Per la propria difesa, gli europei si sono accontentati a lungo di rifugiarsi sotto l’ala dell’esercito americano. Nel quadro della NATO, gli Stati Uniti assicurano la presenza americana in Europa e la sicurezza dei suoi abitanti. Questa organizzazione ha segnatamente ricoperto un ruolo centrale nella protezione dei paesi europei contro la minaccia sovietica durante la Guerra Fredda.
Tuttavia, dopo le guerre contro il terrorismo in Afghanistan e Iraq, l’Europa ha perso parte dell’importanza e della centralità agli occhi dell’America. In particolare, Barack Obama ha fatto della difesa degli interessi strategici americani nella regione indo-pacifica il cuore della sua politica estera. Sotto la presidenza di Donald Trump, la NATO è stata vista come un fardello, e l’allora presidente l’ha sottolineato dichiarazione dopo dichiarazione, tweet dopo tweet.
Il nuovo abitante democratico della Casa Bianca, Joe Biden, ha un atteggiamento ben diverso rispetto al predecessore, ma ciò non metterà comunque fine allo sguardo americano verso l’Asia. Infatti, la Cina sarà la sfida principale della politica estera americana. Il presidente Biden ha già intavolato discussioni approfondite con i paesi del Dialogo di sicurezza quadrilaterale (Australia, Giappone e India) il cui obiettivo è contrastare l’influenza crescente della Cina nella regione indo-pacifica.
Le frontiere dell’Europa sotto pressione
In un contesto internazionale segnato dalla politica espansionista dei paesi revisionisti e dalla minaccia terrorista, negli ultimi anni la Commissione Europea ha acquisito una dimensione più strategica, per affrontare le pressioni delle frontiere. Oggi, l’Europa deve fronteggiare, nelle zone periferiche, un certo numero di conflitti e di crisi, sia nel Sahel che in Libia, sia nel Medio Oriente che nel Caucaso.
La fascia sahelo-sahariana è la zona più preoccupante. Questa regione di frontiera tra l’Africa del Nord e l’Africa subsahariana è teatro, dal 2012, di attacchi terroristici via via più intensi e dalla presa di potere di gruppi jihadisti nelle zone abbandonate della regione. Il proliferare di gruppi terroristici in questa vasta zona geografica si spiega con i profondi cambiamenti geopolitici che hanno segnato la regione durante lo scorso decennio. Il crollo del regime autoritario di Mu’ammar Gheddafi (ottobre 2011) ha generato una situazione di caos sul territorio libico, creando un terreno propizio al moltiplicarsi di gruppi terroristici e all’acquisizione di grandi quantità di armi pesanti e leggere, in particolare a sud delle frontiere porose della Libia.
In particolare, l’avanzata di gruppi jihadisti nelle regioni desertiche e abbandonate del nord del Mali ha provocato, su richiesta del presidente maliano ad interim Dioncounda Traoré, un intervento della Francia per restaurare l’integrità territoriale del Mali. Se da un lato l’operazione militare francese Serval ha permesso di evitare una crisi del Mali, dall’altro lato i jihadisti sono comunque riusciti ad aprirsi una strada clandestina in alcune zone del Sahel, che sono di conseguenza diventate spazi propizi alla radicalizzazione e al reclutamento di nuovi combattenti.
L’area delle «tre frontiere» tra Mali, Niger e Burkina Faso è da diversi anni la regione più colpita dalla pericolosità jihadista. In questa zona trascurata dalle autorità, i gruppi estremisti affiliati ad Al-Qaeda e all’organizzazione dello Stato islamico si contendono accanitamente il titolo di primo movimento islamista radicale locale. Il gruppo Boko Haram, affiliato allo Stato islamico, esercita un’influenza importante nella regione del lago Ciad, dove l’assenza dello stato ha creato un terreno favorevole al progresso del gruppo. Tale regione si stende su quattro paesi rivieraschi del lago (Camerun, Niger, Nigeria e Ciad) e subisce in modo molto regolare attacchi terroristici, a partire dallo stato nigeriano di Borno, feudo storico del gruppo.
Qual è il ruolo dell’Europa?
Tenendo conto dell’elevata minaccia terroristica nel Sahel, i paesi europei dovrebbero chiaramente impegnarsi di più sul piano militare. La presenza francese nella regione è stata rafforzata nel quadro dell’operazione militare Barkhane, permettendo di neutralizzare diversi capi di Al-Qaeda tra cui Abdelmadek Droukdel, fondatore di Al-Qaeda nel Maghreb islamico, ma i jihadisti hanno comunque esteso il loro raggio d’azione nella regione. Infatti, la loro forza d’attacco si dirige verso i paesi del Golfo di Guinea, approfittando della mancanza di ordini coordinati tra gli stati della regione. Le loro intenzioni sono chiare: prendendo di mira le ricchezze del Sud, i gruppi estremisti intendono appropriarsi delle raffinerie di petrolio e dei materiali critici per finanziare le campagne jihadiste.
In risposta al deteriorarsi della sicurezza nella striscia sahelo-sahariana, una coalizione di forze speciali europee è stata recentemente imbastita per aiutare le forze in prima linea. Il dispiego della Task Force Takouba implica, per il momento, la presenza di nove paesi europei nel Sahel. L’obiettivo di questa forza europea è fare della lotta contro il terrorismo una vetrina della cooperazione internazionale in materia di difesa, ma resta ancora troppo limitata in termini di numero di forze operative per avere un effetto significativo sul campo militare. Tra i paesi europei più impegnati figurano l’Estonia e la Repubblica Ceca, che hanno inviato rispettivamente 40 e 150 militari.
Questa lenta progressione non ha tuttavia scoraggiato il presidente francese Emmanuel Macron, che desidera rinforzare la forza d’attacco dell’Europa con 2000 soldati europei, di cui 500 francesi. Quest’ambizione potrebbe diventare realtà se Parigi riuscisse a tenere Berlino al tavolo delle questioni di difesa europea. Infatti, dopo la decisione britannica di lasciare l’Unione e il ritiro dell’ex presidente Trump dalla NATO, Parigi e Berlino hanno colto questo contesto inedito per sviluppare una struttura di sicurezza collettiva autonoma – la creazione di una cooperazione strutturata permanente in materia di difesa che mira a rafforzare la cooperazione tra paesi membri europei nel campo della sicurezza e della difesa è stato uno dei maggiori passi avanti di questo periodo.
Sussistono divergenze strategiche
Con l’arrivo di Joe Biden nella Stanza Ovale, i responsabili tedeschi più atlantisti chiedono ormai di rimettere le relazioni transatlantiche al centro della politica estera tedesca. Infatti, in un articolo pubblicato il 2 novembre sul sito americano Politico, la ministra tedesca della difesa, Annegret Kramp-Karrenbauer, ha dichiarato che «l’idea di un’autonomia strategica europea deve finire». Tale sentimento è unanime negli stati dell’Est, specie in Polonia, che considera la nozione di difesa europea un rischio per la sostenibilità della relazione transatlantica e per i suoi interessi vitali.
Va tuttavia sottolineato che l’Europa non è al riparo da un nuovo shock geopolitico oltreoceano. Infatti, la sconfitta dell’ex presidente Trump è stata meno significativa rispetto a quella anticipata dai sondaggi. Donald Trump o uno dei suoi emuli all’interno del partito repubblicano possono contare su una base elettorale di oltre 75 milioni d’elettori che resteranno fedeli alla causa costi quel che costi. Gli europei non sono dunque al riparo da un nuovo scisma geopolitico che potrebbe verificarsi tra appena quattro anni.
Mentre il Pentagono resta evasivo riguardo un impegno nel Sahel, è arrivato il momento per l’Europa d’impegnarsi di più sul terreno militare. Gli europei non possono permettersi che gli affiliati di AQMI e dello Stato islamico estendano ancora di più le loro aree di controllo in una regione che si trova alla frontiera sud dell’Europa. È dunque imperativo che Parigi e Bruxelles conducano gli Stati membri a comprendere l’importanza della regione per la sicurezza europea e della necessità di prendere misure concrete in termini di impegno militare.
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