Intelligenza artificiale: le nuove, vecchie sfide poste da ChatGPT

, di Matteo Gori

Intelligenza artificiale: le nuove, vecchie sfide poste da ChatGPT
Foto di Firmbee da Pixabay

Negli ultimi mesi, con la pubblicazione di ChatGPT, la società OpenAI ha portato un ulteriore progresso a una delle questioni già più innovative del terzo millennio: l’intelligenza artificiale. Ma dal lato umano, il progresso qual è? Cosa serve affinché ciascuno di noi sia in grado di interfacciarsi con tali realtà?

Disclaimer: questo articolo è stato pubblicato per la prima volta su L’Unità Europea N.1/2023, del periodo Gennaio-Febbraio, e non tiene quindi conto del Provvedimento del Garante per la Protezione dei Dati Personali italiano - e del conseguente dibattitto - che in data 30 marzo 2023 ha disposto il blocco di ChatGPT nel territorio italiano [1] contestando ad OpenAI la raccolta illecita di dati personali e l’assenza di sistemi per la verifica dell’età dei minori. La società americana presenterà entro il 20 aprile le misure da adottare per superare questi rilievi.

Quanto può spingersi in avanti la capacità dell’intelligenza artificiale di replicare il ragionamento umano? E quanta paura ci deve fare questo inesorabile avanzamento?

Da novembre 2022, la società OpenAI ha reso la risposta a questa domanda ancora più complessa, pubblicando ChatGPT, che negli ultimi mesi è diventato uno degli argomenti preferiti di studenti, filosofi e politici.

In breve, ChatGPT (acronimo di chat generative pre-trained transformer) rappresenta un software di chat virtuale che, in maniera autonoma (e al momento gratuita), elabora e comprende il linguaggio umano, in modo da poter comunicare con le persone attraverso conversazioni online. Le conversazioni non sono quelle minimali che siamo abituati a fare con i chatbot online che ormai molte aziende pubbliche o private usano per assistere gli utenti. ChatGPT è in grado di articolare in maniera coerente pensieri chiari e ragionamenti complessi, con padronanza di lessico e grammatica, in più di 90 lingue. Il funzionamento è semplice: il software, basato sull’intelligenza artificiale (IA), ha immagazzinato una vastissima gamma di informazioni da libri, articoli di giornale, siti web e conversazioni umane che permettono di dare risposte in pochi secondi a qualsiasi quesito. Inoltre, essendo un sistema basato sul continuo apprendimento, le interazioni degli utenti (basta una semplice registrazione) fanno crescere il bagaglio di apprendimento e la profondità dei ragionamenti (ogni utente può dare un riscontro positivo o negativo alla risposta che riceve). Come è facile immaginare, gli utilizzi possibili sono infiniti: dalla semplice ricerca di informazioni (Microsoft, che ne detiene licenza esclusiva, lo ha prontamente integrato nel motore di ricerca Bing, condannando all’obsolescenza Google, che sta correndo ai ripari), alla scrittura di lettere, testi, pensieri, calcoli e codici informatici.

Ci sono (per ora) dei limiti: ChatGPT è a conoscenza di fatti e informazioni che non vanno oltre il 2021. Inoltre, non si tratta di un “cervello” infallibile. Le conoscenze di ChatGPT sono imperfette - può capitare che fornisca risposte sbagliate - e incerte - con feedback o insistenze si può arrivare a far rettificare alcune risposte, anche se giuste. Questo succede perché le risposte non sono fornite da un custode della verità assoluta (come i più apocalittici potrebbero pensare), ma da un sistema stocastico che risponde a ogni domanda con quell’ordine di parole e informazioni che ha la probabilità statistica più alta di essere giusto. La forza di ChatGPT sta nell’aver elevato questa probabilità dal 60% dell’IA precedente al 80%-85% circa. Per il resto, ChatGPT rimane una macchina, che, per dirla con le parole di Luciano Floridi, “rimarca la separazione tra agire con successo, come fa un’intelligenza artificiale, e la capacità di agire in modo intelligente per arrivare a quel successo, come fa generalmente una persona.”

Un semplice test, può illustrare meglio di cosa stiamo parlando. Se interpellata sull’attuale Unione e una sua possibile evoluzione istituzionale in senso federale, ChatGPT riferisce che (risposta testuale) “Per rendere l’Unione Europea uno Stato federale, sarebbe necessario un processo di riforma sostanziale delle sue istituzioni e delle sue regole. Ciò potrebbe includere: (i) Creazione di un governo centrale europeo con poteri esecutivi e legislativi forti, (ii) Estensione delle competenze dell’Unione Europea in campo fiscale, sociale e di difesa, (iii) Stabilizzazione del processo decisionale e maggiore partecipazione dei cittadini europei alle decisioni politiche, (iv) Definizione di una costituzione europea comune, (v) Rafforzamento della cooperazione tra gli Stati membri e la promozione di una maggiore integrazione politica e sociale. Tutto ciò richiederebbe l’accordo e la cooperazione di tutti gli Stati membri, oltre alla ratifica da parte dei loro parlamenti nazionali. Potrebbe essere un processo lungo e complesso, ma sarebbe fondamentale per la creazione di un’Unione Europea più forte e coesa.” E se interpellata in merito alla probabilità che questo accada, dice: “La probabilità che l’Unione Europea diventi uno Stato federale dipende da molte variabili e fattori, tra cui l’evoluzione politica, economica e sociale dell’Europa e del mondo, la volontà politica degli Stati membri e dei loro cittadini, nonché le sfide e le opportunità che l’Unione Europea affronterà in futuro. Al momento, c’è un dibattito aperto e divergente tra gli Stati membri sulla questione dell’integrazione europea e sulla futura visione dell’Unione. Alcuni paesi sono favorevoli a un’integrazione più stretta, mentre altri sono più cauti o contrari. Ciò rende difficile prevedere con certezza se e quando l’Unione Europea diventerà uno Stato federale.”

La conversazione potrebbe andare avanti molto a lungo, con i doverosi approfondimenti. La risposte non offriranno certo soluzioni innovative o più dettagliate rispetto a quello che troviamo su questo webzine, ma almeno non si intravedono opinioni nazionaliste. Per quanto sollecitata, ChatGPT sembra al momento capace di evitare ogni opinione polarizzata, ma anche, andando oltre la sfera politica, opinioni ambigue, offensive o discriminatorie. Questo è indubbiamente un buon segno, soprattutto se si pensa che esperimenti simili precedenti sono anche finiti con chatbot di simpatie Hitleriane (si veda ad esempio la storia del chatbot “Tay”).

Allargando lo sguardo, la corsa mondiale verso l’intelligenza artificiale non è certo un fatto nuovo e che serve approfondire qui. L’Unione Europea in questo ha già perso la sfida industriale e si ritrova irrimediabilmente dietro Stati Uniti e Cina. Tuttavia, l’UE si è concentrata sullo sviluppo di un approccio regolatorio all’IA che ne limiti i rischi e gli utilizzi impropri o avversi all’etica.

Una sfida complessa, ma che costituisce il vero contributo europeo: determinare standard di utilizzo per il mercato globale che si è delineato, e che si espanderà sempre di più in ambito digitale. In questo senso, l’AI Act non è stato ancora approvato definitivamente, ma può rappresentare un punto di riferimento mondiale per un approccio di equilibrio tra la spinta innovatrice del mercato e la necessità di garanzie e tutele per cittadini e utenti.

Rimane valida la necessità di percorrere una via di mezzo tra: (i) lasciare il campo alla 5/6 big tech made in USA e Cina che dominano il mercato, e (ii) un dirigismo statale che monopolizzi il controllo dell’IA. Due vie che concentrano la transizione digitale nelle mani di pochi specifici interessi. Una via che metta al centro l’interesse dell’utente, e quindi del cittadino, partendo da alcune priorità decisive:

  • consapevolezza e formazione - per educare le persone a usare strumenti come ChatGPT non solo per risparmiarsi la fatica di scrivere saggi o lettere, ma anche per imparare a convivere con forma di intelligenza digitale che saranno sempre più avanzate
  • contenuti e controllo - evitando per esempio che i dati e le informazioni che alimentano l’IA provengano solo da alcune parti del mondo, da un gruppo ristretto di soggetti o gruppi sociali. Oggi, ad esempio, il 60% dei dati che informano i sistemi di IA provengono dagli Stati Uniti secondo i dati dell’Internet Health Report 2022 così come sappiamo che più del 90% dei dati sono immagazzinati in server statunitensi.
  • disuguaglianze - in un’economia sempre più basta sull’automazione dei processi e dei lavori, è fondamentale che i fattori abilitanti (ad esempio l’accesso a internet) dietro questa automazione non siano esclusivi per alcune fette di popolazione e che allo stesso tempo, quei lavoratori che verranno inevitabilmente sostituiti dall’intelligenza artificiale siano riabilitati e non tagliati fuori dal mercato del lavoro.
  • trasparenza e responsabilità - per garantire che le scelte di attori privati e pubblici in merito all’uso dell’Intelligenza Artificiale rimangano contestabili dagli utenti in un perimetro democratico.

ChatGPT non rinnova, ma semmai amplifica, tali questioni. Ma ha il merito di farlo in maniera molto più visibile di tante speculazioni accademiche, rendendo chiunque consapevole dell’impatto che l’Intelligenza Artificiale può avere nelle nostre vite: a livello lavorativo, economico e sociale.

Pensare di affrontare questi temi a livello nazionale è naturalmente sbagliato in partenza. Serve in prima istanza che l’Unione Europea tracci una strada per un modello di umanesimo digitale. Ma è anche indispensabile che questo modello sia esteso ad una gestione cooperativa su scala globale della transizione digitale, per evitare una continua contrapposizione tra monopoli (siano essi big tech o Stati). Solo ragionando su questo piano, aboliremo davvero la paura delle macchine.

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