Riflessioni sul futuro delle relazioni tra l’Est Europa e i paesi dell’Unione

Il crollo del blocco comunista Est-Europeo: il ritorno di Yalta e la difficile riappacificazione

, di Dino Šabović

Il crollo del blocco comunista Est-Europeo: il ritorno di Yalta e la difficile riappacificazione
Autore: Gavin Stewart, Fall of the Berlin Wall 1989, https://www.flickr.com/photos/gavinandrewstewart/93221855, nessun cambiamento effettuato

Con il crollo del blocco comunista Est-europeo, la dissoluzione dell’Unione Sovietica (26 Dicembre 1991) e la creazione dell’Unione Europea (Maastricht 1992), avrà inizio il processo d’avvicinamento e d’integrazione di diversi ex-Paesi comunisti d’Europa al mondo Euro-Atlantico. Ciò sarà possibile grazie agli eventi che si sono susseguiti a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso: quando i diversi popoli dell’Est-Europa intrapresero un inaspettato cammino verso la propria autodeterminazione nazionale, un processo che era già cominciato in Polonia e che prese sempre più piede anche grazie alle politiche più permissive di Andropov e, poi, di Gorbačëv. Un processo di autodeterminazione quasi sempre pacifico dei satelliti di Mosca che porta con sé, però, un grande quesito: perché Gorbačëv e la sua leadership non intervengono per fermarlo, con la forza o in altro modo come in passato? La risposta riguarda proprio alla visione ideologica sia della sicurezza che del futuro che Gorbačëv aveva abbracciato per l’Europa. Infatti, il leader sovietico vuole tenere fede al suo impegno, assunto a partire dalla metà degli anni Ottanta con Washington, di creare un contesto di sicurezza migliore per il mondo, ma anche soprattutto per l’Europe all’insegna di una “comune casa europea”: cioè un’Europa priva di confini dove le persone sono libere di muoversi, libere dalla fame e libere dalla paura della guerra [1]. Inoltre, egli è fortemente convinto che questo suo indirizzo possa spronare questo processo di democratizzazione sotto la guida di Mosca, nonché di utilizzarlo per “entrare” nell’economia globale e potersi così integrare con l’Occidente [2]. A tal proposito osserverà Margaret Thatcher: “Non siamo più in una Guerra Fredda” [3].

Sembra che gli anni Novanta segnino l’inizio di una nuova era per i rapporti degli ex-alleati della Seconda Guerra Mondiale, dove i vecchi timori del dopoguerra lasciano spazio a una sana e proficua cooperazione tra i diversi popoli d’Europa e del Nord America. Con il raggiungimento di quegli obiettivi che si erano assunti a Yalta nel 1945, dove l’autodeterminazione dei popoli ne faceva da manifesto. Ma prima di addentrarsi nei propositi di Yalta e il “ritorno” di quest’ultima, si vedano brevemente i punti salienti del cambio di direzione della nomenclatura sovietica.

Gli anni che seguono l’abbattimento del muro di Berlino (9 Novembre 1989) segnano una brusca, ed irreversibile, accelerata nel processo di dissoluzione del blocco Est-europeo. Un processo che agli occhi dei più arriva inaspettato, ma di cui si potevano già percepire i primi segnali già agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso: da un lato lo Shock Petrolifero (1973) mette in crisi le economie comuniste dell’Est-Europa, portando a un graduale deterioramento della qualità di vita dei cittadini; i grandi centri industriali, fiore all’occhiello dei sistemi comunisti, generano non indifferenti problemi all’ambiente e alla salute dei cittadini a causa della mancanza di norme ambientali; il sistema della pianificazione economica, inoltre, si dimostra sempre più incapace di provvedere al soddisfacimento della domanda di beni dei cittadini e in particolar modo di quelli legati all’agricoltura (farina, pane e altri beni alimentari), portando i diversi Paesi comunisti dell’Est-Europa ad importare sempre più prodotti alimentari dall’estero (anche dagli USA) a un prezzo sempre crescente. Per tali motivi, i diversi regimi Est-europei, acuiscono il loro controlli sui propri cittadini limitandone la possibilità di entrare in contatto con testimonianze od immagini del vicino mondo Occidentale (dove la qualità di vita è nettamente superiore a quella Est-europea), con lo scopo di contenere e reprimere eventuali proteste dovute alla fallacità del sistema dittatoriale. Ed è la stessa Unione Sovietica, collante di questa realtà comunista dell’Est, a non essere immune a tutti questi fattori sia endogeni che esogeni: l’intervento di Mosca in Afghanistan (1979-1989) si dimostra una tediosa spina nel fianco per il Cremlino, dove l’impiego di diverse risorse (uomini, mezzi, soldi, tempo e via così discorrendo) si dimostrano incapaci a placare i tumulti del vicino Paese Medio-Orientale, gravando di conseguenza sulle casse del Paese leader dell’internazionale comunista [4]. Inoltre, la corsa agli armamenti di Mosca contro Washington, porterà l’URSS ad impiegare ingenti, ma pur sempre insufficienti, risorse economiche nell’apparato militare lasciando, di conseguenza, indietro altri settori. Sarà infatti l’annuncio dell’amministrazione Reagan nel 1983 dello SDI (Strategic Defense Initiative), un sistema di raggi laser capaci di distruggere qualsiasi missile proveniente dall’esterno, a spingere Mosca a rintracciare toni più colloquiali con Washington ai fini della preservazione degli accordi missilistici precedenti (il trattato ABM del 1972) [5]. Ma anche di quelli che erano in corso in quegli anni (gli accordi START poi firmati nel 1991) perché ad avviso del segretario del PCUS Jurij Andropov, esso renderebbe vani gli accordi di disarmo bilaterale in corso, poiché, chiaramente, l’intento che si celava dietro il progetto era quello di privare l’Unione Sovietica della possibilità di ricorrere all’arma nucleare non solo in attacco, ma anche in rappresaglia, lasciandola quindi completamente vulnerabile alla minaccia statunitense. Inoltre, qualora perseguito e realizzato il progetto SDI, porterebbe l’URSS a sostenere dei costi di sviluppo e di ricerca tecnologica militare insostenibili [6].

Il Cremlino è conscio, pertanto, dei propri limiti sociali, economici e politici, e del fatto che essi potrebbero, se lasciati senza una giusta risposta, rimettere in subbuglio tutta l’Europa e non solo. E alla fine dei conti Mosca necessita di una sana cooperazione con Washington e l’Occidente, perché lavorando insieme si può trovare una soluzione ai propri problemi interni e scongiurare, inoltre, quella guerra nucleare “che non può essere vinta e nemmeno combattuta” [7].

Intanto il sistema, già a partire dal 1980, viene scosso da diversi scioperi operai causati dall’aumento dei prezzi dei beni alimentari, e in particolare in Polonia (dove sorge il primo sindacato ad ispirazione non-comunista: Solidarność). Questo stato di crisi generale nel blocco comunista arriva a un ulteriore punto di svolta con la nomina di Michael Gorbačëv (1985) quale nuovo segretario del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS). Quest’ultimo cercherà di rilanciare l’Unione Sovietica con un progetto riformatore composto da tre punti: a) “glasnost” cioè trasparenza in tutti gli aspetti della vita nazionale; b) “uskorenic” cioè accelerazione della crescita economica; c) “perestrojka”, cioè ristrutturazione dell’intero sistema socio-economico-politico [8]. Sul piano della politica estera, Gorbaciov è determinato a liberare l’Unione Sovietica dalla propria gabbia ideologica e a smussare i rapporti di potenza creati in passato [9]. Scriverà a tal proposito un accademico sovietico: “non dobbiamo più guardare noi stessi come un modello di sviluppo alternativo per l’intero mondo, e avendo compreso i nostri limiti economici e politici noi ci stiamo impegnando a non nascondere i nostri contatti con lo stile economico internazionale dell’Occidente. Ma al contrario, noi vorremmo integrarci con questo sistema e adottare le sue già esistenti strutture” [10].

In ogni caso questi sforzi si dimostreranno inutili ai fini della preservazione e della riformazione del mondo comunista Est-europeo. Portando, irrimediabilmente, al crollo di quest’ultimo e alla dissoluzione dell’URSS, due processi che porteranno alla nascita o rinascita di nuovi Stati in Europa: Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Ungheria, Bulgaria, Romania, Moldavia, Bielorussia, Estonia, Lettonia, Lituania, Ucraina e Russia. E di altri nel Caucaso e nell’Asia Centrale: Georgia, Armenia, Azerbaigian, Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Kirghizistan e Tagikistan.

Concentrandosi sul continente europeo, si può notare come l’URSS, a partire dagli anni Ottanta, abbia avuto un comportamento alquanto conciliante con gli impegni che si erano assunti a Yalta più di quaranta anni fa. Se si riprende in mano il documento concordato a Yalta (11 Febbraio 1945) da Londra, Washington e Mosca alla Sezione V del documento (“Dichiarazione sull’Europa Liberata”) si può leggere come i tre dichiarino “di essersi reciprocamente accordati per coordinare, durante il periodo momentaneo di instabilità nell’Europa liberata, la politica dei loro tre Governi sull’assistenza da portare ai popoli dell’Europa liberata dalla dominazione della Germania nazista e ai popoli già satelliti dell’Asse, perché possano risolvere democraticamente i loro presenti problemi politici e economici. […] Questo è un principio della Carta Atlantica: diritto di tutti i popoli di scegliere la forma di governo sotto il quali essi vogliono vivere, restaurazione dei diritti sovrani e dell’autogoverno ai popoli che ne sono stati forzatamente privati dai paesi aggressori” [11]. Pertanto, i Tre Grandi decisero allora di aprirsi a una strada che portasse verso un futuro migliore capace di lasciare alle spalle gli orrori degli anni precedenti, perseguendo un futuro di libertà per i popoli del mondo: ma questi intenti nobili saranno oscurati dalle vicissitudini del dopoguerra. Infatti, Stalin non ritirerà mai l’Armata Rossa dai territori liberati dal giogo nazi-fascista e non esiterà ad instaurare regimi comunisti in Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Bulgaria, Romania e Germania dell’Est [12]. Mentre gli Stati Baltici rimarranno parte integrante dell’Unione Sovietica a seguito di alcuni plebisciti sommari fatti nel 1940 [13]. E dove vi fu la volontà di perseguire una strada autonoma rispetto a quella di Mosca, l’URSS non esitò ad intervenire per ristabilire lo Status Quo: sono i casi dei due colpi di Stato che si ebbero in Ungheria (1947) e in Cecoslovacchia (1948) [14].

In ogni caso, anche se il comportamento di Mosca è deprecabile sotto i diversi punti di vista, bisogna pur tenere conto che tali scelte non furono solo dettate da precise esigenze strategiche del Cremlino ma rispondevano anche ad azioni politiche verso gli altri due alleati che, sia prima della guerra che durante, non furono sempre collaborative con il regime sovietico. Basti citare che durante lo sbarco alleato in Italia Stalin non fu consultato e che a Potsdam Washington rimase intransigente nel mantenere la sua posizione di monopolio sulla bomba atomica escludendone la condivisione con i sovietici [15]. Ma in ogni caso, nonostante questi screzi, la cooperazione tra i due mondi rimarrà e il confronto si sposterà dalle armi a quello politico-ideologico, tenendo sempre fede all’obiettivo di mantenere la pace sia in Europa che nel globo.

Capiti i propositi della sezione V di Yalta è facilmente comprensibile come dal 1985 vi sia un graduale ritorno di Yalta e della “Dichiarazione sull’Europa Liberata”. I comportamenti sempre più permissivi dei Sovietici corrispondono a pieno agli obiettivi della sezione V, un comportamento che lascia mano libera ai singoli popoli sotto l’URSS di potersi autodeterminare pienamente e di perseguire il futuro che meglio gli si addice.

Insomma, l’ipotesi di Gorbačëv di “un “comunismo morbido”, “dal volto umano” non riesce a prendere corpo per le oggettive contraddizioni che genera” [16], e come già fatto emergere tra il 1990 e il 1991 si avvierà la dissoluzione dell’Unione Sovietica, che porterà alla nascita dei cosiddetti Stati post-sovietici e allo scioglimento del COMECON e del Patto di Varsavia [17]. E dove la neonata Russia sarà l’erede della defunta Unione Sovietica, e anche degli impegni presi a Yalta: infatti, “con l’adozione in questi Stati di libere elezioni, c’è il “ritorno di Yalta” con l’applicazione delle disposizioni concordate in quella sede” [18].

Ma il “ritorno di Yalta” corrisponderà anche a una sottospecie di resa dei conti tra i popoli dell’Est-Europa con quelli dell’Occidente: in breve, con Yalta (ma anche Potsdam) viene segnato il destino del nuovo ordine mondiale, ed è su queste basi che il mondo euro-atlantico si è dovuto strutturare, prendendo realisticamente atto della perigliosa contingenza storica. Queste radici saranno talmente profonde e sentite, da entrambe le parti della cortina di ferro, che persino dopo la dissoluzione sovietica molti paesi Est-europei ricorderanno, richiedendo l’accesso all’UE e anche alla NATO, l’abbandono dell’Est-Europa all’oppressione sovietica scaturita a seguito della conferenza di Yalta (e Potsdam) [19]. Una retorica accusatrice che però non si esaurisce solo con Yalta (e Potsdam), ma affonda le sue radici già ben prima della guerra: infatti gli slovacchi e i cechi ribadiranno come l’Occidente, nel momento del bisogno, sia stata compiacente con le richieste del Terzo Reich durante la Conferenza di Monaco (1938) etichettando quest’ultimo come il “Diktat di Monaco”; mentre gli Stati Baltici e la Polonia muoveranno pesanti accuse per il Patto Molotov-Ribbentrop.

Queste accuse Est-europee verso l’Occidente verranno usate soventemente durante i processi di ingresso nell’UE e nella NATO: infatti gli Stati di nuova indipendenza dell’Est non avranno alcuna intenzione di lasciarsi alle spalle questi avvenimenti storici, ma li utilizzeranno per fare pressione sugli Occidentali. Attraverso questo ricatto l’Ovest avrebbe dovuto sanare, almeno in parte, le storiche ferite del prima, durante e dopo il Secondo Conflitto Mondiale. A tal proposito è interessante riportare alcune parole, del 1992, di Gorbačëv a riguardo dei retaggi del dopo guerra e della guerra fredda dell’Occidente nei confronti del blocco comunista Est-europeo e sulla neonata Russia: “In Occidente non si è ancora fatta luce definitiva su quale sia l’atteggiamento politico da tenere nei confronti della Russia. Il retaggio della “guerra fredda” rimane di gran lunga non superato; coloro che vivono “eternamente nel passato” continuano ad avere influenze nefaste sulla politica - sia negli Stati Uniti che in alcuni Paesi europei” [20].

Le parole dell’ex-leader sovietico danno una chiara comprensione dei sentimenti che vi erano all’indomani del crollo dell’URSS e di come molti Paesi, sia che ad Est che ad Ovest, continuassero a guardare il mondo con gli occhi del dopo guerra. Una concezione del mondo che è rimasta nel corso dei decenni che seguirono il processo d’integrazione di molti Est-europei nel contesto euro-atlantico. È infatti cosa nota che molti Paesi di nuova entrata (quali la Polonia, l’Ungheria, la Repubblica Ceca e la Slovacchia) non abbiano sempre dimostrato un comportamento in linea con i principi dell’Unione Europea. Anzi, soventemente tali Stati richiamano vecchi fantasmi del passato per giustificare il loro “remare contro” al processo d’integrazione. Accusando le istituzioni europee e gli Stati membri di lunga data di volerli ingurgitare, riportando la loro condizione a quella del secolo passato. Ed è qui che si presenta la contraddizione di queste pretese che provengono dall’Est-Europa: accusando gli europei Occidentali (e il Nord America) di averli “svenduti” all’URSS con Yalta (e Potsdam), non fanno segreto di essere alquanto inclini a mantenere in piedi il sistema creatosi alla fine della Seconda Guerra Mondiale, dove l’autodeterminazione è funzionale alla loro sovranità. Un punto che Yalta (e Potsdam) ritengono cruciali per la pace globale, ma che corrispondeva alle necessità di un contesto globale, quello del dopo guerra, che è totalmente differente rispetto a quello di oggi. E che chiaramente mantengono i rapporti intra-europei su posizioni anacronistiche.

Per fare un esempio: nel corso della prima metà del XXI secolo, Parigi e Berlino si sono impegnati a migliorare i rapporti con Mosca per poter dare un migliore contesto di sicurezza all’Europa in generale e per poter garantire una sana collaborazione russa nel campo dell’energia. Tant’è che nel 2006 Germania e Russia firmeranno un accordo per realizzare il gasdotto Nord Europeo [21]; questo accordo scatenerà forti critiche dal governo polacco che accuserà Berlino di perpetrare un accordo all’intesa Molotov-Ribbentrop [22].

È chiaro che questo eterno ritorno di una retorica d’accusa nei confronti dell’Europa Occidentale e il comportamento spesso accomodante delle democrazie più avanzate dell’UE non crea una situazione favorevole per fare passi avanti sostanziali nel processo di integrazione del continente. E tutto ciò porta, di conseguenza, a una “difficile riappacificazione” del contesto europeo. Il “ritorno di Yalta” che abbiamo descritto nelle relazioni internazionali accentua chiaramente questa situazione.

Avviandosi alle conclusioni, il “ritorno di Yalta” sta risvegliando irrimediabilmente le coscienze nazionali dei diversi Paesi Est-europei, una coscienza che guarda sempre con diffidenza i processi d’integrazione prediligendo, anche per un tornaconto personale, lo status quo dell’Unione Europea. Dove tutto rimane saldamente ancorato al metodo intergovernativo e al voto all’unanimità.

Pertanto, è vero che, come sostenuto da Indro Montanelli, “su Yalta non si è mai smesso di discutere. Gli ammiratori di Roosevelt - e sono tanti, non solo in America - sostengono che a Yalta, poi, in fondo non successe nulla. Non è vero, essi dicono, che l’Occidente «vendette» alla Russia mezza Europa: a prendersela aveva già provveduto l’Armata Rossa. Ed è vero. Ma è altrettanto vero che Yalta, contentandosi di un generico impegno di Stalin a rispettare la volontà dei popoli, gli diede via libera e «regalò», come ha scritto Will, "alle baionette sovietiche una rispettabile fodera di pergamena” [23].

Pure Athan Theoharis, scrivendo su Yalta, giunge a una conclusione simile a quella di Montanelli, pur con toni meno paternalistici: infatti, parlando dei vari armistizi susseguitisi verso il finire della guerra, l’amministrazione Roosevelt si limitò ad accettare l’influenza sovietica nell’Est e “gli accordi di Yalta hanno confermato questa accettazione dell’influenza sovietica nel dopo guerra e l’importanza di soddisfarla per evitare disarmonie e conflitti” [24]. Questa linea d’azione verrà anche confermata a posteri dal Segretario Generale NATO Manfred Wörner parlando dei cambiamenti che stavano avvenendo nel 1989 e di una eventuale Nuova-Yalta: “Noi ci auguriamo un’evoluzione e non una rivoluzione, diversificazione e non destabilizzazione. Però non è il nostro compito e nemmeno nelle nostre possibilità di controllare il corso degli eventi là. Né da soli né con l’URSS in un nuovo accordo di Yalta possiamo stabilire nuove zone d’influenza. Le concessioni che potremmo ottenere da questo accordo non risolverebbero i profondi problemi dell’Est Europa, e nemmeno le relazioni Est-Ovest. I cambiamenti dei nostri valori e obiettivi sono già in rapido cambiamento. Mentre l’Ovest e l’Est provano ad armonizzare le loro visioni, né noi – né loro – potremmo avere fiducia in un accordo che potrebbe controllare il ritmo del breve periodo, per poi vedere maggiori disordini che ci rincorreranno più tardi” [25].

Ma è inoltre chiaro che fino a quando perdurerà questo reciproco “astio” tra ex-Paesi del blocco comunista sovietico e il mondo euro-atlantico (che si ricordi essere stato largamente abbracciato e richiesto da questi Stati anacronistici) non vi potrà essere una visione concreta per un’unica Europa. Il ricatto dei paesi dell’est sta costringendo decine di milioni di cittadini europei, desiderosi di una casa comune, a rimanere vittima di queste narrazioni anacronistiche e nazionaliste che lasciano poco spazio di manovra ai popoli europei e alle organizzazioni comunitarie per scrollarsi dalle spalle la pesante eredità del dopoguerra.

Note

[1Bozo F., Rey MP., Ludlow N. P., Nuti L., 2008, “Europe and the End of the Cold War: A reappraisal”, London, Routledge, pp. 37-44.

[2Ibidem

[3Manhimäki J. M., Schoenborn B., Zanchetta B., 2012, “Transatlantic Relations Since 1945. An introduction”, New York, Routledge, p. 113.

[4Si veda: Banti A.M., 2009, “L’età contemporanea. Dalla Grande Guerra a oggi”, Bari, Editori Laterza.

[5Sofaer, A. B., 1986, “The abm Treaty and the Strategic Defense Initiative”, Harvard Law Review, Vol. 99, No. 8, Consultabile: https://doi.org/10.2307/1341216.

[6Holloway D., 1985, “The Strategic Initiative and the Soviet Union”, Daedalus, vol. 114, no. 3, Consultabile: https://www.jstor.org/stable/20024993.

[7Deudney, D., Ikenberry, G., 1992, “Who Won the Cold War?”, Foreign Policy, No. 87, Consultabile: https://www.jstor.org/stable/1149164.

[8Duce A., 2019,“Dalle conquiste spaziali al centenario della Rivoluzione d’Ottobre”, Roma, Edizioni Studium, p. 419.

[9Ivi, p. 420.

[10Bozo F., Rey MP., Ludlow N. P., Nuti Leopoldo, Ibidem, pp. 40-41.

[11Barié O., De Leonardis M., De’ Robertis A.G., Rossi G., 2004, “Storia delle Relazioni Internazionali, Testi e Documenti (1815-2003)”, Milano, Monduzzi Editore, p. 317.

[12Banti A. M., Ibidem, p. 263.

[13East W. G., 1951, “The New Frontiers of the Soviet Union”, Foreign Affairs, Vol. 29, No. 4, p. 596, Consultabile: https://www.jstor.org/stable/20030864?seq=1.

[14Per approfondire sul tema: Palasik M., 2011, “Chess Game for Democracy: Hungary Between East and West, 1944-1947”, Londra, McGill-Queen’s University Press; Lukes I., 2011, “The 1948 Coup d’État in Prague Through the Eyes of the American Embassy”, Diplomacy & Statecraft, Vol. 22, No. 3, Consultabile: https://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/09592296.2011.599644.

[15Si veda: Manhimäki J. M., Schoenborn B., Zanchetta B., 2012, “Transatlantic Relations Since 1945. An introduction”, New York, Routledge; Duce A., Seconda Edizione, 2013, “Storia della politica internazionale (1917-1957). Dalla Rivoluzione d’ottobre ai Trattati di Roma”, Roma, Edizione Studium.

[16Duce A., Ibidem, p. 424.

[17Ivi, p. 427.

[18Ivi, p. 428.

[19Lasas A., 2008, “Restituting victims: EU and NATO enlargements through the lenses of collective guilt”, Journal of European Public Policy, Vol. 15, No. 1, pp. 98-116. Consultabile: https://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/13501760701702249.

[20Coen F., Zaslavsky V., 2000, “La mia scelta per la democrazia, intervista a Michail Gorbaciov; La rivoluzione di Gorbaciov”, in Lettera internazionale: rivista trimestrale europea, Vol. 66, No.4, Consultabile: https://doi.org/10.1400/264685.

[21Hallamas E., Ratti L., Zyla B, 2013, “NATO beyond 9/11, The Transformation of the Atlantic Alliance”, New York, Palgrave Macmillan, p. 160.

[22Kloth H. M., 2006, “Polish Minister Attacks Schröder and Merkel”, Spiegel International, Consultabile: https://www.spiegel.de/international/indirect-hitler-comparison-polish-minister-attacks-schroeder-and-merkel-a-413969.html.

[23Estratto da Il Memoriale, “Montanelli sulla conferenza di Jalta”, Consultabile: https://www.ilmemoriale.it/politica/2017/08/13/montanelli-sulla-conferenza-di-jalta.html.

[24Theoharis A., 1972, “Roosevelt and Truman on Yalta: The Origins of the Cold War”, Political Science Quarterly, Vol. 87, No. 2, pp. 219-224, Consultabile: https://www.jstor.org/stable/2147826?seq=1.

[25“SECRETARY GENERAL WÖRNER: "THE MISSION OF THE ALLIANCE IS NOT INWARD-LOOKING - ONLY TO SAFEGUARD ITS OWN SECURITY; IT IS OUTWARD-LOOKING TO SPREAD FREEDOM, JUSTICE AND SECURITY TO THE WIDER WORLD”, 1, Aprile 1989, Archivi NATO [Online], p. 4, Consultabile: https://archives.nato.int/secretary-general-worner-mission-of-alliance-is-not-inward-looking-only-to-safeguard-its-own-security-it-is-outward-looking-to-spread-freedom-justice-and-security-to-wider-world.

Tuoi commenti
moderato a priori

Attenzione, il tuo messaggio sarà pubblicato solo dopo essere stato controllato ed approvato.

Chi sei?

Per mostrare qui il tuo avatar, registralo prima su gravatar.com (gratis e indolore). Non dimenticare di fornire il tuo indirizzo email.

Inserisci qui il tuo commento

Questo campo accetta scorciatoie SPIP {{gras}} {italique} -*liste [texte->url] <quote> <code> ed il codice HTML <q> <del> <ins>. Per creare paragrafi lasciare semplicemente delle righe vuote.

Segui i commenti: RSS 2.0 | Atom