Il federalismo internazionale, sociale e democratico come fine della storia

, di Domènec Ruiz Devesa

Il federalismo internazionale, sociale e democratico come fine della storia

Questo saggio rivisita la famosa tesi della “fine della storia” di Fukuyama, ampliandone l’originario paradigma, basato sulle trionfanti liberal-democrazie nazionali, fino ad uno nel quale il punto finale dell’evoluzione ideologica umana è un ordinamento politico socialdemocratico funzionante in un quadro sovranazionale, che tende così a raggiungere sia la pace civile, sia quella sociale.

Ciò che nel mondo reale è più vicino a questo ideale è l’Unione europea, progetto politico sovranazionale che ha effettivamente posto fine alle guerre nel continente dando vita ad un’economia transfrontaliera sociale di mercato, sebbene il suo quadro istituzionale, sotto molti aspetti, non sia ancora pienamente federale.

E’ interessante notare che, sebbene l’articolo e il libro originali di Fukuyama siano stati interpretati come la celebrazione della vittoria del capitalismo democratico di tipo statunitense sul comunismo sovietico, egli stesso abbia riconosciuto che l’Europa è più vicina alla fine della storia di quanto lo sia l’America, addirittura mettendo in rilievo il superamento della sovranità nazionale della prima anziché la sua tendenza verso una più elevata erogazione di beni sociali.

Come in ogni filosofia politica, nel lavoro di Fukuyama c’è un certo grado di ambiguità. Anzitutto, l’idea di una fine della storia richiede preventivamente di credere nel progresso. La Seconda guerra mondiale e il genocidio degli Ebrei, la bomba atomica e i cambiamenti climatici hanno, tra altri eventi negativi, gettato dubbi sull’idea di progresso, poiché dimostrano che il genere umano è perfettamente capace di autodistruggersi.

Tuttavia si può sostenere che esista una tendenza progressiva della storia umana verso la democrazia e verso un mondo più unito, sebbene non sia né lineare né rivolta verso un continuo miglioramento, in quanto permette arretramenti e battute d’arresto, come quelli rappresentati dalla Brexit e dall’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti d’America. A questo riguardo, il progressismo può essere interpretato come un’ideologia che cerca di accelerare questa tendenza, proponendosi contemporaneamente di impedire che il mondo ritorni a precedenti stadi di sviluppo.

Ne risulta che la tesi della fine della storia condivide con l’idea di progresso un carattere deterministico, dando adito ad una certa confusione tra l’aspetto assertivo (qualcosa sta per accadere) e quello normativo (qualcosa deve accadere). Sotto questo aspetto, il presente saggio dà una lettura piuttosto normativa della posizione di Fukuyama, pur condividendone la convinzione che in un prossimo futuro sia improbabile la comparsa di un paradigma alternativo a quello democratico e in competizione con esso.

Tuttavia, questo saggio considera che l’esito più auspicabile dello sviluppo politico umano sia un patto federale globale che assicuri pace, sostenibilità ecologica, prosperità economica e protezione sociale. I primi due obiettivi sono fondamentali per la sopravvivenza dell’umanità. I rimanenti sono necessari per assicurare decenti condizioni di vita a tutti, riducendo così i conflitti sociali ed assicurando società democratiche stabili.

A questo riguardo, da un punto di vista normativo, la fine della storia è semplicemente un altro modo di riferirsi all’utopia del mondo reale o della pace perpetua (in senso kantiano), cioè il momento in cui certe trasformazioni fondamentali hanno avuto luogo aprendo la via ad un’era in cui le guerre sono state abolite ed i conflitti sociali ed economici sono stati sostanzialmente risolti. Ma ciò richiede qualcosa di più del liberalismo economico e della politica democratica: richiede il trionfo di un’ideologia che persegua l’instaurazione di istituzioni politiche sovranazionali – l’estrema garanzia della pace –, miranti a raggiungere la giustizia sociale ed ecologica a livello globale.

Forse la liberazione finale del genere umano dalla guerra, dalle malattie e dal bisogno avrà come risultato una vera rinascita post-materialista dello spirito, concentrata sulle arti, sulla vita pubblica e sul libero amore, o, come dicono alcuni, sul perseguimento della felicità e della vita eterna.

Le fini della storia.

L’idea della fine della storia ha radici in importanti filosofi, come Kant ed Hegel, e può essere considerata come una specificazione della più generale fede dell’illuminismo nel progresso umano, sebbene quest’ultimo, come già ricordato, rimanga per molti una questione aperta.

Kant vedeva nella storia un’evoluzione verso la “libertà” e il “governo repubblicano”, sostenendo contemporaneamente la necessità di un patto federale globale che avrebbe garantito la pace perpetua tra le nazioni.

Hegel ha continuato in questa tradizione: credeva che il mondo materiale fosse modellato dalle idee e vide perciò la storia come evoluzione della coscienza umana, destinata a culminare in una forma razionale della società. In particolare, secondo Hegel, la storia procede secondo un processo dialettico, che dovrebbe concludersi con uno stato di ugual libertà per tutti, che politicamente corrisponda ad uno Stato liberal-democratico.

La tesi originaria della fine della storia è stata reinterpretata, tra gli altri, da Karl Marx e, più recentemente, da Alexandre Kojève e da Francis Fukuyama, quest’ultimo autore di un famoso articolo scritto appena prima della caduta del muro di Berlino nel 1989 e successivamente trasformato un volume best-seller.

Marx, pur condividendo con Hegel l’idea della fine della storia, sosteneva invece che questa sarebbe stata raggiunta da una classe lavoratrice vittoriosa che avrebbe preso il potere e stabilito una società comunista.

Per quanto riguarda Kojève, questi concordava con Hegel nell’affermare che la vittoria di Napoleone nella battaglia di Jena del 1806 aveva posto fine alla storia, in quanto, secondo lui, l’evoluzione ideologica dell’uomo si era conclusa con il trionfo degli ideali della Rivoluzione francese: la libertà e l’uguaglianza.

Quindi, sotto questo aspetto, Kojève ha sostanzialmente tentato di recuperare, nel contesto del XX secolo e in un momento in cui il marxismo politico era era una potente forza culturale, la visione originale di Hegel dell’ordine liberale come punto finale dell’evoluzione ideologica. Di conseguenza, questo tentativo lo ha portato a predire l’emergere di uno “Stato universale ed omogeneo” caratterizzato dal liberalismo politico ed economico.

E’ interessante notare che Kojève riteneva che i paesi dell’Europa occidentale del secondo dopoguerra che diedero vita alla Comunità europea del carbone e dell’acciaio incarnassero gli ideali del liberalismo politico ed economico che aveva considerato vincenti a Jena e per tale motivo abbandonò la sua attività accademica e finì come negoziatore francese per la creazione della Comunità economica europea. Fukuyama ha aggiornato il pensiero di Kojève, concludendo che la fine della guerra fredda e la caduta dell’impero sovietico significavano il contemporaneo trionfo universale del libero mercato e della democrazia liberale, in quanto né il fascismo, né il comunismo, né il nazionalismo avevano la possibilità di rivaleggiare con il primato dell’ideologia liberal-capitalista.

E’ chiaro che per fine della storia Hegel, Marx, Kojève e Fukuyama non hanno inteso la fine degli eventi umani – questa è una comune interpretazione errata –, bensì la fine delle principali battaglie ideologiche, anche perché la vittoria nel campo delle idee non comporta un suo immediato e simultaneo trasferimento nel mondo reale.

Fine della storia, ma non fine dello Stato nazionale.

Secondo Fukuyama, tuttavia, a differenza della concezione universalistica di Kojève, per non parlare del paradigma federalista di Kant, la diffusione mondiale dell’economia di mercato e, in un senso più ristretto, della democrazia, non ha significato la fine dell’identità culturale e di quella dello Stato nazionale come attore principale nelle relazioni internazionali.

Così, per Fukuyama, le differenze culturali impediranno, almeno per il momento, una sovranazionalità politica pienamente sviluppata, sebbene egli si impegni in una critica molto interessante del nazionalismo, considerato come una costruzione piuttosto artificiale e relativamente nuova nel pensiero politico– atteggiamento di cui i federalisti europei e mondiali dovrebbero prendere nota. Infatti, questo scienziato politico americano riconosce il ruolo giocato dall’Unione europea nel superamento dei nazionalismi e predice la fine di questi a lungo termine come conseguenza della globalizzazione economica, forse senza tener conto che il libero scambio e la delocalizzazione produttiva producono vincitori e perdenti, generando così una reazione sia contro la liberalizzazione del mercato, sia contro il cosmopolitismo.

Inoltre, Fukuyama ha predetto, in un mondo progressivamente costituito da democrazie liberali e capitaliste, la fine dell’imperialismo, una riduzione della competizione politica e dei conflitti militari, anche sulla base del bassissimo numero di guerre combattute tra democrazie liberali e una maggior attenzione all’economia e alla gestione tecnocratica.

Egli è giunto ad affermare che la Russia non-comunista non sarebbe tornata a strategie da grande potenza, o almeno a conflitti su larga scala, previsione che è risultata quanto meno discutibile, date le tendenze aggressive di Putin, sebbene Fukuyama ammetta che sono possibili conflitti tra Stati “storici” (quelli che non sono giunti alla fine della storia) e perfino tra Stati storici e “post-storici”.

Oltre a ciò, l’aggressiva politica internazionale di Donald Trump dimostra che esistono molti modi di esercitare pressione e potere nei confronti di altri paesi senza ricorrere al conflitto militare, che dovrebbero farci prendere una pausa di riflessione sulle speranze di Fukuyama circa la fine dell’imperialismo e della dominazione politica ed economica come risultato della diffusione del liberalismo politico ed economico.

Democrazia, liberale, ma anche sociale.

E’ facile concordare con Fukuyama che la democrazia liberale rappresenti un’ideologia più avanzata ed umana e perciò più forte e resiliente rispetto ad ideologie oggi pressoché morte come il fascismo e il comunismo, o di vecchie ma ben vive come il nazionalismo, o di nuove, come l’Islam radicale o l’autoritarismo del libero mercato.

Tuttavia, la valutazione di Fukuyama della democrazia liberale come fine della storia, intesa come unica alternativa politica reale, è incompleta sotto almeno due importanti aspetti: il ruolo della giustizia sociale e l’organizzazione della governance regionale e globale.

In realtà Fukuyama considera che la liberal-democrazia dia corpo ad una società senza classi, nella quale i conflitti di classe sono magicamente “risolti”. Ciò è, a dir poco, inesatto, viste le crescenti diseguaglianze di reddito e di ricchezza osservate nelle società occidentali come risultato di un capitalismo senza frontiere, e la crescita del populismo come reazione politica a questo crescente squilibrio tra capitale e lavoro.

La risolvibilità dei conflitti di classe da potenziale diventa possibile solo se il sistema politico, oltre ad assicurare libere elezioni, la protezione dei diritti individuali e civili e il rispetto della legalità, che costituiscono il contenuto standard del liberalismo, include anche, tra gli obiettivi espliciti della politica, la giustizia sociale ed i diritti economici.

Sotto questo aspetto, l’economia sociale di mercato europea, pur con tutte le sue carenze, appare come un miglior candidato per dar vita alla fine della storia, intesa come equilibrio tra Stato, mercato, società ed ambiente, rispetto alla società capitalista statunitense dell’era di Reagan, corretta ed ampliata dalle politiche interne ed estere di Donald Trump – cosa che lo stesso Fukuyama ha riconosciuto, come abbiamo ricordato nell’introduzione. Come sostenuto da alcuni autori, la socialdemocrazia, intesa come processo infinito di regolamentazione del mercato e redistribuzione economica, è l’ideologia di maggior successo della storia contemporanea.

Da una prospettiva federalista più tradizionale, l’ideologia federalista include i principi chiave del liberalismo, della democrazia e del socialismo, ai quali è possibile oggi aggiungere l’ambientalismo ed il femminismo.

In ogni caso, poiché l’obiettivo del federalismo è la pace civile, ciò richiede anche la pace sociale. La pace perpetua non sarà possibile se i paesi o il mondo in generale sono corrosi da diseguaglianze di ricchezza, da pregiudizi di razza e di genere, da discriminazioni nei confronti degli immigrati e dei rifugiati e da danni ambientali. La mancanza di giustizia sociale ed ecologica continuerà a mettere in pericolo la pace mondiale.

Democrazia, liberale, ma anche transnazionale.

Il secondo difetto della raffigurazione della fine della storia da parte di Fukuyama è la sua visione puramente nazionale, come lui stesso ha riconosciuto successivamente, sebbene egli rimanga convinto che le democrazie liberali staranno in pace in quanto hanno un comune interesse a cooperare e ad estendere la portata dei loro comuni valori nel mondo.

Fukuyama riconosce anche come liberale il progetto kantiano di una federazione mondiale, sottolineando però che può funzionare solo se gli Stati membri condividono gli stessi valori. Egli considera che la Società delle Nazioni e, in una certa misura, le Nazioni Unite abbiano fallito perché includono paesi non democratici, mentre lascia capire che una lega kantiana reale sarebbe simile all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO).

Tuttavia, pur essendo vero che una federazione internazionale richiede un ambiente liberal- (e noi aggiungiamo social-) democratico sia tra, sia entro i suoi Stati membri, questo certamente non basta. Qui Fukuyama appare incapace di distinguere tra organizzazioni sovranazionali e organizzazioni internazionali.

Se l’ONU (e la NATO) sono di gran lunga meno efficaci dell’UE, non è semplicemente perché le prime includono membri non democratici, bensì perché sono soggette a veto nazionali, a richieste di super-maggioranze e ad unanimità e sono prive di assemblee parlamentari con poteri vincolanti. In breve, l’ONU e la NATO non sono federali, mentre l’UE, sebbene in modo incompleto, possiede elementi chiave federali, come la prevalenza del diritto dell’Unione sul diritto interno, la codecisione tra Consiglio e Parlamento, e così via.

Col senno di poi, Fukuyama ha finito per ammettere che le liberal-democrazie nazionali possono esercitare violenza contro altri paesi ed i loro cittadini, dando credito all’idea europea di superare la sovranità nazionale. Tuttavia, a fronte dei limitati progressi politici finora fatti dall’UE ed in apparente contraddizione con la sua affermazione che essa rappresenti la fine della storia e con la sua critica al nazionalismo, l’autore conclude che la democrazia transnazionale, per quanto bella in teoria, è irrealistica a causa di insormontabili barriere culturali.

Conclusione.

La domanda finale da porre è se la fine della storia, come intesa da Hegel, Kojève e Fukuyama, cioè uno stato di pace perpetua e di libertà politiche ed economiche, possa derivare unicamente dal capitalismo di mercato su scala globale e da un numero crescente di liberal-democrazie nazionali, anche se alleate in un’organizzazione intergovernativa come la NATO. La risposta è no. La fine della storia richiederà anche l’assicurazione di diritti sociali ed economici da parte di una federazione politica globale e democratica.

Non bisogna dimenticare che la pace non è semplicemente l’assenza di conflitti armati. Due popoli che si ignorano sono tecnicamente in pace, ma non cooperano e non costruiscono insieme alcunché di valido. I paesi, oltre che di essere in pace in questo senso ristretto, hanno bisogno di affrontare insieme sfide sovranazionali come i cambiamenti climatici, le migrazioni, la povertà, ecc.. Ciò non può essere fatto in modo efficace isolatamente o entro tradizionali organizzazioni internazionali nelle quali la sovranità non è messa in comune e la massima parte delle decisioni deve essere presa all’unanimità.

Così la fine della storia può solo assumere la forma di una federazione sociale e democratica mondiale, composta da federazioni regionali, di cui l’Unione europea sarebbe l’esempio più avanzato. Indipendentemente dal fatto che ciò sia già una tendenza storica oppure no, quanti desiderano la pace devono indubbiamente combattere per questo futuro ordine mondiale, per le degne cause dell’Unione dei federalisti europei e del Movimento federalista mondiale.

Il saggio integrale, con note e approfondimenti è stato pubblicato sulla rivista scientifica «Il Federalista» (Anno LX, n. 2-3, 2018).

Fonte immagine: Wikimedia.

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