Il progetto e il fallimento della Comunità Europea di Difesa

, di Fausto Marcello Correra

Il progetto e il fallimento della Comunità Europea di Difesa
Foto di Mathieu Cugnot, European Union 2018 - Source: EP - EP Multimedia Centre

Nell’avvicinarci al 9 Maggio, anniversario della Dichiarazione Schuman e Festa dell’Europa, ripercorriamo quest’anno alcuni dei passi più importanti del processo di integrazione europea. A partire dalla storia della Comunità Europea di Difesa, quel progetto naufragato negli anni ’50 che oggi appare come un grande rimpianto.

L’invasione russa dell’Ucraina ha rimesso violentemente al centro dell’attenzione politica il tema della difesa territoriale, una questione che in Europa sembrava esser stata dimenticata dalla fine della Guerra Fredda.

Il lento ma costante disimpegno statunitense, sottolineato dalle ultime tendenze repubblicane, a favore del confronto con la Cina, ha poi alimentato il dibattito circa la necessità di una difesa europea integrata e comune, fermo restando la cooperazione militare in seno alla NATO, che al suo interno vede sempre più forte il protagonismo di Paesi come la Polonia e gli Stati baltici, e che accoglie nuovi membri, Svezia e Finlandia, già appartenenti all’Unione europea.

Eppure, una proposta strutturale e istituzionale di difesa europea non solo è esistita, ma è stata, oltre 70 anni fa, vicina ad essere una realtà ben superiore agli standard di integrazione fin qui raggiunti.

Il panorama storico-istituzionale

Dopo la Seconda guerra mondiale, per garantire la propria sicurezza, gli Stati europei iniziarono ad elaborare alcuni primordiali strumenti: del 1947 è il Trattato di Dunkerque, un’alleanza difensiva di vecchio stampo tra Regno Unito e Francia, poi aggiornato l’anno successivo nel Trattato di Bruxelles con l’apertura a Belgio, Olanda e Lussemburgo. Questa alleanza, nata più in funzione anacronisticamente antitedesca che antirussa, diede poi vita all’Unione Europea Occidentale nel 1954, un’organizzazione internazionale di sicurezza e difesa retta da alcune istituzioni di stampo intergovernativo.

Nel 1948 fu creata l’Organizzazione Europea per la Cooperazione Economica (OECE), in seguito tramutata in Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE). Tale organismo nacque con lo scopo di gestire in modo coordinato il flusso di aiuti del Piano Marshall. Questo primo seme di integrazione europea permise il raggiungimento della seconda tappa, la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), nel 1950, a seguito dell’epocale dichiarazione del Ministro degli Esteri francese Robert Schuman («La fusione delle produzioni di carbone e di acciaio [...] cambierà il destino di queste regioni che per lungo tempo si sono dedicate alla fabbricazione di strumenti bellici di cui più costantemente sono state le vittime»), apertamente ispirata a Jean Monnet, responsabile francese per il Piano Marshall nonché principale teorico del modello funzionalistico di integrazione europea.

Sulla base della teoria funzionalistica, grande logica aveva partire da una integrazione sul carbone e l’acciaio, materie prime da un lato fondamentali per ogni attività bellica, e in secondo luogo tradizionalmente prodotti in zone a lungo contese come il bacino della Ruhr, per metterle al servizio della ricostruzione europea. La CECA si dotò dei primi organi istituzionali, come un’Assemblea parlamentare, una Commissione e un Consiglio dei Ministri. Ciò voleva dire portare a livello internazionale ciò che rende pacifica la realtà interna di uno stato: regole e Istituzioni.

La CED: dall’ideazione al trattato istitutivo

Per quanto riguarda la questione militare, in una situazione critica si trovava la Francia, ossessionata dalla minaccia di un riarmo tedesco, invece auspicato dagli Stati Uniti che puntavano a ricostruire un forte Stato sovrano proprio lungo la Cortina di Ferro. La Francia si oppose fermamente alla ricostituzione delle forze armate tedesche, motivo per cui gli USA proposero l’integrazione totale delle nuove auspicate divisioni tedesche entro il Patto Atlantico, sotto la diretta dipendenza della NATO e senza quindi un vero esercito nazionale. Proprio dalla Francia partì una controproposta potenzialmente risolutiva: replicare il meccanismo della CECA per ciò che riguarda la difesa creando un’organizzazione militare sovranazionale. In questo modo le nuove truppe tedesche, assieme ad altri contingenti di altri Paesi, non sarebbero state sotto il controllo diretto statunitense, ma sotto quello di un’autorità sovranazionale europea. Il piano elaborato nel 1950 dal Primo Ministro francese René Pleven prevedeva la creazione di una sorta di Ministro della difesa europeo che fosse responsabile davanti a un’Assemblea parlamentare e a un Consiglio dei Ministri della difesa nazionali, che gestisse una forza armata di circa 100.000 uomini, indipendente dalle forze armate nazionali e dotata di un budget comune.

Il Presidente del Consiglio italiano Alcide De Gasperi, consigliato da Altiero Spinelli, mise in luce a quel punto il controsenso teorico generato dall’avere una forza armata che non rispondesse ad una vera autorità politica capace di esprimere una volontà (“è il Governo, e non il comandante militare, che […] determina quale sforzo militare deve essere fatto”): modificò il piano, inserendo l’Articolo 38, il quale avrebbe generato un’organizzazione sovranazionale integrata “a due gambe”, da un lato la CECA e dall’altro la Comunità Europea di Difesa (CED), che rispondessero alla stessa autorità politica sovranazionale.

Parallelamente, continuavano le trattative statunitensi per portare la Germania Ovest in seno alla NATO. Si crearono due diversi tavoli di trattative, le trattative di Petersberg riguardanti l’ambito atlantico, e le trattative di Parigi per quanto concerneva la questione sovranazionale europea. La Francia boicottò totalmente le trattative di Petersberg, e promosse la stipula del Trattato di Parigi, sottoscritto nel 1952, che definì con precisione una struttura organizzativa più complessa (con tanto di Commissione comune) per il duo CECA - CED. Quando, però, al 1954, si arrivò alla fase di ratifica del trattato, l’Assemblea Nazionale francese lo rigettò senza neanche discuterlo: in quei due anni erano emersi diversi fattori che causarono la totale marcia indietro francese.

Il ritiro francese e il fallimento del progetto

Nel 1953 la morte di Stalin aveva portato a un relativo e progressivo miglioramento delle relazioni est-ovest. Parallelamente l’industria militare francese, estremamente rilevante nel saldo dell’economia del Paese e la cui autonomia è tradizionalmente al centro dell’agenda politica di ogni Governo, sottolineò quanto sarebbe stata danneggiata dalla forte concorrenza in termini che sarebbe nata in seno alla CED. Un altro motivo di dissenso riguardò la mancata partecipazione del Regno Unito: Winston Churchill scelse di perseverare nella tradizionale politica del restare esterni alle logiche continentali, tipica della storia britannica, e di favorire la dottrina dei cerchi concentrici, secondo la quale il Regno Unito avrebbe avuto da curare aree di interesse, quali i rapporti transatlantici e il Commonwealth, che allontanavano il focus dall’Europa continentale. Il Regno Unito inoltre non era neanche all’interno della CECA, cui non aveva aderito in quanto di gran lunga il maggior produttore europeo di carbone e acciaio e non disposto a mettere la principale voce dell’economia nazionale sotto un controllo esterno.

Un’altra questione importante che portò al rigetto francese fu il contemporaneo svolgimento della Guerra d’Indocina contro il movimento indipendentista guidato da Ho Chi Minh, che portò alla nascita dei quattro Stati della regione. La Francia era molto appesantita dal conflitto, e recriminava agli altri Paesi europei il mancato supporto per quella che non era solo una guerra di decolonizzazione, ma un conflitto contro il blocco orientale, essendo il Viet Minh apertamente comunista. In generale, tra gli Stati coinvolti dal progetto della CED, la Francia era di gran lunga lo Stato con gli interessi militari più attivi e particolari, e in seno all’Assemblea Nazionale nacque la preoccupazione che la struttura sovranazionale avrebbe fatto perdere alla Francia il controllo diretto dell’Armée coloniale e della Legione Straniera.

Il fallimento della CED decretò l’abdicazione di qualunque iniziativa sovranazionale di difesa nella critica fase storica della nascita delle Istituzioni europee, a favore del solo approccio intergovernativo e soprattutto atlantico, facendo cadere l’intera Europa occidentale nella completa dipendenza difensiva statunitense. Ciò finì con il valere anche per la Francia, che dovette poi accettare l’ingresso, nel 1955, di Germania e Italia nella NATO.

L’Unione europea occidentale finì per essere una “gamba” della NATO, e non arrivò mai a una reale autonomia. Nel 2011 cessò di esistere con il trasferimento di tutte le sue competenze all’Unione europea.

Dopo la CED

A seguito del naufragio della CED, iniziarono esperimenti di cooperazioni intergovernative in materia di difesa e sicurezza comune, abbandonati però dopo il fallimento dei cosiddetti “Piani Fuchet”, che proponevano meccanismi intergovernativi di cooperazione militare meno strutturati (e a guida apertamente francese). Il Trattato dell’Eliseo, poi aggiornato con il Trattato di Aquisgrana, firmato nel 1963 dalla Francia e dalla Germania Ovest del Cancelliere Adenauer, rappresentò un nuovo tentativo di controllo da parte del nuovo Presidente francese Charles de Gaulle: l’obiettivo era creare un primo nucleo di alleanza militare attorno al quale si sarebbero potuti nel tempo coagulare altri paesi. Non riuscendo a proporre un’efficace soluzione multilaterale, de Gaulle tentò allora la strada più semplice degli accordi bilaterali.

Intanto gli Stati Uniti, sotto la Presidenza Kennedy, erano passati, a seguito della Crisi dei Missili di Cuba, dalla strategia della Rappresaglia Massiccia, che massimizzava il livello di deterrenza, alla dottrina della Risposta Flessibile. Il cambiamento di passo nella logica della Guerra Fredda abbassava la soglia psicologica della protezione europea, in particolare per quanto riguardava la Germania, il cui Cancelliere iniziò dunque a valutare la messa in atto di strumenti alternativi pur coesistenti con l’Alleanza Atlantica, da cui la sua ratifica del suddetto accordo franco-tedesco. Il Bundestag, in sede di ratifica, fece salvo il pieno appoggio tedesco alla NATO, che andava però contro il piano di de Gaulle che puntava invece a creare una vera alternativa indipendente, e portò dunque il presidente francese a non dare particolare spinta alla messa in atto dell’accordo.

Come già detto, Altiero Spinelli in un promemoria inviato al Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi scriveva che una forza armata richiede anche un Ministro degli esteri, un Ministro della difesa e uno dell’economia e da qui De Gasperi spinse per l’inserimento di ciò che divenne l’articolo 38 del Trattato istitutivo della CED. Questo fu poi strumentale per “dare il là” al progetto della Comunità Politica Europea (CPE), laboratorio di integrazione iniziato nel 1970 e che è confluito nel 1992 nell’Unione europea.

Le prospettive attuali

Con la fine della Guerra Fredda si è avviato un disimpegno americano dal continente. Gli interessi strategici dell’Europa e degli Stati Uniti talora possono divergere. L’analisi delle nuove minacce e la scelta dei mezzi non sono identiche. La consapevolezza di essere entrati in una nuova fase storica ha dato un primo impulso alle istituzioni del Vecchio Continente circa la creazione di una politica di difesa autonoma, pur rimanendo la NATO il principale framework di cooperazione militare, concetto rafforzato dal recente ritorno del “grande nemico” con l’invasione russa dell’Ucraina e dall’ingresso nell’Alleanza di altri due stati membri dell’UE, Svezia e Finlandia.

Assorbendo l’Unione europea occidentale, il Trattato di Maastricht del 1992 istituì, tra le varie, la Politica Estera e di Sicurezza Comune: “la PESC comprende tutte le questioni relative alla sicurezza dell’U.E., ivi compresa la definizione a termine di una politica di difesa comune, che potrebbe successivamente condurre a una difesa comune”. La P.E.S.C. si è articolata in posizioni comuni ed azioni comuni decise all’unanimità dal Consiglio. Nel 1999 il Consiglio Europeo di Helsinki istituì la Politica Europea di Sicurezza e Difesa (PESD), rinominata poi [Politica di Sicurezza e Difesa Comune] (PSDC) nel Trattato di Lisbona.

Gli Stati dell’UE ad oggi mantengono sotto le armi circa un milione e mezzo di uomini, meno di mezzo milione dei quali possono in linea teorica essere inviati per operazioni al di fuori del territorio europeo. Il costo complessivo è di circa 180 - 200 miliardi di euro, spesa ben al di sopra di quanto investito da potenze come Russia, Cina, Brasile o India, ma la spesa europea è suddivisa su basi strettamente nazionali, determinando una notevole discrasia tra il volume totale della spesa per la difesa e le effettive capacità militari che le forze armate europee sono in grado di esprimere.

Tra le varie iniziative portate avanti dall’UE in questo ambito, vi è l’Headline Goal 2003, lanciato nel 1999 al Vertice di Helsinki, che mirava a costruire, attraverso il contributo volontario degli stati, una forza di riserva che avrebbe potuto essere attivata per un’operazione europea in caso di accordo unanime del Consiglio. Con il secondo Headline Goal, approvato nel 2004, venne costituita la European Defence Agency (EDA).

La cooperazione europea in materia di difesa è considerata all’unanimità una necessità inderogabile, ma riguarda il problema della limitazione della sovranità nazionale: l’uso di proprie forze inserite in una più grande unità multinazionale può essere impedito dal rifiuto del partner di partecipare alla missione, o da contrasti in merito alle condizioni specifiche dell’intervento. La possibilità che truppe nazionali, inserite in un’unità sottoposta a comando multinazionale, possano essere inviate a partecipare ad una missione che il proprio governo non considera opportuna o utile rappresenta a sua volta un forte deterrente.

Alcuni analisti teorizzano la costituzione di “isole di cooperazione” di Paesi che condividono una comune visione strategica, e/o che sono legati da antichi vincoli di particolare fiducia e/o che sono della stessa “taglia” geopolitica, il che ridimensionerebbe il rischio di divergenze. Altri autori sostengono che il problema principale sarebbe la natura di “bene pubblico” della difesa prodotta da un’alleanza militare. La natura pubblica del “bene difesa” farebbe sì che gli stati più grandi, a causa dei loro maggiori interessi, tendano a investire di più spingendo gli altri a contribuire di meno.

Una componente importante dei costi della “non-Europa” della difesa è generata da un mercato estremamente frammentato su base nazionale. La base industriale europea della difesa è estremamente vasta e complessa, tecnologicamente avanzata e in grado di operare in tutti i principali segmenti della sicurezza e della difesa. Effettuando gli acquisti in ordine sparso, gli stati possono rivolgersi in via pressoché esclusiva alla propria industria nazionale, foraggiando così la propria base industriale al di fuori delle regole di quello che, formalmente, dovrebbe essere un segmento del mercato comune europeo. In questo modo i governi possono preservare la propria base industriale, le competenze e le tecnologie da essa sviluppate, nonché i posti di lavoro a essa associati, ma con un ovvio costo per la competizione tra aziende a livello europeo, e quindi in ultima analisi per la competitività dell’industria europea della difesa.

Se teniamo in conto il mantenimento di 27 strutture nazionali di difesa invece che un’unica struttura integrata, le stime proposte nel corso degli anni dimostrano variazioni notevoli, in base a quali fattori sono inclusi e di come sono quantificati, ma un recente studio commissionato dal Parlamento europeo propone una stima prudente di possibili risparmi derivanti da una completa integrazione della difesa pari a 26 miliardi di euro l’anno. Tale cifra è stata calcolata analizzando i possibili risparmi derivanti da iniziative di “modesta” entità come la standardizzazione del munizionamento o l’integrazione delle fregate.

Dal punto di vista operativo, i costi derivati dalla mancata integrazione riguardano il permanere di gap di capacità militari e la scarsa interoperabilità delle forze. Il divario si riferisce alla mancanza di capacità chiave: mancanza di sufficienti assetti per il trasporto strategico e per il rifornimento in volo; mancanza di capacità C4 (command, control, computers and communications); mancanza di capacità ISTAR (intelligence, surveillance, target acquisition and reconossaince), ossia le capacità legate alla situational awareness; mancanza di munizionamento di precisione per il bombardamento, etc.

L’UE, nonostante la costituzione della PESC/PSDC, negli ultimi vent’anni si è quasi sempre presentata sulla scena globale come una potenza divisa. Benché non si possano negare i successi conseguiti nell’ambito della PSDC riguardo alle missioni militari e civili per stabilizzare scenari di crisi, la PESC/PSDC è condizionata dalla sua natura intergovernativa.

Nel caso della crisi Ucraina del 2014, pare evidente come l’UE sia riuscita a esercitare la propria forza attrattiva, economica e democratica di “forza gentile” e di “potenza civile”, senza riuscire però a governare i propri successi, senza conferire loro la coerenza di un disegno politico e strategico unitario, cosa che ha concesso gli spazi necessari alla Russia per infiltrarsi. Le preoccupazioni manifestate fanno intendere che la consapevolezza di dover porre sotto il medesimo concetto di sicurezza la sfera della politica estera e di difesa e quella degli affari interni dell’Unione è una prospettiva ormai condivisa dagli stessi vertici europei. È chiaro che le resistenze maggiori al processo di integrazione vengano dai governi degli Stati membri.

Tutte queste problematiche che non sarebbero, con buona probabilità, mai state in essere se una struttura come la CED fosse stata effettivamente attuata. La nascita della PESD fu determinata dall’incapacità della UE di risolvere la crisi jugoslava; la Strategia Europea di Sicurezza nacque dalla divisione creatasi in seguito alla guerra americana in Iraq; la cooperazione europea nella lotta al terrorismo si sviluppò dopo gli attentati nelle capitali europee. L’UE ha dunque reagito a eventi esterni rafforzando la cooperazione: dalle crisi che hanno periodicamente investito il processo di unificazione, l’UE ne è sempre uscita consolidando l’integrazione. Si spera che, dinanzi all’aggravarsi della situazione in Ucraina e al sempre maggior disimpegno statunitense nella regione a favore dell’Indo-Pacifico, l’Unione non tradisca questa sua positiva tradizione.

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