“I nostri partiti si sono sempre comportati di fronte alle masse partendo dal concetto di doverle organizzare secondo le proprie forme e i propri metodi. La spontaneità è stata sempre considerata come un segno al tempo stesso di maturità delle masse e di debolezza del partito. Si sono contrapposte come due antitesi, azione “spontanea” e azione “organizzata”. Si è pensato troppo poco tempo però che in ogni azione politica delle masse c’è un elemento di organizzazione, magari difficilmente afferrabile, ma che è importantissimo per noi per farlo conoscere per farlo servire ai nostri scopi. Noi chiamiamo comunemente spontanea ogni azione che non sia diretta da un partito. Non ci siamo accorti che la spontaneità è una forma di organizzazione. (…)
Gli ultimi avvenimenti, con la prontezza delle loro reazioni, con grande rapidità del diffondersi delle notizie, di stati d’animo, di parole d’ordine, ci hanno rivelato latenti nelle masse delle forme elementari di organizzazioni che sarebbe gravissimo errore trascurare.
I legami, i contatti fra uomo e uomo, fra gruppo e gruppo, esistono già indipendentemente dai partiti. Sono legami di vecchia amicizia o parentela o collaborazione che ogni operaio ha con altri operai, sono legami del lavoro comune, della reciproca fiducia, della consuetudine quotidiana. Lo spirito delle masse è così omogeneo e diffuso che si può dire ogni operaio, ogni borghese, ha un suo modo di assumere informazioni, di esprimere pareri, di commentare fatti; ha insomma un suo personale ambiente politico del quale si sente sicuro, e che non vorrebbe cambiare con altri sistemi regolati e provati: ambienti questi che si sono finora quasi sempre limitati alla sterile lamentela e all’innocuo pettegolezzo. Ma possono facilmente (e lo abbiamo visto nei mesi scorsi) evolversi a forme più serie. Una volta inserita una parola, una notizia, uno stampato in questo sistema capillare, esso si muove, si articola da sé, senza bisogno di ulteriori spinte; e la parola e lo stampato è in breve venuto a conoscenza di tutti.”*
È difficile sindacare sull’attualità di queste parole pluricitate nella quotidianità contemporanea, tagliata trasversalmente da un attivismo delle persone che spesso la società civile e i partiti stentano a conoscere e a riconoscere.
Ad un solo giorno dalla dibattuta Festa della Repubblica Italiana che è espressamente dedicata al tema dell’inclusione (“Inclusione quale affermazione del diritto di ogni singola persona di avere accesso ed esercitare, nella società di cui è parte, le stesse opportunità”), vorremo ricordare sulla nostra rivista l’autore di questa riflessione, un personaggio storico che è stato disposto all’estremo sacrificio per la libertà e, in particolare, per il valore in questione che dall’Italia può trovare una collocazione solo in relazione all’Europa e al mondo intero: Eugenio Colorni.
Sono passati 75 anni da quel 30 maggio in cui il filosofo e matematico antifascista veniva barbaramente ucciso dalle milizie della “Banda Koch”.
Chi era Colorni?
Eugenio Colorni nasce a Milano da una famiglia della media borghesia ebraica il 22 aprile 1909, figlio dell’industriale Alberto e di Clara Pontecorvo. Dopo aver condotto studi classici, inizia ad avvicinarsi all’idealismo crociano. Iscritto nel 1926 alla facoltà di lettere e filosofia di Milano, partecipa all’attività antifascista dei Gruppi goliardici per la libertà fino al 1928. Parallelamente, conduce il suo impegno nel movimento sionista, spinto soprattutto dai cugini Enrico, Enzo ed Emilio Sereni. Entra così nel comitato di segreteria del terzo congresso nazionale della Federazione Sionistica Italiana, partecipando nel luglio del 1929 al Congresso Sionista Internazionale di Zurigo. Lascerà poi in secondo piano questo impegno per dedicarsi unicamente alla lotta antifascista in modo instancabile (“vincere la morte mediante il fare”), aderendo al gruppo di Giustizia e Libertà. Nel 1931 è a Berlino dove incontra Ursula Hirschmann e Benedetto Croce.
Dopo un breve periodo all’Università di Marburgo come lettore, vince un concorso per l’insegnamento di storia e filosofia nei licei italiani e prende a insegnare filosofia e pedagogia a Trieste, dove sposa Ursula. Staccatosi da GL, collabora col Centro socialista interno, prendendone la direzione dopo gli arresti nel ’37 di Luzzato e Morandi. Mentre si reca in questura per il rinnovo del passaporto per la Francia, viene però anche lui arrestato a Trieste l’8 settembre 1938. I giornali, con l’inizio della campagna di propaganda razzista lanciata dal regime, danno un gran risalto alla notizia dell’arresto, sottolineando che egli «di razza ebraica, manteneva rapporti di natura politica con altri ebrei residenti in Italia e all’estero».
Resta inizialmente nel carcere di Varese fino al gennaio 1939, poi è trasferito al confino di Ventotene. Aderisce alle idee federaliste, che prendono corpo nel Manifesto di Ventotene da lui stesso diffuso in seguito a Roma insieme ai primi numeri del giornale L’Unità europea. Nell’ottobre del 1941, difatti, su sua richiesta e con un intervento di Gentile, viene trasferito sul continente, ma riesce a fuggire nella Capitale, dove opera alla ricostituzione clandestina del Partito socialista di unità proletaria. Dopo la caduta del fascismo, partecipa a Milano alla fondazione del MFE. Dall’8 settembre è di nuovo a Roma nell’organizzazione della Resistenza contribuendo alla struttura della prima brigata partigiana “Matteotti” e dirige L’Avanti! clandestino. Mentre si dirige alla redazione del giornale, è ferito da una pattuglia della polizia fascista il 28 maggio 1944 e muore due giorni dopo all’Ospedale San Giovanni di Roma.
Eugenio Colorni è stato insignito della medaglia d’oro al valor militare alla memoria: “Indomito assertore della libertà, confinato durante la dominazione fascista, evadeva audacemente dedicandosi quindi a rischiose attività cospirative. Durante la lotta antinazista, organizzato il centro militare del Partito Socialista Italiano, dirigeva animosamente partecipandovi, primo tra i primi, una intensa, micidiale e continua azione di guerriglia e sabotaggio. Scoperto e circondato da nazisti, li affrontò da solo, combattendo con estremo ardimento, finché, travolto dal numero, cadde nell’impari lotta”.
Colorni ha avuto negli anni tra il ’43 e ’44 delle intuizioni davvero geniali, che vanno dalla previsione sul futuro assetto geopolitico del continente, alla necessità di un esercito e di un welfare europeo, fino all’organizzazione della futura attività federalista. Proprio riguardo quest’ultimo aspetto, condividiamo la lettera a Ernesto Rossi, datata 5 agosto 1943, dove Colorni si esprime sulla futura organizzazione che dovranno darsi secondo lui i federalisti parallelamente all’idea “entrista” (che ha portato molti federalisti a militare tra le fila dei partiti del Comitato di Liberazione Nazionale):
“Quanto al problema dell’entrare o no nei vari partiti ed in particolare nel P. d’a. la mia opinione è questa: penso che fin da adesso noi non dobbiamo presentarci come un movimento culturale avente lo scopo di diffondere l’idea federalista fra i vari gruppi, ma come un’organizzazione politica avente parole d’ordine ben precise da dare. Con la caduta del fascismo si è iniziata l’epoca nella quale l’unità europea cessa di essere un lontano ideale, ma si presenta come un’attuabile possibilità e perciò noi dobbiamo essere presenti nella vita politica concreta di ogni giorno, mostrando come le parole dettate dalle direttive dell’unità europea, siano le più chiare e le più vive e le più immediatamente sentite come rispondenti alla situazione. Questo non significa che dobbiamo essere un partito, perché non abbiamo necessità di darci un programma impegnativo di politica interna, sociale, ecc. e perché possiamo tollerare nel nostro seno divergenze di vedute intorno a questi problemi; inoltre perché il compito che ci proponiamo non è necessariamente la presa del potere, ma essenzialmente di agire in modo da favorire o far precipitare, situazioni di politica internazionale nel senso dell’unità europea. La nostra opera oramai non dovrà più essere tanto un’opera di persuasione, quanto un’opera di vera e propria azione politica, servendosi di tutti i mezzi della politica.”
Eugenio Colorni sarà seppellito in una fossa comune col nome di “Franco Tanzi”, solo dopo la liberazione di Roma avrà una sepoltura degna di rispetto per il ricordo dei familiari e degli amici. Così viene descritto l’incontro con la banda Caruso-Koch dall’«Avanti!» clandestino del 5 – 6 giugno 1944: “Il giorno 28 maggio il compagno Eugenio Colorni, redattore capo del nostro giornale, si recava da via Salerno in Piazza Bologna, nei cui pressi era convocata una riunione del nostro gruppo militare, quando si è accorto di essere seguito. Dopo alcuni tentativi infruttuosi di eludere gli sgherri che appartenevano, come si è saputo dopo, alla banda Caruso-Koch, il compagno Colorni li ha affrontati domandando cosa volessero. “Voi andate ad una riunione, diteci dove è e non avrete noie”, gli si è risposto. Colorni ha alzato le spalle in segno di disprezzo, è stato spinto verso un portone, ha cercato di svincolarsi, gli assassini hanno sparato ed il nostro compagno si è abbattuto in un lago di sangue. Aveva ricevuto sei pallottole di cui una aveva attraversato l’addome. Trasportato all’ospedale di San Giovanni, l’indomani mattina alle 8.30 è spirato. L’ultima parola intelligibile che gli è uscita dalle labbra è stata: «Ricordatemi ai miei parenti, ai miei amici, specialmente ai miei amici»”.
Questo, infine, è il ricordo pubblicato su “L’Avanti” il 18 luglio dello stesso anno:
"Noi lo pensavamo nella schiera dei migliori, dedito ai nuovi compiti costruttivi del socialismo; con la sua forte intelligenza, con la passione e l’ardore che recava per la sua multiforme autorità. Ma egli non è più coi nostri compagni. È stato trucidato in Roma dai nazi, nei giorni stessi che sgombravano la città.
Dopo nove mesi di una lotta in cui s’era buttato tutto, come il suo ardente temperamento lo portava, mutatosi egli filosofo in uomo di guerra; quando in vista della liberazione agognata, non tanto per uscire da un pericolo che impavido aveva quotidianamente sfidato, quanto per potersi misurare nelle opere di pace, per recare ad attuazione un vasto programma di lavoro e di studi, è stato abbattuto come un cane per la via.
Eugenio Colorni era entrato giovanissimo nell’antifascismo militante e come socialista aveva lavorato per anni nella illegalità cospirativa.
Uomo di vastissima cultura, si era segnalato a Trieste dove insegnava storia e filosofia, esercitando grande fascino sui giovanissimi, assetati di qualche luce nelle tenebre della scuola fascista. Nel 1938 era stato arrestato, con una grande inscenatura antisemita, e poi assegnato al confino. Era riuscito a fuggire e da Roma aiutò in quegli anni i compagni dell’isola a gettare le basi del Movimento Federalista, di cui anche nella Roma arroventata degli ultimi mesi, continuò ad essere attivissimo assertore:
Egli faceva parte della redazione dell’Avanti! Clandestino e a lui si debbono iniziative culturali di partito che ebbero vivo successo e che egli si proponeva di sviluppare con idee originali come scuola di cultura socialista non appena la libertà fosse stata recuperata. Ma questa libertà che egli dimostrò d’amare più che la vita ha voluto anche il suo olocausto."
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