Francia 2025: tra croissant e crisi politiche

, di Camilla Scaglione

Francia 2025: tra croissant e crisi politiche

Il grande Pasticcere d’Europa, oggi è rimasto senza uova: un affondo nella crisi politica ed economica francese

È domenica 5 ottobre in Francia e Sébastien Lecornu, primo ministro da meno di un mese, ha presentato il suo esecutivo al Presidente Emmanuel Macron, che lo ha nominato premier per rifuggire l’ipotesi delle tanto temute elezioni anticipate. Temute perché vedrebbero una netta maggioranza all’estrema destra di Le Pen.

È lunedì 6 ottobre, sempre in Francia, e Lecornu si è dimesso. Perché? Perché in meno di 24 ore si è reso conto che non avrebbe avuto i numeri per formare un governo solido. Lecornu si è comportato da signore e si è fatto da parte in un momento in cui il Paese, il nuovo grande malato d’Europa, ha bisogno di una solidità basale nell’agone politico, cosa che lui e un suo esecutivo non potrebbero fornire.

È indubbio che la nostra vicina sia in sofferenza. Tra l’altro è una situazione che si trascina dalle ultime elezioni politiche, anticipate per davvero quelle, per via della drammatica sconfitta della coalizione macronista alle europee di luglio 2024. Sul banco europeo hanno infatti primeggiato le frange di estrema destra del Resemblement National di Marine Le Pen, cosa a cui è seguita una decisione epocale di Macron: sciogliere l’Eliseo.

Ma alle elezioni politiche francesi, tra lo stupore popolare, o almeno lepeniano e soprattutto del suo pupillo Bardella, che già si vedeva Premier all’età record di 28 anni, vince la destra moderata e gollista di Les Républicains. Il nuovo primo ministro è Michel Barnier e lo sarà fino alla mozione di sfiducia del parlamento nel dicembre del ‘24, in seguito al fallimento del voto sulla legge di bilancio.

Tasto critico quello della loi de finances, in quando lo Stato, membro dell’Unione Europea e uno degli -se non il principale- stati dell’eurozona per debito pubblico, che si aggira attorno al 111% del PIL (notare che la Ue permette un debito con soglia al 60% del PIL). Il che significa che lo Stato francese è in debole crescita e ha un debito totale pari a circa 1,11 volte tutto ciò che il Paese produce in un anno. Che, con una traduzione ulteriore, indica un debito pubblico che nel 2024 si attestava intorno 3mila miliardi di euro e che verosimilmente, in una situazione di mancata ripresa economica, è andato a crescere nel corso del 2025. Problematico, visto che già nel ‘24 la Commissione Europea aveva avviato un procedimento contro il deficit eccessivo dello Stato. Quindi sul Paese stanno spingendo molto le pressioni europee.

Il grosso del problema finanziario, a livello interno, sta in un parlamento, l’Assemblea Nazionale, nel caso francese, molto frammentato, ossia costituito da tre blocchi principali, uno di estrema destra, uno di sinistra e uno, quello che appoggia il Presidente in carica, di centro. Nessuno ha la maggioranza assoluta e non riescono a uscire da questa impasse. Per l’approvazione della legge di bilancio servirebbe infatti una maggioranza di 289 seggi su 577, cosa che nessuno dei tre gruppi ha e sembra impossibile trovare un punto di conciliazione a riguardo. Il tutto si riflette sulla politica, con una situazione molto simile a quella nostrana negli anni di più profonda crisi economica e tensione sociale, con continue cadute e rabberciate di governi (in 2 anni la Francia ha cambiato 4 primi ministri).

Ma chiusa questa parentesi squisitamente esplicativa, torniamo alle scelte del Presidente. Caduto anche il secondo governo, Macron non si è lasciato abbattere: la decisione di dimettersi dalla carica di Presidente non lo ha sfiorato minimamente, nemmeno durante le sue lunghe passeggiate solitarie sulla Senna. Così nasce il governo Francois Bayrou, figura centrista, alleato di Macron, sulle cui spalle si depone la creazione di una nuova stabilità politica. Il che non è poi successo, anzi Bayrou è caduto come Barnier, colpevoli sempre la legge di bilancio e l’accusa di immobilismo politico.

E arriviamo così alla nomina del fedelissimo di Renaissance, partito centrista nativo di Emmanuel, Sébastien Lecornu, ex Ministro della Difesa, scelto per rappresentare un governo più tecnocratico. Un governo tecnico, insomma, faccenda a cui noi italiani, memori di Monti, siamo ben avvezzi. Ma i francesi meno: è una novità per il Paese dei croissant e del pain au chocolat e, infatti, non finisce bene e, dopo soli 27 giorni dalla nomina del 9 settembre 2025, Sébastien si dimette, nonostante avesse appena presentato la rosa dei ministri a Macron. Ma Lecornu si rende conto della fragilità del terreno politico su cui stava camminando.

Si sarebbe portati a pensare che quanto detto avrebbe condotto a una chiusura totale del capitolo Lecornu all’Eliseo, ma così non è stato: Macron a sorpresa crea un Lecornu bis, che il suddetto accetta, mesto e a testa bassa, “pair devoir” (per dovere) scrive sul suo X. L’obiettivo di questo secondo esecutivo, per nomine di pochissimo distante dal Lecornu I, è quello di portare a casa la riforma di bilancio entro fine 2025 e che si giunga a un risanamento del debito pubblico.

Tuttavia il neonato governo non parrebbe avere davanti a sé un percorso semplice, date le minacce di sfiducia già arrivate da ambo le ali politiche: infatti sia la destra estrema di Le Pen con Resemblement National, sia la sinistra più indomita di La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon hanno minacciato mozioni di sfiducia subitanee al nuovo esecutivo, a cui, tra l’altro, i Repubblicani hanno annunciato di non voler partecipare. Questo è un dato da non sottovalutare, anzi la presenza al governo di Les Républicains è centrale. Stiamo parlando della destra repubblicana e gollista che è stata di Barnier, ma più rappresentativa per il partito è la figura di Nicolas Sarkozy, ex Presidente della Francia dal 2007 al 2012. LR non è più nella sua epoca d’oro, come quando a capo della Repubblica c’era l’appena citato Sarkozy, ma resta un partito di peso per creare una maggioranza in parlamento. Proprio per questo motivo Macron aveva puntato sul repubblicano Barnier per creare un governo che evitasse gli estremismi di destra e di sinistra. Purtroppo gli è andata male e sembra che Emmanuel, che non si rassegna ad alzarsi dalla poltrona presidenziale, non stia godendo di grande fortuna nelle sue scommesse politiche.

Solo il tempo, speriamo non così breve come il primo mandato, dirà se il Lecornu bis riuscirà nell’impresa di restituire una parvenza di stabilità al Paese, tragicamente romanticizzato dalla narrativa comune, ma, nella realtà, Stato in ginocchio a livello economico e sociale.

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