Membri e funzionari dell’Europa, ci appelliamo alla vostra cortesia e solidarietà perché veniate in nostro soccorso. Per favore, aiutateci: in Africa stiamo soffrendo enormemente. Con queste parole, Yaguine Koita e Fodé Tounkara inauguravano la lettera rivolta ai rappresentanti delle Istituzioni europee: era il 29 luglio 1999 e i due bambini guineani, facendosi portavoce della gioventù africana, invocavano l’intervento dell’allora giovane Unione europea in supporto del progresso del continente africano.
A quasi venticinque anni dal ritrovamento della lettera, lo sviluppo socioeconomico di quell’area del mondo è un processo lungi dall’essere giunto a conclusione. Il potenziamento della struttura economica costituisce da sempre il cuore pulsante dell’agenda politica delle Istituzioni africane, ma è solamente grazie a questa fase di sconvolgimento internazionale che la questione africana ha acquisito una crescente rilevanza nel dibattito. La ridefinizione degli equilibri di potere ha infatti dato nuova linfa alla questione, rendendo lo sviluppo africano uno dei principali territori di confronto tra le superpotenze. Se il colosso cinese è già presente da alcuni anni nell’area è grazie all’inaugurazione del piano di investimenti “Belt and Road Iniziative” (BRI), negli ultimi anni, invece, l’Unione europea ha mosso numerosi passi verso il rafforzamento dei partenariati con i Paesi africani in funzione geostrategica. Non a caso, il Global Gateway - il principale tra gli strumenti di cooperazione internazionale inaugurato nel 2021 - è stato definito dalla Presidente della Commissione Ursula Von der Leyen come soprattutto un progetto geopolitico, che mira a posizionare l’Europa in un mercato internazionale competitivo.
Per comprendere meglio lo stato dei rapporti che intercorrono tra Unione europea e Unione africana, vale la pena partire dall’ultimo degli accordi stipulati: la Joint Vision for 2030. Il documento, sottoscritto nel febbraio 2022 dal Presidente del Consiglio europeo Charles Michel e il Presidente dell’Unione africana Macky Sall, individua i settori in cui le due organizzazioni intendono rafforzare la loro collaborazione. In particolare, l’Unione europea si è dichiarata pronta a mobilitarsi proattivamente a sostegno dello sviluppo socioeconomico dei Paesi dell’UA per mezzo di investimenti nell’infrastruttura energetica, di trasposto e digitale. Secondo l’African Development Bank, l’Unione africana necessita di ingenti investimenti nel sistema infrastrutturale: vi è una stima, datata inizio 2022, che conteggia il deficit complessivo di questi investimenti intorno ai 100 miliardi di dollari. Non si tratta di un aspetto secondario: la creazione di una rete infrastrutturale efficiente e sostenibile rappresenta la chiave di volta dei progetti di sviluppo di lungo termine individuati nell’Agenda 2063, finora rimasti ampiamente disattesi a causa del boicottaggio degli investitori internazionali nei confronti del mercato africano, ritenuto troppo rischioso. Già dal 2012, infatti, l’Unione africana ha elaborato un elenco di infrastrutture considerate fondamentali per implementare gli scambi commerciali infra- e inter-continentali e sostenere la crescita socioeconomica del continente, ovvero il Programme for Infrastructure Development of Africa.
L’Unione europea è intervenuta in merito con il lancio del Global Gateway, programma di investimenti il cui principale destinatario è proprio l’Africa. L’importanza attribuita alla parte sub-sahariana rivela come il piano voglia fare da contraltare alla capacità espansiva del capitale cinese, già capillarmente radicata nel continente nei primi due decenni di questo secolo e ufficializzata nell’ormai decennale piano di una nuova via della seta lanciato da Xi Jinping nel 2013. All’interno del Global Gateway, il canale dedicato ai Paesi africani, l’Africa-Europe Investment Package, racchiude infatti il 50% della somma stanziata per l’intero programma, ovvero 150 dei 300 miliardi che si intende mobilitare entro il 2027. Per rispondere efficacemente al gap finanziario creato dagli investitori internazionali, il Global Gateway impiega prestiti, sovvenzioni e accordi di garanzia - strumenti raggruppati nel Fondo europeo per lo Sviluppo Sostenibile (EFSD) - per creare le condizioni di de-risking e facilitare così l’afflusso di investimenti. L’intervento dell’Unione è, d’altra parte, funzionale al raggiungimento degli obiettivi europei che guardano alla creazione di rapporti privilegiati con cui l’UE cerca di assicurarsi l’accesso alle risorse necessarie al raggiungimento degli obiettivi della doppia transizione europea, energetica e digitale. L’Investment Package prevedeva, fino a settembre 2023, il finanziamento di 11 corridoi di trasporto strategici a beneficio delle industrie sia in Africa che in Europa. A margine del G20 di Nuova Delhi dello scorso ottobre, l’Unione europea ha firmato un Protocollo d’Intesa con gli Stati Uniti, la Banca Africana dello Sviluppo e l’Africa Finance Corporation rivolto al supporto dei governi di Zambia, Repubblica Democratica del Congo e Angola nella realizzazione di un ulteriore corridoio, cruciale nel commercio internazionale di materie prime. Il progetto consiste nella costruzione di un tratto ferroviario di circa 800 km che collegherebbe il porto angolano di Lobito con le zone minerarie del sud della Repubblica democratica del Congo e il nord dello Zambia. Con questo corridoio si costituirebbe, quindi un efficace collegamento tra le rotte commerciali atlantiche e i Paesi produttori di litio (l’«oro bianco» utilizzato per la produzione di batterie dei veicoli elettrici), rame e cobalto, inclusi nella lista dei «critical raw materials» elaborata nel 2020 dalla Commissione [1], in virtù del loro potenziale impiego in diversi settori industriali.
Sullo sfondo di questi accordi, il quadro normativo in cui si iscrivono i rapporti tra UE e il Gruppo di Stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico è stato di recente rinnovato negli Accordi di Samoa, firmati nel novembre 2023. Concepito per sostituire l’Accordo di Cotonou, scaduto nel 2020 e prorogato fino al 2023, l’adozione del nuovo Accordo rende ulteriormente più complicato stabilire ad oggi le modalità con cui le politiche europee di cooperazione allo sviluppo andranno ad articolarsi nei prossimi anni. Se a tutto questo si aggiunge l’imminenza delle elezioni del Parlamento europeo, è ancor più chiaro comprendere come non resti che attendere l’attuazione di questi molteplici novità per valutare se e in quale misura l’Unione europea saprà rispondere in maniera adeguata all’appello lanciato da Yaguine e Fodé all’alba del nuovo millennio.
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