Davanti alla “crisi di governo” che sta portando nuovamente in “tribunale” il nostro Paese, dopo che i due soci della maggioranza hanno deciso di pensare esclusivamente all’interesse di partito, si fa la battaglia delle “date”, tra chi vuole votare la sfiducia al Governo Conte e chi al Ministro dell’interno, chi vuole andare alle urne e chi vuole un governo di “salvezza nazionale”.
Sta di fatto che di date certe ne abbiamo (eccome!), ed impegnano non poco l’immagine dell’Italia a livello europeo.
Il 26 agosto scade il termine ultimo concesso dalla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ai governi nazionali per quanto riguarda l’indicazione dei candidati Commissari. L’Italia non è la sola a non aver indicato ancora il proprio. Persi tra veti e contro veti, tra voti contro al parlamento europeo della Lega alla neo Presidente della Commissione, si fatto terra bruciata di un possibile Commissario con targa leghista, pena la possibile bocciatura da parte delle Commissioni competenti per materia del parlamento europeo, cui spetta il compito di esprimere una valutazione sui commissari designati dai singoli governi in sede di audizione.
Insieme all’Italia, a non aver ancora sciolto la riserva, ci sono Francia, Belgio, Croazia, Portogallo e Romania.
Il 3 agosto scorso il presidente del consiglio Conte durante la conferenza stampa con la von der Leyen aveva “preteso” un commissario “di peso” in campo economico per l’Italia. E forse qualche vaga speranza di avere la Concorrenza poteva anche starci. Ma prima della “crisi di governo”, appunto.
Dicevamo della designazione del Commissari. Il cronoprogramma del Parlamento europeo vede fissate le audizioni dal 30 settembre all’8 ottobre. Si potrà anche cercare di soprassedere stante l’eccezionalità del momento politico italiano per non delegittimare il prossimo Commissario davanti a scenari nazionali ben diversi dall’attuale indirizzo del presidente Conte.
Superato lo scoglio delle audizioni la nuova Commissione europea dovrà superare il voto nella plenaria di Strasburgo presumibilmente nella sessione dal 21 al 24 ottobre.
Dal “nodo” europeo a quello nazionale.
Lo scompiglio legato alle esigenze del vice presidente Salvini, mettono i conti pubblici nuovamente sotto pressione. Il 27 settembre sarà il momento della presentazione della Nota di aggiornamento al Def (NADEF) contenente la revisione delle previsioni del quadro macroeconomico italiano, anche alla luce della “correzione” di bilancio attuata a luglio scorso per “favorire” la decisione positiva della Commissione europea ed evitare in extremis una procedura di infrazione sul deficit eccessivo di quasi 8 miliardi. Giusto una ventina di giorni dopo, prima il 15 col Dbp (documento programmatico di bilancio) e successivamente (20 ottobre), sarà la volta, nell’ambito del programma di stabilità e della procedura di sorveglianza europea, di presentare la bozza della Manovra 2020, che andrà sul tavolo della Commissione europea, che esprimerà il proprio parere entro la fine di novembre.
Cosa c’è da aspettarsi? Un ridimensionamento delle misure definite “imprescindibili” nella passata Manovra 2019 e che hanno già minato i conti pubblici? Una correzione strutturale sui conti di quel “tesoretto” 2019 derivante dalla c.d “Quota 100” (2,4 miliardi la stima dell’Upb, Ufficio parlamentare di bilancio, per il 2020) e dal “Reddito di cittadinanza” (misure utilizzate al di sotto delle aspettative) si potrebbe arrivare a 4-5 miliardi, nonché delle maggiori entrate e delle previsioni di risparmio per il 2020 in chiave di spending review (sempre 4-5 miliardi) con la massima attenzione (a garantirlo è stato il Ministro Tria) a non effettuare tagli a sanità e istruzione. Complessivamente 8-10 miliardi, che dovranno in parte coprire la zavorra che l’esecutivo Lega-M5S ha regalato ai conti pubblici per il 2020 con il ricorso al deficit spending lo scorso anno con innalzamento della asticella per la disattivazione della clausola di salvaguardia rappresentata dall’aumento della pressione fiscale per l’IVA.
In tutto una Manovra che avrà un peso di circa 35 miliardi (che gode pure della flessibilità da parte della Commissione europea pari allo 0,18% di Pil per gli interventi “eccezionali” a seguito delle tragedie del ponte Morandi e del dissesto geologico). Con l’aggiustamento di bilancio di luglio scorso, si è abbassata la tensione che potrebbe incidere su una correzione strutturale 2020 a 4-6 miliardi (senza contare - non si potrebbe considerare a priori - i margini “extra deficit” fino a 16 miliardi come fa notare il Sole 24 Ore del 6 luglio).
In quei 35 miliardi, dicevamo, 23,1 miliardi occorrono per sterilizzare gli aumenti 2020 di IVA (l’aliquota ordinaria salirebbe da 22 a 25,2%, quella ridotta da 10 a 13%) e accise, bisogna aggiungere gli oneri fissi per le “spese indifferibili” e quelle per investimenti che l’Upb quantifica in 4,5 miliardi, per un totale di 27,6 miliardi.
Ma a settembre i componenti di bilanciamento della spesa potrebbero salire a circa 15 miliardi col recupero di risorse dalla sforbiciata sugli sconti fiscali e dal trascinamento sul 2020 di una parte delle maggiori entrate fiscali contabilizzate a consuntivo nel 2019 a quelle attese per il prossimo anno.
Ad oggi quindi mancherebbe la copertura di circa 20 miliardi. L’augurio migliore è che non si torni a scegliere per una maggiore pressione fiscale o a ricorrere all’indebitamento che già carico ha costretto ad un aumento dei tassi d’interesse. Infatti su quest’ultimo punto l’Italia deve raccogliere da qui alla fine dell’anno (secondo le stime di Chiara Manenti dell’ufficio studi di Intesa Sanpaolo) circa 125 miliardi di euro (lordi) attraverso l’emissione di titoli di Stato a breve, medio e lungo termine. E’ vero che negli ultimi mesi (da gennaio a oggi) sono stati già raccolti 284 miliardi – che hanno coperto il fabbisogno e creato disponibilità nel Conto tesoreria di circa 78 miliardi di euro - ma il nostro Paese ha un indebitamento sui mercati finanziari notevole; infatti a settembre scadono BoT e BTp per 56 miliardi.
L’Italia è invece costretta a pagare l’1,82%. Questo - pur nel contesto di tassi in calo - rappresenta già oggi un extra-costo per le casse dello Stato: secondo i calcoli effettuati su lavoce.info da Maria Cannata (ex direttore generale del Tesoro per il debito pubblico), se l’Italia avesse avuto lo stesso spread della Spagna negli ultimi anni avrebbe risparmiato - in un orizzonte di soli 12 mesi - 1,2 miliardi di interessi sulle emissioni del 2017, 2,9 miliardi su quelle del 2018 e 1,5 sulle emissioni effettuate tra gennaio e maggio 2019.
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