Eurobond. Il problema è il consiglio europeo.

, di Stefano Rossi

Eurobond. Il problema è il consiglio europeo.

Il 25 marzo scorso il governo italiano ha scritto una lettera, sostenuta da altri otto governi (Belgio, Francia, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Portogallo, Slovenia e Spagna) al presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, proponendo la creazione di Eurobond per finanziare le “politiche necessarie per contrastare i danni provocati dalla pandemia”. Molti stanno parlando di questa proposta, di cui si discuteva già vent’anni fa e che oggi è tornata nuovamente alla ribalta. Cerchiamo allora di fare un po’ di chiarezza.

Cosa sono gli Eurobond?

Secondo la proposta italiana, gli Eurobond dovrebbe essere titoli di debito emessi a livello europeo, destinati a finanziare la spesa pubblica dell’UE. Si tratterebbe di strumenti simili ai titoli di Stato, ma europei. I fondi raccolti con l’emissione di questi “titoli europei” sarebbero destinati a finanziare non solo l’emergenza sanitaria, ma anche – in maniera stabile – gli investimenti necessari a “proteggere le nostre economie e il nostro modello sociale” dalla crisi che la pandemia sta creando. Oggi sono previsti a livello europeo strumenti di debito garantiti dalla Banca Europea degli Investimenti, ma con forme tecniche diverse e con dimensioni molto ridotte rispetto agli interventi che sono richiesti oggi.

Perché sono così importanti?

Bisogna considerare che per realizzare le proprie politiche, l’Unione Europea può fare affidamento prevalentemente sulle risorse che arrivano nel bilancio europeo dai trasferimenti nazionali e (in parte minoritaria) dalle “risorse proprie” che l’UE percepisce direttamente, ad esempio alle dogane esterne o con un piccolo prelievo sull’IVA. In termini generali, l’UE non può invece indebitarsi, cioè chiedere risorse al mercato con la promessa di restituirle a certe scadenze. Quello che, insomma, tutti gli Stati fanno in gran quantità, Italia in primis, per finanziare la propria spesa pubblica, capitalizzando la fiducia riposta dal mercato nella solidità del sistema nazionale.

È chiaro quindi perché gli Eurobond sono così importanti: in un sistema in cui le risorse fiscali sono limitate – anzi in prospettiva si ridurranno perché la crisi abbatterà il PIL significativamente – e in cui molti paesi si sono indebitati fino al collo e hanno pochi margini per farlo ulteriormente, se l’Europa potesse fare debito si aprirebbe un nuovo capitolo di risorse che consentirebbe di capitalizzare la fiducia nel sistema “Europa”. Un sistema che oggi è considerato assai stabile, perché rappresenta l’economia più grande al mondo e perché – attualmente – ha debito zero, e che quindi pagherebbe tassi di interesse molto bassi.

Perché c’è uno scontro sugli Eurobond?

C’è però chi è contrario all’idea di un debito comune, dal momento che a garantirlo in definitiva sarebbero coloro che hanno un sistema di finanze pubbliche sostenibile e che, all’occorrenza, sarebbero chiamati a coprire eventuali buchi creati insieme. Questo stallo esiste almeno da molti anni, ed era emerso quando la crisi dei mutui sub prime si trasformò in crisi del debito sovrano in Europa. In quel caso era stata la BCE a mettere in sicurezza il sistema “Europa” utilizzando al massimo le proprie competenze, con l’ormai celebre dichiarazione del suo Presidente, mentre gli Stati membri non erano stati in grado di trovare una soluzione politica.

In quel momento, si aprì uno scontro che vide, tra le altre proposte, anche quella degli Eurobond, che avrebbe consentito di avere risorse per salvare i paesi con un debito insostenibile, evitando al tempo stesso di “mutualizzare i debiti” esistenti, cioè mettere insieme a livello europeo tutto lo stock di debito accumulato fino a quel momento a livello nazionale. La parola fine in quello scontro la pose la Cancelliera della Germania, quando – riferisce in un curioso aneddoto l’allora Presidente del Consiglio italiano in questo articolo apparso sul Corriere della Sera – dando il suo benestare agli interventi di stabilizzazione della BCE disse a Mario Monti: “questo l’hai ottenuto; ma gli Eurobond no, not in my lifetime!”. Da Monti a Conte si sono succeduti diversi governi in Italia, mentre la Germania è ancora guidata da Angela Merkel, che al momento mantiene la posizione.

Perché si dice: “Eurobond, ora si può”?

Oggi che lo scontro si è riaperto, la situazione è sostanzialmente differente dal 2012 e gli esiti potrebbero essere sorprendentemente diversi. Intanto nel 2012 solo alcuni Paesi avevano il problema del debito, mentre altri non l’avevano. Oggi tutti i Paesi dell’UE sono colpiti dall’epidemia. Con la crisi dei debiti sovrani, le proposte avanzate dai paesi fortemente indebitati potevano essere viste – a torto o a ragione – come un azzardo morale, mentre oggi è chiaro che l’epidemia non deriva dai comportamenti finanziari azzardati di alcuni Paesi, ma è un dato di fatto che nasce nell’economia reale. Inoltre, l’obiezione dell’azzardo morale è più debole ora, dopo anni di politiche più responsabili e sacrifici orientati a rendere il debito pubblico italiano più sostenibile. Molti soggetti autorevoli si sono mossi per lanciare il proprio appello: da Papa Francesco a Emmanuel Macron, da Mario Draghi al Presidente Mattarella, fino al Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli, sono stati molteplici i richiami alla solidarietà e alla necessità di trovare una soluzione comune.

A questo punto serve però fare una netta distinzione, che molti dimenticano oppure omettono dolosamente. Lo scontro in atto è tra i governi e riguarda la proposta di misure che al momento non sono previste dai Trattati europei. Per quanto di sua competenza, l’Unione ha sfruttato a pieno i suoi strumenti e ha dato una rapida ed efficace risposta alla crisi.

A parte gli Eurobond, cosa ha fatto l’Europa?

Innanzitutto la Commissione ha messo a disposizione un piano da 37 miliardi per affrontare l’emergenza, e soprattutto ha sospeso immediatamente il patto di stabilità per quanto riguarda il finanziamento delle spese a livello nazionale necessarie per fronteggiare l’epidemia. Questo significa che in pochi giorno dopo l’inizio della crisi, i Paesi membri possono fare tutto il debito che occorre per salvare le vite dei propri cittadini.

Tuttavia, questo non bastava a un Paese come l’Italia, con un rapporto debito/PIL al 130% che crescerà almeno al 150% solo per effetto della contrazione del PIL (quindi senza nuovo debito). Come poteva il governo italiano fare nuovo debito senza fare schizzare alle stelle gli interessi? È quindi intervenuta la BCE che ha di fatto garantito che i titoli di Stato italiani li avrebbe comprati lei, creando la rete di protezione necessaria per consentirci di finanziarci ulteriormente. Lo ha fatto con un piano straordinario da 750 miliardi di acquisto di titoli di Stato, derogando addirittura alle regole sulle quote di acquisto che prevedevano una proporzionalità rispetto ai titoli acquistati dai vari paesi.

È evidente che chi prova a far passare il messaggio che la Cina e l’Albania ci aiutano più dell’Europa è male informato, oppure è un bugiardo in malafede. Come è naturale che sia, il prezioso aiuto – per cui dobbiamo essere grati – da parte di Paesi esteri è una goccia nel mare se messo a confronto con gli enormi strumenti finanziari messi in atto dalle nostre istituzioni, europee e nazionali.

Quindi il problema è la Germania?

Ciò detto su “cosa fa l’Europa” rispetto all’epidemia per quanto riguarda le sue competenze, resta sul tavolo il problema degli Eurobond. Molti in questi giorni dicono che gli Eurobond non si fanno perché la Germania non li vuole, ma questa è una mezza verità. È vero che la Germania non li vuole, ma non è vero che questo debba rappresentare un ostacolo insormontabile, in un sistema democratico che funziona a maggioranza. Mi spiego meglio. Il governo tedesco, come quello italiano, esprimono legittimamente le proprie posizioni intorno alla proposta. Sono eletti dai rispettivi corpi elettorali e perseguono il proprio interesse nazionale, come ciascun un governatore di Regione in Italia persegue l’interesse regionale. Il problema è che se diamo a ciascuna Regione il diritto di veto sulle proposte di riforma a livello nazionale, il governo sarebbe condannato a gestire l’ordinaria amministrazione ed entrerebbe in crisi non appena le circostanze richiedono nuovi strumenti.

Qual è allora il problema?

Poiché gli Eurobond non sono previsti attualmente dai Trattati, l’organo che sta discutendo la proposta e che deciderà come muoversi è il Consiglio europeo. Si tratta del consiglio in cui sono riuniti i capiti di governo dei Paesi membri, che assume prese di posizione sottoscritte da tutti i governi. Questo implica che se non si trova un accordo su una proposta, si cerca di ridurre tutto al minimo comune denominatore, perché potenzialmente qualsiasi Stato membro è in grado di mettere un veto. Siccome non è stato trovato un accordo sugli Eurobond, per ora il Consiglio europeo ha deciso di non decidere e ha chiesto all’Eurogruppo di studiare la questione e formulare una proposta specifica, ma il rischio è che tra due settimane si ripresenti lo stallo a cui abbiamo assistito finora.

Il problema, in definitiva, non risiede nel fatto che la Germania sia contraria agli Eurobond, ma che le regole del Consiglio europeo consentano alla Germania di bloccarli. Ora, queste regole sono problemi di chi governa, e non certo di noi cittadini. Noi saremo alle prese con la più grande crisi degli ultimi 50 anni, e giustamente pretendiamo che i nostri governanti trovino le soluzioni adeguate a fronteggiarla.

È possibile e auspicabile, considerate le circostanze, che i governi nazionali riuniti nel Consiglio europeo siano in grado di trovare una sintesi alle diverse istanze e garantire una vera soluzione comune. Tra l’altro, possono permettersi il lusso di una lunga negoziazione perché la Commissione e la BCE hanno comprato tempo e agito in modo tempestivo ed efficace. Ma se la situazione rimarrà in stallo, sarà il definitivo fallimento del metodo intergovernativo e diventerà ineludibile la necessità di ridurre il ruolo e i poteri del Consiglio europeo, che oggi è il vero grande malato d’Europa.

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