Governo europeo e cittadini europei

, di Guido Montani

Governo europeo e cittadini europei

La decisione del Consiglio europeo di consentire al Parlamento europeo e alla Commissione europea di attingere nuove risorse proprie, mediante la tassazione europea, al fine di rendere possibile un prestito europeo di 750 miliardi di euro, è stata definita dal Presidente Macron “storica”. In effetti, il piano della Commissione “Next Generation EU” è una risposta coraggiosa alla crisi provocata dalla pandemia che ha causato una drastica caduta della produzione e dell’occupazione in tutti i paesi dell’Unione. Il piano è effettivamente d’importanza storica perché rafforza finalmente il rapporto tra Commissione e Parlamento europeo, sino ad ora soffocato dalla preponderanza del Consiglio, che nel passato si è arrogato poteri di governo dell’Unione.

La comparsa all’orizzonte di un «governo europeo», impersonato dalla sua Presidente, Ursula von der Leyen, non è ancora ben compresa, anche perché è un governo con poteri limitati. Alcune riforme istituzionali importanti, come l’abolizione del diritto di veto nel Consiglio europeo e nel Consiglio dei Ministri, dovranno essere prese in considerazione dalla futura Conferenza sul futuro dell’Europa. In ogni caso, è difficile che Parlamento europeo e Commissione accettino di vedersi sottrarre il potere di attingere alle nuove risorse proprie. Per questo, è opportuno considerare le condizioni che potrebbero favorire il rafforzamento del “Governo europeo” sino alla creazione di una vera e propria democrazia parlamentare europea, come hanno chiesto alcuni deputati europei.

In una democrazia, un governo è considerato stabile e autorevole sulla base del consenso di cui gode presso i cittadini. Oggi, questo parametro, per la Commissione, è talmente evanescente che non viene nemmeno preso in considerazione dai mass media e dagli osservatori politici. Secondo i Trattati europei, i cittadini nazionali sono anche cittadini europei. Tuttavia, la cittadinanza europea non è percepita dalla stragrande maggioranza come un valore da difendere, se si escludono gli studenti di Erasmus, gli imprenditori che esportano sul mercato europeo e gli esclusi, com’è successo con la Brexit e come accade con gli immigrati. Ciò nonostante, il fatto che il governo europeo possa ora offrire un considerevole aiuto a tutti i paesi dell’Unione per uscire dalla crisi pandemica, introduce un aspetto nuovo nel panorama politico. Si può manifestare quel fenomeno che negli stati federali è definito come doppio lealismo, verso il governo dello stato membro e verso il governo federale. Si tratta di un processo che richiede tempi lunghi. Basti ricordare che negli Stati Uniti il riconoscimento della cittadinanza federale avvenne solo alla fine della guerra civile, nel 1868 (Citizenship Clause), ma come dimostrano le recenti proteste del movimento "Black Lives Matter”, la non-discriminazione non è ancora garantita in tutti i 50 stati della Federazione.

Qui intendo discutere due processi che possono incidere in modo rilevante sulla formazione del lealismo europeo, oppure, per usare un altro punto di vista, sull’identità europea o, ancora, sullo “European way of life”, come lo ha definito la Commissione europea. Il primo processo riguarda la politica interna europea e il secondo la sua politica estera.

La politica interna dipende, nel lungo periodo, dall’atteggiamento dei partiti la cui struttura di potere oggi è nazionale, non europea. Purtroppo, l’ondata sovranista che si è manifestata dopo la fine della guerra fredda non è un fatto unicamente europeo, ma mondiale. È pertanto difficile separare i due aspetti, interno ed esterno. Tuttavia, per quanto riguarda la politica interna è possibile e necessario rintuzzare gli argomenti dei sovranisti – che considerano l’Unione europea come un potere “straniero” che intende sottrarre diritti e risorse economiche ai cittadini nazionali – con l’evidenza dei fatti: il piano “Next Generation EU” è un aiuto ai cittadini che, se rifiutato, ridurrebbe considerevolmente le occasioni per una ripresa della produzione e dell’occupazione. Purtroppo, gli argomenti dei sovranisti fanno breccia anche tra i cosiddetti partiti europeisti, che difendono debolmente o con estremo imbarazzo le politiche dell’Unione. La questione cruciale, che andrebbe chiarita con fermezza, è l’inescusabile confusione tra sovranità nazionale, che è considerata un valore assoluto (e pertanto alimenta pretese irragionevoli), e indipendenza nazionale, che è un valore legittimo da difendere, ma relativo, perché si concilia con l’interdipendenza internazionale – economica, politica e culturale – che è un fenomeno inevitabile nelle società moderne e che va regolato mediante politiche comuni, gestite da organismi sovranazionali. Mazzini scriveva nel 1871: «noi vogliamo gli Stati Uniti d’Europa, l’Alleanza repubblicana dei popoli. … L’umanità è il fine, la nazione il mezzo». Se si accetta questo punto di vista, dovrebbe allora cadere la pretesa che non vi siano condizionalità agli aiuti europei. Certo che ci devono essere. Se le risorse economiche sono europee e non nazionali, è dovere del governo europeo, cioè della Commissione, sorvegliare che questi fondi vengano ben utilizzati nell’interesse di tutti i cittadini europei, non solo da chi li amministra localmente.

La politica estera dell’UE è il secondo aspetto che condiziona la formazione dell’identità europea dei cittadini. Nel passato delle nazioni sovrane si è potuto sostenere che l’identità nazionale si plasmava nelle trincee, col ferro e col sangue, nella lotta per la difesa dei sacri confini nazionali. L’Unione europea non è una nazione e non lo diventerà. Un’unione sovranazionale rinnegherebbe le sue fondamenta ideali che risiedono nel motto “Unità nella diversità”: è un’unione sovranazionale di popoli nazionali. La sua politica estera si deve dunque fondare sul medesimo principio, anche verso gli altri popoli del Pianeta. Per parafrasare Mazzini: «gli Stati Uniti d’Europa sono il mezzo, l’umanità è il fine». Come tradurre in un piano politico quest’orientamento ideale? La strategia attuale di politica estera dell’Unione sta già andando in questa direzione, sebbene si arresti alla soglia degli interventi che richiedono un uso limitato della forza militare, come sarebbe necessario nella regione del Mediterraneo, e che non saranno possibili sino a che non vi sarà un’Unione della difesa europea. Tuttavia, il piano “Next Generation EU” contiene un nucleo di potere internazionale importante, il Green Deal Europeo, che proietta l’Unione all’avanguardia della lotta per la sostenibilità globale. Inoltre, il piano che Unione Europea e Unione Africana hanno recentemente stipulato (Joint Communiqué, 29/2/2020) include un insieme considerevole di accordi per uno sviluppo sociale, economico, ecologico e per la sicurezza tra i due continenti. A livello mondiale, l’Unione europea cerca costantemente di attenuare i contrasti tra il governo americano e il governo cinese, proponendo iniziative per riformare le organizzazioni mondiali, come la WTO, su basi multilaterali. In definitiva, la politica estera europea si fonda sulla estensione del principio “unità nella diversità” anche nei rapporti con gli altri continenti, per favorire le unioni continentali, e su scala mondiale, per rendere possibile una pacifica global governance. L’abolizione progressiva delle frontiere nazionali è dunque una politica che può essere perseguita anche al di fuori dell’Unione e che può condurre sino al riconoscimento di una cittadinanza cosmopolitica.

Si potrebbe obiettare a queste ultime considerazioni osservando che il sistema internazionale attuale si sta orientando in una direzione del tutto opposta: le grandi potenze – USA, Cina, Russia, India – sono in lotta per la supremazia mondiale e adottano le strategie politiche ed economiche del nazionalismo per riuscire nel loro intento. È vero: l’Unione europea sarà stritolata e smembrata se non riuscirà a invertire la tendenza. Questa osservazione mette a fuoco le difficoltà della lotta, ma il politico federalista non si arrende: il nazionalismo si può vincere. Il federalismo europeo si differenzia dal pensiero politico del passato perché ha concepito la lotta per la federazione europea come un’alternativa alle divisioni nazionali, una tappa verso l’unità di tutti i popoli del Pianeta e la pace. Ogni pensiero rivoluzionario, alle sue origini, è difeso solo da una piccola avanguardia ma, se la diagnosi dei mali dell’epoca e dei possibili rimedi è corretta, altri seguiranno l’esempio, nella società e nella classe politica. Il federalismo europeo oggi può contare su una solida base istituzionale, l’Unione europea, come avamposto e arsenale per una politica mondiale. Rafforzare il consenso tra cittadini europei e governo dell’Unione, per renderlo capace di agire verso l’interno e l’esterno dell’Unione è necessario e possibile. «La via da percorrere non è facile, né sicura. Ma deve essere percorsa, e lo sarà!».

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