Il grande razzismo europeo

, di Paolo Di Fonzo

Il grande razzismo europeo
Fonte: Bundesarchiv Bild 183-R98283, Spagna, Sevilla, Sinti e Roma - Donne e bambini, Wikimedia Commons

In tutto il mondo, forse più che mai nella Storia, la questione del razzismo è stata portata al centro dell’attenzione a causa dei ben noti episodi di cronaca avvenuti negli Stati Uniti. Soprattutto, il focus del dibattito sembra finalmente porsi, invece che sui semplici, seppur disgustosi, casi di discriminazione diretta, sul problema del razzismo sistemico: quel meccanismo perverso per cui persone nate in determinate comunità o appartenenti a un certo gruppo etnico si ritrovano svantaggiate in punti chiave della propria vita individuale e come parte della società. In molti lodano il fatto che il movimento, statunitense prima e mondiale poi, stia finalmente portando al cuore dell’attenzione politica queste questioni a lungo ignorate e che necessitano di riforme importanti e di vasta portata. Nonostante ciò, ancora una volta in Europa si sta trascurando quella che è l’anima più intrinsecamente razzista e discriminatoria che pervade la maggior parte degli Stati Membri dell’UE, come se il Vecchio Continente avesse il terrore di guardarsi allo specchio e rendersi conto che, nelle sue azioni e inazioni verso un determinato gruppo, è messo molto peggio della nazione dall’altro lato dell’Atlantico, non fosse altro che per l’assoluta inclinazione a tenere gli occhi chiusi. Questo gruppo, che rappresenta la principale minoranza etnica di cittadini europei dell’intera Unione, è quello dei Rom. [1].

Non proverò nemmeno a spiegare la differenza che intercorre tra i vari gruppi che solitamente vengono racchiusi nelle definizioni generiche come “nomadi”, ché non trovo sia un argomento rilevante per quest’articolo e tantomeno mi ritengo sufficientemente preparato (se voleste leggere di più a riguardo trovate i link in fondo [2] [3] [4] ). Quel che importa è che si parla di coloro che la maggior parte dei cittadini europei percepisce come persone da includere nella categoria dei “rom” o, come vengono più spesso chiamati in Italia, “zingari”. Iniziamo parlando di questa stessa parola, che è un modo di evidenziare quanto il disprezzo sociale per queste persone sia parte integrante della nostra cultura in Italia: la Treccani definisce la parola come usata “spesso come termine di confronto o di identificazione in espressioni fig., di tono spreg. o polemico” [5]. Non è un’espressione così diversa da “negro” per chiamare le persone dalle discendenze sub-sahariane, eppure è usata comunemente tanto dalla popolazione quanto da politici e altre personalità pubbliche, laddove sarebbe difficile immaginare un ministro pubblicare un tweet dove chiama qualcuno “negro”. In questo stesso articolo, mi sono interrogato se fosse il caso di usare gli asterischi per censurare la parola stessa, “neg*o”, come si vede spesso su molti giornali, al contrario però sarebbe probabilmente strano e sicuramente inusuale leggere “zing**o”.

L’Italia è, d’altronde e senza troppa sorpresa, sotto molti punti di vista uno dei paesi più avvezzi alla discriminazione dei Rom: secondo un sondaggio del 2019, l’83% della popolazione ha “un’opinione sfavorevole dei Rom residenti nel proprio paese” [6], il valore più alto d’Europa, nonostante uno dei rapporti tra popolazione Rom e popolazione complessiva più bassi dell’Unione (la maggior parte dei paesi che hanno vaste porzioni della popolazione con sentimenti avversi ai Rom è infatti composta da nazioni dell’Est Europa, dove questo rapporto è molto più alto) [7].

Questa diffidenza, se non aperta ostilità, verso le popolazioni Rom è tanto conseguenza quanto concausa del ciclico razzismo sistematico di cui si parla tanto in questi giorni per le popolazioni afroamericane. Nella maggior parte delle nazioni europee, una persona Rom, come riportato nel rapporto annuale dell’UE, ha difficoltà enormi a inserirsi in una società dove sin da bambini si viene costretti a vivere in condizioni marginalizzanti se non degradanti, con limitato accesso all’istruzione (che solitamente riceve in classi o scuole “speciali” per Rom), con un futuro lavorativo sostanzialmente precluso in molti campi e con una probabilità ben più alta della media di finire in galera [8]. Questo comporta che, come per le popolazioni afroamericane, una percentuale elevata si ritrova invischiata in attività criminali, creando esternalità negative per tutti gli altri membri della propria comunità non lasciando mai spegnere il fuoco del razzismo e del disprezzo latenti o degli stereotipi.

Varie volte, il modo in cui alcuni Stati Membri come Francia, Repubblica Ceca e Romania hanno affrontato la situazione abitativa dei Rom è finito sotto la lente della Corte Europea per i Diritti Umani. [9] L’Unione infatti, tanto nella Carta dei Diritti Fondamentali quanto nel Trattato di Lisbona, ha posto tra i propri obiettivi l’inclusione di tutte le minoranze, incluse quelle Rom, all’interno della società, dando loro i mezzi per uscire dalla marginalizzazione e ghettizzazione che hanno sofferto per tutta la Storia. Nonostante ciò, gli sforzi dell’UE continuano a rivelarsi insufficienti, non soltanto a livello più pratico nel fornire condizioni di vita migliori, ma soprattutto a livello culturale: il razzismo sistemico verso le culture Rom è ampiamente diffuso in Europa, ma nonostante questo, persino nel clima attuale, la questione non sembra essere minimamente affrontata. L’Europa continua a essere quel continente in cui essere Rom è una condanna, in cui gli stereotipi sono assimilati a verità assolute per una vasta fetta della popolazione, in cui persino lo sterminio da parte dei nazisti è sostanzialmente ignorato. In Italia, continua ad essere normale per politici vari (in un modo più che mai trasversale attraverso tutti i partiti maggiori) chiamarli “zingari” e per il cittadino medio additarli come criminali senza fermarsi a chiedersi cosa possa portare delle ragazzine a diventare borseggiatrici.

È questo forse l’aspetto più vergognoso e umiliante del razzismo nell’Unione Europea: nonostante si sia in grado di seguire i trend statunitensi e mondiali su battaglie importanti, come la lotta per i diritti di genere o nel riconoscimento del passato coloniale e schiavista, siamo del tutto assuefatti dalla discriminazione che permea la nostra società più nel profondo da renderci conto di quanto siamo saldamente immersi nel fango che è il razzismo stesso.

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