Il terrorismo ai tempi del Covid-19

, di Giorgia Palladini

Il terrorismo ai tempi del Covid-19
Fonte: Wikicommons

Quella del Covid-19 è ormai una realtà con la quale tutti abbiamo imparato a convivere, ma ciò che è interessante indagare è come le organizzazioni terroristiche hanno reagito a questa emergenza sanitaria che le ha costrette a limitare la presenza fisica sul territorio e, soprattutto, quale lettura della situazione esse hanno fornito ai loro affiliati. I gruppi terroristici, infatti, non hanno esitato a sfruttare la pandemia a loro vantaggio sviluppando una doppia narrazione incentrata, da un lato, sul consolidamento dell’antagonismo verso l’Occidente colpito da una punizione divina e, dall’altro, sottolineando la profonda vulnerabilità di quest’ultimo; definendo così la situazione un’opportunità insperata per pianificare e realizzare nuovi attacchi, e in particolar modo una valida occasione per fare proselitismo raggiungendo, tramite una propaganda mirata e attentamente studiata, un ventaglio incredibilmente vasto di soggetti. Quest’ultimo elemento trova una ragion d’essere se consideriamo il semplice fatto che, tra le varie conseguenze dei mesi di lockdown imposto dai governi per limitare i contagi, una delle più inevitabili e rilevanti è stata il sostanziale incremento del tempo speso dalle persone online, soprattutto sui social network. La condizione di isolamento e chiusura verso la società ha contribuito a spingere molti individui a massimizzare l’utilizzo della rete, ed è su questo che i reclutatori hanno puntato, cercando di arrivare a quelle persone più sensibili ai messaggi estremisti, spingendole ad approfondire ulteriormente la loro conoscenza del mondo islamico radicale, al fine di assorbirli poi all’interno delle loro fila.

L’ISIS, che è sempre stata una delle organizzazioni più attiva in rete, ha fin da subito inglobato all’interno della sua strategia comunicativa l’emergenza Coronavirus, inserendola in un più ampio contesto che gli permettesse di raggiungere i suoi obiettivi. Già agli inizi di marzo, infatti, sono state pubblicate su Al-Naba – l’attuale rivista online di punta dello Stato Islamico – delle linee guida di comportamento volte a promuovere l’igiene ed a spiegare come tutelare la salute degli affiliati. Regole che ricordano molto da vicino quelle diffuse a suo tempo già dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, e dalle quali traggono spunto. Questi consigli di buona condotta, inoltre, sono stati ulteriormente rafforzati poiché inquadrati in un discorso religioso tramite il ricorso agli hadith. L’ISIS le ha rese così delle vere e proprie regole da seguire attentamente ed in modo pedissequo, in quanto direttamente ispirate dal Profeta Maometto. Un dettaglio importante, poi, riguarda l’attenzione agli spostamenti, tant’è che viene consigliato di limitarli al minimo per contenere il più possibile la diffusione dei contagi. Nel numero successivo di Al-Naba, tuttavia, il Covid-19 viene descritto come un “soldato” [1] inviato direttamente da Allah per punire gli apostati e gli infedeli, ma che, al contrario, ha risparmiato i veri musulmani ed è perciò necessario, da parte dei veri credenti, continuare a rafforzare la propria fede, poiché solo tramite questa sarà possibile evitare il contagio. Dunque, viene sottolineata ulteriormente la vulnerabilità e la debolezza degli stati occidentali bloccati dalla pandemia, e viene inoltre suggerito di pianificare attacchi per sfruttare il momento di immobilità, cogliendo in questo modo i nemici totalmente impreparati.

Al-Qa’ida, dal canto suo, si è limitata a pubblicare un documento su As-Sahab – portale che si occupa di produrre e diffondere i messaggi dell’organizzazione – in cui la pandemia viene descritta come un castigo divino inflitto agli infedeli [2] ed esito della corruzione morale degli occidentali. Di nuovo, quindi, ritroviamo l’elemento religioso addotto come spiegazione alla diffusione del virus; non è infatti una novità che la narrazione estremista faccia un uso arbitrario e autoreferenziale della religione per giustificare e sostenere la sua causa davanti agli occhi dei propri affiliati, e a maggior ragione in questo contesto di crisi essa viene sfruttata per ribadire la superiorità dei membri del gruppo sui nemici storici. Nel comunicato, inoltre, si trovano anche dei suggerimenti su come affrontare l’emergenza sanitaria e diverse esortazioni, rivolte nello specifico ai non musulmani, ad avvicinarsi allo studio dell’islam durante il periodo di quarantena. Probabilmente a fare le spese maggiori del Covid-19 sono stati i piccoli gruppi, più o meno strettamente affiliati ora all’ISIS, ora ad Al-Qa’ida che, avendo il controllo di porzioni di territorio, hanno dovuto mettere in atto strategie più concrete. Ad esempio, il gruppo siriano Hayat Tahrir Al-Sham, che controlla Idlib in Siria, ha aderito al cessate il fuoco nella regione, proprio al fine di limitare i casi di contagio e proliferazione del virus. O ancora Al-Shabaab ha rilasciato un comunicato [3] in cui ha annunciato di aver istituito un centro per il trattamento del Covid-19 nella città somala di Jilib, dotato di apparecchiature ed automezzi in grado di prelevare e trattare i pazienti.

Di fatto, e soprattutto per le organizzazioni più ampie, il periodo di quarantena ha rappresentato un momento propizio sia per il consolidamento delle tecniche di propaganda, sia per l’intensificazione dei reclutamenti, dal momento che un grande numero di persone ha aumentato drasticamente la propria presenza online e, unitamente a ciò, l’isolamento forzato ha contribuito notevolmente, spingendo molti a ricercare una compagnia virtuale tramite i social, col rischio di entrare in contatto con quelle frange più estremiste che popolano le chat room. Ne consegue che i soggetti più vulnerabili a questa tipologia di narrazione hanno rappresentato un target facilmente raggiungibile ed altrettanto semplice da plagiare. Tanto al-Qa’ida quanto l’ISIS si sono perfettamente rese conto della debolezza e della vulnerabilità degli stati occidentali di fronte al Covid-19 e hanno fatto leva su questo per spronare i propri affiliati a serrare i ranghi ed a confidare nella rettitudine della loro causa, resa ancora una volta legittima e giustificata dal ricorso all’elemento religioso. In tale contesto si è iniziato anche a parlare di nuovi obiettivi del terrorismo, i cosiddetti soft targets, cioè tutti quei luoghi che sono al momento di estrema rilevanza, cosa che li rende, di converso, estremamente vulnerabili. Parliamo di ospedali, case di cura, laboratori di ricerca, supermercati; tutti quei luoghi, quindi, che nei mesi di quarantena sono divenuti indispensabili e che, se venissero presi come obiettivi, arrecherebbero un ulteriore danno ad un sistema già oltremodo provato. Tuttavia, non c’è una unanimità nel considerare questi dei possibili bersagli sia per la difficoltà di creare assembramenti – ancora vietati dalle misure di sicurezza di molti stati – sia perché un eventuale attacco in questi luoghi non riscuoterebbe il sostegno [4] di cui i gruppi terroristici hanno tuttora bisogno per continuare a veicolare il messaggio di star combattendo in modo legittimo.

Da quanto abbiamo avuto modo di vedere è possibile affermare che l’emergenza ha, per forza di cose, costretto i governi a ridefinire l’ordine delle priorità. Ad oggi, infatti, le energie vengono assorbite quasi interamente dal contrasto alla diffusione del virus utilizzando ogni mezzo disponibile, coinvolgendo anche le forze dell’ordine e, in alcuni casi, ricorrendo all’intervento dell’esercito. Il rischio è che per fronteggiare una crisi se ne perda di vista un’altra, rappresentata in questo caso dal terrorismo internazionale il quale, se consideriamo il periodo di latenza che sta attraversando, oggi fa decisamente meno paura del Covid-19 eppure, benché meno presente, esso non è scomparso. Al contrario, è importante che le agenzie nazionali ed internazionali continuino a cooperare ed a contrastare questo fenomeno che, come abbiamo avuto modo di vedere, oggi si sviluppa prevalentemente nei meandri della rete e, proprio per tale motivo, assume caratteri di evanescenza che rendono ancora più importante la ricerca, il tracciamento ed il blocco di questo tipo di comunicazioni radicali, oscurando canali e profili di chi le produce e condivide.

Parole chiave
Note

[1Sigal Maor-Hirsh, ISIS in the age of COVID-19 – From islamizing the pandemic to implementing the Jihadist strategy, “International Institute for Counter-Terrorism”, Aprile 2020.

[2Eugenio Dacrema, Il jihadismo ai tempi del coronavirus, “ISPI”, 2 aprile 2020 (https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/il-jihadismo-ai-tempi-del-coronavirus-25635).

[3Elias Biryabarema, Somalia’s Islamist group al Shabaab says sets up Covid-19 treatment centre, “Reuters”, 12 giugno 2020 (https://www.reuters.com/article/us-health-coronavirus-somalia/somalias-islamist-group-al-shabaab-says-sets-up-covid-19-treatment-centre-idUSKBN23J32C).

[4Eugenio Dacrema, Il jihadismo... op.cit.

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