Dopo un lungo periodo di osservazione come ospite della Commissione, e due saggi sui più importanti temi legati all’UE, Menasse, in questo libro, ha colto ogni rotella, dalla più oliata alla meno funzionante di una burocrazia fatta di ideali, ma anche di arrivisti, romanzata al punto giusto con giubilei falliti ed un maiale che si aggira per le strade della città.
Un’insalatona ironica di tanti tasselli slegati, che acquistano pagina dopo pagina un’immagine d’insieme alla quale, senza troppo palesarsi, il narratore accompagna per mano chi legge.
Il romanzo ruota attorno a due nuclei principali, la celebrazione del cinquantesimo anniversario dalla fondazione della Commissione Europea ed un omicidio insabbiato, che anima il racconto con un ritmo incalzante e colpi di scena. L’organizzazione dell’evento viene affidata a Fenia Xenopoulou, coordinatrice della Direzione Generale Cultura, sezione insulsa e mal voluta da tutti, che si augura grazie a questo incarico di poter fare quel salto di qualità che le serve per tornare ad occuparsi di ciò che davvero le interessa.
Il Jubilee Project, grazie ad un’idea di Martin Susman, pone al centro del progetto: Auschwitz, vera capitale morale dell’Europa. L’idea però non sembra decollare ed i funzionari delle varie nazioni si mettono in mezzo perché questa celebrazione non solo fallisca, ma lo faccia sotto la peggiore luce.
“Quello che la Commissione è o dovrebbe essere, disse Martin, si è potuto pensarlo solo dopo Auschwitz. Un’istituzione che spinge gli stati a rinunciare gradualmente ai loro diritti sovrani nazionali… […] Le vittime provengono da tutti i paesi d’Europa, portano tutte la stessa divisa a righe, vivono tutte all’ombra della stessa morte e tutte, nella misura in cui sono sopravvissute, hanno lo stesso desiderio: la garanzia del riconoscimento dei diritti umani valida per il futuro. Nella storia niente ha unito tanto le varie identità, mentalità, culture d’Europa, le religioni, le cosiddette razze diverse e le ideologie in guerra fra loro, niente ha creato una comunanza così profonda tra tutti gli esseri umani come l’esperienza di Auschwitz. Le nazioni, le identità nazionali, è tutto irrilevante, che uno sia spagnolo o polacco, italiano o ceco, austriaco, tedesco o ungherese, è irrilevante, la religione, l’origine, tutto azzerato in un sogno comune, il desiderio di sopravvivere, il desiderio di una vita libera e dignitosa.”
Questa non è l’Europa che traspare dal romanzo, perché Martin Susman è uno dei pochi idealisti rimasti, che ancora crede nell’UE non come scala per carrieristi ma come unico luogo dove la tutela dei diritti umani e la pace sono al centro della politica dei paesi che ne fanno parte.
Il quadro generale è quello di un mondo in cui le aspirazioni personali e la competizione portano a rapporti calcolati e di facciata, il cui apice è il legame tra Fenia Xenopoulou e Kai-Uwe Frigge (direzione generale per il commercio), che pur di non restare soli e spingere per fare carriera, iniziano una relazione di comodo.
La visione d’insieme spazia dalla crisi dei migranti, ad un’economia che arranca, fino al terrorismo, con l’obiettivo di raccontare attraverso anche la figura grottesca del maiale, l’assurdo che si aggira a Bruxelles. La Capitale è una critica, scritta da un convinto europeista, su come la burocrazia abbia reso sterile l’ideale dei fondatori dell’Unione Europea, in un periodo storico in cui i sovranismi e gli interessi personali ancor prima di quelli nazionali indeboliscano la macchina dell’Europa e la fiducia della popolazione per le sue istituzioni.
Ad oggi, la visione che la popolazione ha delle istituzioni europee è quella cinica ed egoista descritta da Robert Menasse oppure è più positiva? E la fiducia nei confronti dell’Unione Europea è diminuita?
Nonostante la pandemia da Covid-19 e la crisi climatica, nel 2021 l’opinione riguardante l’Europa è rimasta per lo più buona. Secondo un sondaggio svolto dalla Commissione Europea “l’Eurobarometro” tra l’inverno 2020-2021, la fiducia dei paesi membri è cresciuta, registrando i livelli massimi da più di dieci anni: il 49% delle persone intervistate hanno fiducia nell’UE ed il 46% ne ha una visione positiva. In Italia questo andamento risulta sempre più concreto e nel 2022, sebbene il governo spinga dalla parte opposta, la fiducia nei confronti delle istituzioni europee è passata dal 47% nel 2021 al 54%.
Uno studio condotto dall’ Osservatorio Politico CISE riporta che tra i cittadini italiani la maggior fiducia è rivolta al Presidente della Repubblica, con il 51,2%, mentre sono i partiti politici di cui ci si fida di meno. Per quanto riguarda il Parlamento Europeo la fiducia è in maggioranza di centrosinistra (67,5% PD- 92,5% +Europa) ed in minoranza a destra con la Lega (16,4%) e Fratelli d’Italia (11,4%).
Il dato più rilevante è che gli italiani si fidano molto di più delle istituzioni europee, che di quelle nazionali, che sia un dato positivo o no, non è certo, ma quello che è sicuro è che i cittadini italiani hanno bisogno dell’Unione Europea e la maggioranza non ha intenzione di lasciarla andare, sebbene la fetta numerosa di chi crede che l’Italia debba seguire le orme della Gran Bretagna sia sempre più in crescita.
La fiducia è qualcosa di instabile e facilmente mutabile, e basta un nonnulla perché i dati ricadano a picco in un clima di scetticismo ed insoddisfazione. Nulla è certo, ma questi dati lo sono ancora meno, ciò che è sicuro è che l’Italia ha bisogno dell’Unione Europea e lei dell’Italia per poter continuare a mantenere un luogo di pace e collaborazione fra gli Stati.
Il maiale a Roma ancora non l’abbiamo visto, ma se al suo posto ci fossero i cinghiali?
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