tra morale e politica; chi vi ha intravisto un’analisi spietata della politica quale essa è; altri ne hanno tratto massime e regolette per fare carriera, conquistare mercati, persino vincere al gioco. Sarebbe meglio lasciarlo stare, visto che Machiavelli scriveva per un pubblico soprattutto fiorentino, teneva alle sorti della sua amata repubblica – prima ancora che dell’Italia – e rimpiangeva glorie classiche e romane che in fondo poco avevano a che fare con un mondo in cambiamento, quello delle scoperte geografiche, del nascente capitalismo, del mondo atlantico allora in ascesa. L’autore del Principe però ci ha irritati con ironia pungente e riflessioni spietate e un po’ di contrappasso se lo merita del tutto. Proviamo a prendere tre passi più o meno a caso, astraiamo dal contesto fiorentino, e vediamo che effetto farebbero nel mondo attuale.

“Pertanto questi nostri Principi, i quali molti anni erano stati nel loro Principato, per averlo di poi perso, non accusino la fortuna, ma l’ignavia loro; perchè non avendo mai pensato ne’ tempi quieti che possino mutarsi; (il che è comune difetto degli uomini non far conto nella bonaccia della tempesta) quando poi vennero i tempi avversi, pensarono a fuggirsi, non a difendersi, e sperarono che i populi, infastiditi per la insolenza de’ vincitori, gli richiamassero.”

Machiavelli pensava ai principi italiani, a Milano, Napoli, e altri, che si erano abbandonati a vane ambizioni, e avevano perso i loro Stati senza rendersi conto che i loro pari d’oltralpe erano intanto diventati più ricchi e soprattutto più forti, con le ‘buone arme’ prima ancora delle ‘buone leggi’. Ma chi sono gli ignavi di oggi se non i politici europei? I leaders di Stati – Gran Bretagna, Germania, soprattutto Francia – che continuano a pensarsi ‘grandi potenze’ senza rendersi conto che altri sono alle porte, Cina, Russia, India, persino Brasile? Leaders che nella ‘bonaccia’ di qualche anno fa non hanno ‘fatto conto’ della ‘tempesta’ che sarebbe arrivata addosso ad un Euro privo di un supporto politico? E ora vogliono farci credere che i ‘tempi avversi’ sono passati? Dei vincitori poi, mercati finanziari, hedge funds, banche di investimento, nuove potenze, non ci libereremo più. Machiavelli vedeva nel momento della crisi la possibilita’ di un riscatto e invocava un principe italiano. Noi oggi guardiamo all’intera Europa e non intravvediamo nè principi nè reazione alcuna. Non si pensi che i politici dell’età di Machiavelli fossero sprovveduti; dagli Sforza ai Papi, dai Medici a Venezia, sapevano bene il fatto loro. Occorreva però uno slancio che non seppero avere. Così oggi: da Merkel a Hollande allo stesso Letta, tanti si riempiono la bocca di Europa. Ora però è necessario farla, non solo parlarne. Nessuno se ne sta facendo carico.

“Deve nondimeno il Principe farsi temere in modo, che, se non acquista l’amore, è fugga l’odio, perchè può molto bene stare insieme esser temuto, e non odiato;”

Magra consolazione, i ‘principi’ europei non si fanno nemmeno odiare. Gli Stati Uniti, invece, sì. Obama rappresentava una grande ‘operazione simpatia’, ma non ha funzionato affatto. Il risultato è che gli USA oggi sono sempre meno amati, sempre meno temuti, e sempre più detestati. Diamo uno sguardo ai dati Pew, 2013. In una serie di alleati fondamentali durante la Guerra fredda, gli Stati Uniti sono ora visti unfavourably (in Pakistan, dall’89% della popolazione; in Giordania, dall’86%; 84% in Egitto; 79% in Turchia!), e persino l’Arabia Saudita sta ora riflettendo sulla propria collocazione internazionale (che significa poi ‘a chi vendere più petrolio in cambio di armi’). Viceversa, la Cina è ora vista con favore proprio in Pakistan (81%), in una serie importante di Paesi emergenti (Nigeria, 76%; Indonesia, 70%; Brasile, 65%) e in Russia (62%). La sostanza sugli USA è stata espressa benissimo da Vladimir Putin nel suo ormai famoso articolo per il New York Times (11 Settembre 2013): ’Millions around the world increasingly see America not as a model of democracy but as relying solely on brute force, cobbling coalitions together under the slogan “you’re either with us or against us.”

Gli USA si stanno facendo odiare, ora che oltretutto l’ipocrisia di fondo dell’operazione Obama è stata smascherata. Al tempo stesso, non ispirano più timore (che tra l’altro per Machiavelli era sempre misto a rispetto); come potrebbero, vista la gestione malaccorta di tutta la vicenda siriana? La Cina per contro è apprezzata e temuta, in parte perchè poco scrutabile, in parte perchè è stata capace di emergere da una situazione di ‘sottosviluppo’ economico che naturalmente attrae l’attenzione in molti paesi emergenti, compresa l’Africa. E non solo: il 58% degli australiani, un tempo fiero avamposto ‘anglosassone’ nel Pacifico, guarda alla Cina con favore! Come potrebbe essere altrimenti, con tutte le risorse che Pechino vi compra?

“Essendo adunque un Principe necessitato sapere bene usare la bestia, debbe di quella pigliare la volpe e il lione; perchè il lione non si defende da’ lacci, la volpe non si defende da’ lupi. Bisogna adunque essere volpe a cognoscere i lacci, e lione a sbigottire i lupi.”

Sembra quasi naturale paragonare la Cina alla volpe di Machiavelli. Si è infilata un po’ dappertutto, anche dove gli USA se ne stanno andando (Afghanistan ed Iraq) e in settori strategici, dall’energia alle comunicazioni. Non ha però ancora la forza militare per ‘sbigottire i lupi’: secondo il SIPRI (2013), Pechino spenderebbe in armi 166 miliardi di dollari all’anno, circa un quarto degli USA. Questi ultimi, d’altra parte, hanno la potenza del leone, ma faticano assai a difendersi dai ‘lacci’: si sono fatti portare via l’Asia centrale da Russia e Cina e ora stanno perdendo colpi anche in Medio oriente, regione che è disseminata di trappole nelle quali gli USA si infilano spesso e volentieri. Agli USA manca dunque la volpe; alla Cina, il leone. E pensare che soft power è un’invenzione (come concetto) americana...

Nè gli uni nè l’altra sono quindi in grado di governare il mondo da soli. E pensare che gli USA hanno avuto la loro chance. E se unissero le forze? In effetti, la Cina è il massimo creditore di Washington e ha massicci investimenti americani, che infatti hanno destato non poche preoccupazioni nelle settimane dello shutdown. Una partita a due però non è immaginabile, perchè ci sono altri attori assai ambiziosi, la Russia, il Brasile, l’India che è diplomaticamente molto attiva, la stessa Indonesia che ormai sfiora una popolazione di 250 milioni di persone.

Nel mondo di Machiavelli la politica veniva prima di tutto; oggi no. Oggi, soprattutto in Occidente, vince l’economia: è un contesto diverso. Il richiamo del Fiorentino al ‘bene comune’ però è quanto mai attuale. Negli USA, in Europa, in Italia, da una ventina d’anni a questa parte stanno vincendo le fazioni che oggi a volte chiamiamo lobbies. La Repubblica di Firenze, che ne era divorata, finì preda e poi satellite dei francesi. E noi, dove stiamo andando?

1. Articolo originariamente pubblicato sul blog Giovine Europa Now

2. Fonte immagine Wikimedia

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