Il romanticismo della caduta di Lenin

, di Massimo Vannuccini

Il romanticismo della caduta di Lenin

Sono giorni che penso di scrivere qualche riga su quanto sta accadendo in Ucraina. Di solito, di fronte a questo genere di eventi, sarei andato a cercare informazioni più precise riguardo alla protesta, ai suoi perché, alla dialettica tra il governo e l’opposizione della Tymošenco; poi è accaduto qualcosa che mi ha scosso e mi ha imposto di riflettere non sui ruoli giocati dalle parti in causa nella protesta ucraina a 12 stelle, ma su il valore dei simboli, sul peso storico, sul rumore che certe avvenimenti fanno, tanto da accendere l’immaginazione di chi legge i resoconti, gli articoli, le riflessione e poi, più avanti con gli anni, i libri di storia.

È caduta a Kiev la statua di Vladimir Il’ič Ul’janov. L’uomo che più di ogni altro nel XX secolo ha colpito l’immaginario di ogni abitante del pianeta, fosse per speranza o per paura, il leader politico che ha emozionato con la sua decisione e profetica azione politica generazioni di giovani donne ed uomini di sinistra, torna oggi sotto i riflettori dell’Occidente, mentre si infrange sul freddo pavimento di una piazza sconosciuta alla maggior parte dell’opinione pubblica europea. Ci ricorderemo questi giorni di manifestazioni ucraine figurandoci il cadere della statua di Lenin, ascoltando tutto il rumore che la caduta di un nome come questo può fare.

Per ogni grande processo storico di cui abbiamo memoria, di cui sentiamo ancora oggi effetti e significati facciamo una rappresentazione, trasformiamo in una singola immagine, in un atto, tale accadimento. La caduta dell’Unione Sovietica non è una singola data, un singolo fatto, ma è appunto un processo – più o meno improvviso agli occhi dell’ormai superato blocco occidentale – che però semplifichiamo, incaselliamo, rappresentiamo nella nostra testa e nell’immaginario collettivo con la caduta del muro di Berlino. A questo esempio potremmo aggiungerne tanti altri: La Riforma Protestante e le tesi di Lutero appese alla Basilica di Wittemberg, La Rivoluzione Francese e la presa della Bastiglia, l’Unificazione italiana e la partenza di Garibaldi e dei Mille da Quarto, la Prima Guerra Mondiale e il serbo Gavrilo Princip che fredda l’Arciduca Ferdinando a Sarajevo, la nascita della CECA e il discorso di Robert Schuman; non è forse così?

Ecco dunque che leggendo la notizia della caduta della statua di Lenin mi sono sentito spinto non a scrivere una ricostruzione dei fatti, né una riflessione intorno a precisi eventi, ma a dar voce al “romanticismo” che sta nella caduta di un simbolo e la messa sul piedistallo di uno nuovo.

Perché alla fine dei conti – e sforziamoci di immaginare le sensazioni, i pensieri, fino allo sforzo muscolare nell’infrangere l’icona del padre fondatore del bolscevismo, di coloro che “hanno distrutto Lenin” – con l’abbattimento della statua del rivoluzionario russo gli ucraini hanno rotto col passato, hanno espresso la volontà di chiudere con un percorso storico in cui si erano nutriti di socialismo – abbandante rispetto ai viveri e ai beni di prima necessità, che nella loro scarsità misero davvero tutti gli ucraini su un piano di uguaglianza – e che ancora, a più di vent’anni dal disintegrarsi della grande federazione socialista, nega a questa parte del Vecchio continente il ricoscimento completo delle principali libertà di una Stato democratico. La folla di Kiev colorata d’azzurro e oro, mescolando bandiera europea e vessillo nazionale vuole esser parte d’Europa, grida al mondo il suo diritto a scegliere per sé stessa da che parte stare, e nel farlo guarda all’Unione europea.

Su questo sta il significato romantico di quanto accaduto a Kiev perché mentre Lenin cade migliaia di persone guardano con fiducia all’Europa unita, alla più grande area del pianeta di democrazia, diritti civili e stato sociale; guardano con speranza a un mondo diverso da quello che il XX secolo le ha riservato.

Facciamoci dunque emozionare da quanto accade in Ucraina, perché troppo spesso in questi ultimi anni di crisi ci siamo dimenticati il vero significato di quanto abbiamo costruito dagli anni ’50 ad oggi guidati dal sogno europeo che anima in queste ore la protesta fuori dai confini del’Unione.

Gli ucraini hanno voluto fare a pezzi le loro “vecchie aporie” mescolando la bandiera nazionale a quella europea, mentre i cittadini dell’Unione si chiedono se sia il caso di abbandonare il percorso fatto a braccietto fin qua, riprendendo ognuno il proprio solitario percorso nazionale. Il valore di quanto accatuto a Kiev deve risuonare ai cittadino europei come la sveglia rispetto al torpore della politica europea fatta di gestione del quotidiano. La caduta della statua di Lenin deve ricordare che un tempo popoli nemici abbatterono assieme i simboli delle vecchie aporie, del fascismo, del nazionalismo come valore universale, democratico e fautore del riconoscimento dei diritti solo dentro i confini dello Stato nazione, esprimendo verso l’esterno la propria barbarie.

L’Ucraina ci ricorda che il processo di integrazione europea non è compiuto, che l’idea di una “casa comune” dei popoli europei è possibile e che per far questo bisogna tornare a vedere l’Europa unita come sogno condiviso per il futuro, come se potessimo guardare al domani con gli occhi degli ucraini che lottano per il loro avvenire, come il più grande progetto di democrazia e convivenza pacifica del nostro tempo; tornare a crede negli Stati Uniti d’Europa è il dovere verso il quale l’Ucraina ci richiama.

Fonte immagine Flickr

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